Senza mangiare animali si vive meglio!

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  1. renzo
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    http://laverabestia.org

    Globalizzazione della sostenibilità
    Uno degli aspetti che forse sfuggono ai più è che il dissennato sfruttamento dell'ambiente che l'umanità mette in atto, non mette a rischio il pianeta su cui viviamo. Si può notare che sentiamo spesso parlare di "pianeta a rischio", di "fine del mondo", di "natura a rischio", ma dietro a queste parole è nascosta una sottile falsità, una mistificazione significativa, purtroppo in molti casi anche inconsapevole: la terra e la vita su di essa, in qualche modo, sotto qualche forma, continueranno ad esistere, a prescindere dal comportamento irresponsabile dell'umanità.

    A rischio è "solo" la specie umana. E' un concetto semplice quanto incompreso.
    E' l'uomo che mette a rischio se stesso, o meglio la sua specie.
    C'è qualcosa di perverso e terribile in questo: possibile che l'uomo non abbia a cuore nemmeno sé stesso?
    Purtroppo è così, e per una semplicissima ragione: l'uomo "non spirituale" non ha ancora capito che il mondo è stato, è, e sarà, il mezzo unico e necessario alla sua anima, nelle susseguenti e molteplici vite, per evolvere.

    L'uomo, materialistico e miope, vede solo il tornaconto della sua presente esperienza, e intende massimizzare l'accumulo di agi e ricchezze fini a se stessi in una sola breve vita: quale miserevole intento!

    Vorrei proporre in queste pagine un breve excursus di come l'uomo metta in atto il suo –"relativamente inconsapevole"- disegno di autodistruzione, partendo da considerazioni sui principali meccanismi in atto, sul come tali automatismi siano vicini ad ognuno di noi occidentali, su quanto sarebbe possibile fare per modificare il tragico andamento, per giungere infine a considerazioni che possano dare una collocazione spirituale a tutto il tema. Un tema la cui importanza è tale da richiedere la più grande attenzione che ognuno di noi, abitanti del "primo mondo", possa dedicarvi.
    Una delle espressioni più efferate dello sfruttamento che l'umanità impone al pianeta ci riguarda molto da vicino. Ma questa vicinanza ad ognuno è un fatto positivo, in quanto -come vedremo- ognuno di noi è, o meglio, sarebbe, in grado di fare qualcosa per il suo pianeta. Si tratta dell'uso di carne per l'alimentazione umana.



    I veri costi dell'alimento carneo
    L'economista Jeremy Rifkin, scrittore, docente alla Wharton School of Finance and Commerce e presidente della Foundation on Economic Trends e della Greenhouse Crisis Foundation, uno dei più famosi "teorici" no-global, ha scritto un famoso libro: Ecocidio, ascesa e caduta della cultura della carne, (Mondadori), nel quale con mirabile acume analizza il costo che ha per l'umanità questa "attitudine", sviluppatasi esponenzialmente nell'ultimo secolo.
    La tesi iniziale di Rifkin è significativa: sono due miliardi gli uomini che soffrono la fame. Il numero potrebbe decrescere ma, come al solito, l'interesse dei pochi (potenti) prevale sul destino dei molti (fragili).
    Egli illustra come il "racket dell'Hamburger", assorbendo il 36 per cento della produzione mondiale di grano per l'allevamento del bestiame, impedisca di eliminare il problema nella fame nel mondo.
    Centinaia di milioni di persone nel mondo lottano ogni giorno contro la fame perché gran parte del terreno arabile viene oggi utilizzato per la coltivazione di cereali ad uso zootecnico piuttosto che per cereali destinati all'alimentazione umana. I ricchi del pianeta consumano carne bovina e suina, pollame e altri di tipi di bestiame, tutti nutriti con foraggio, mentre i poveri muoiono di fame.
    Negli ultimi cinquant'anni la nostra società globale ha costruito a livello mondiale una scala di proteine artificiali sul cui gradino più alto ha collocato la carne bovina e quella di altri animali nutriti a foraggio.
    Oggi i popoli ricchi, specie in Europa, Nord America e Giappone, se ne stanno appollaiati in cima a questa catena alimentare divorando il patrimonio dell'intero pianeta.
    Il passaggio avvenuto nel mondo agricolo dalla coltivazione di cereali per l'alimentazione umana a quella di foraggio per l'allevamento degli animali rappresenta una nuova forma di umana malvagità, le cui conseguenze potrebbero essere di gran lunga maggiori e ben più durature di qualunque sbaglio commesso in passato dall'uomo contro i suoi simili.
    Oggi, oltre il 70 per cento del grano prodotto negli Stati Uniti è destinato all'allevamento del bestiame, in gran parte bovino.
    Sfortunatamente, di tutti gli animali domestici, i bovini sono fra i convertitori di alimenti meno efficienti.
    Sperperano energia e sono da molti considerati le "Cadillac" delle fattorie animali.
    Per far ingrassare di circa mezzo chilo un manzo da allevamento, occorrono oltre 4 chili di foraggio, di cui oltre 2 chili e mezzo sono cereali e sottoprodotti di mangimi, e il restante chilo e mezzo è paglia tritata.
    Questo significa che solo l'11 per cento di foraggio assunto dal manzo diventa effettivamente parte del suo corpo; il resto viene bruciato come energia nel processo di conversione, oppure assimilato per mantenere le normali funzioni corporee, oppure assorbito da parti del corpo che non sono commestibili, ad esempio la pelle o le ossa.
    Quando un manzo di allevamento sarà pronto per il macello, avrà consumato 1.223 chili di grano e peserà approssimativamente 475 chilogrammi .
    Attualmente, negli Stati Uniti, 157 milioni di tonnellate di cereali, legumi e proteine vegetali, potenzialmente utilizzabili dall'uomo, sono destinate alla zootecnia: è una produzione di 28 milioni di tonnellate di proteine animali che l'americano medio consuma in un anno.



    Un nuovo fenomeno agricolo
    I bovini e il resto del bestiame stanno divorando gran parte della produzione di grano del pianeta.
    È necessario sottolineare che si tratta di un nuovo fenomeno agricolo, del tutto diverso da quanto sperimentato prima d'ora.
    Ironicamente, la transizione dal foraggio al mangime è avvenuta senza troppe polemiche, nonostante si tratti di un fatto che ha avuto, nella politica di utilizzo del territorio e di distribuzione alimentare, un impatto maggiore di qualunque altro singolo fattore.
    In tutto il mondo la domanda di cereali per la zootecnia continua a crescere perché le multinazionali cercano di capitalizzare sulla richiesta di carne proveniente dai paesi ricchi.
    Fra il 1950 e il 1985, gli anni boom dell'agricoltura, negli Stati Uniti e in Europa, due terzi dell'aumento di produzione di grano sono stati destinati alla fornitura di cereali d'allevamento per lo più bovino.
    Nei paesi in via di sviluppo, la questione della riforma agricola ha periodicamente chiamato a raccolta intere popolazioni di agricoltori, nonché generato sommosse politiche populiste.
    Tuttavia, mentre le questioni della proprietà e del controllo della terra sono sempre state temi di grande rilevanza, il problema di come la terra venisse utilizzata ha sempre suscitato meno interesse nell'ambito del dialogo politico.
    Eppure, è stata la decisione più iniqua della storia quella di usare la terra per creare una catena alimentare artificiale che ha portato alla miseria centinaia di milioni di esseri umani nel mondo.
    È importante tenere a mente che un acro di terra coltivato a cereali produce proteine in misura cinque volte maggiore rispetto ad un acro di terra destinato all'allevamento di carni; i legumi e le verdure possono produrne rispettivamente 10 e 15 volte tanto.
    Le grandi multinazionali che producono semi e prodotti chimici per l'agricoltura, allevano bestiame e controllano i mattatoi e i canali di marketing e distribuzione della carne, hanno tutto l'interesse di pubblicizzare i vantaggi del bestiame allevato a cereali.
    La pubblicità e le campagne di vendita destinate ai paesi in via di sviluppo equiparano ed associano all'allevamento di bovini nutriti a foraggio il prestigio di quel dato paese.
    Salire la scala delle proteine è diventato un simbolo di successo che assicura l'entrata in un club elitario di produttori che sono in cima alla catena alimentare mondiale.
    Il periodico americano "Farm Journal" riflette con queste parole i pregiudizi della comunità agro-industriale: "Incrementare e diversificare le forniture di carne sembra essere il primo passo di ogni paese in via di sviluppo". Iniziano tutti con l'allevamento di polli e con l'installazione di attrezzature per la produzione delle uova: è il modo più veloce ed economico che permette di produrre proteine non vegetali.
    Poi, quando le loro economie lo permettono, salgono "la scala delle proteine" e spostano la loro produzione verso carne suina, latte, latticini, manzo nutrito al pascolo.
    Per poi arrivare, in alcuni casi, al manzo allevato con grano raffinato".



    La scalata alle proteine animali
    Incoraggiare altri paesi a salire la scala delle proteine promuove gli interessi degli agricoltori occidentali (americani soprattutto) e delle società agro-industriali.
    Molti di noi saranno sorpresi di sapere che due terzi di tutto il grano esportato dagli Stati Uniti verso altri paesi è destinato all'allevamento del bestiame più che a soddisfare il fabbisogno di cibo dei popoli.
    Molti paesi in via di sviluppo hanno iniziato a salire la scala delle proteine all'apice del boom agricolo, quando la tecnologia della "rivoluzione verde" produceva grano in eccesso.
    Nel 1971 la Fao suggerì di passare al grano grezzo che poteva essere consumato più facilmente dal bestiame.
    Il governo americano incoraggiò ulteriormente i suoi programmi di aiuti all'estero, collegando gli aiuti alimentari allo sviluppo sul mercato dei cereali foraggieri.
    Società come la Ralston Purina e la Cargill hanno ricevuto finanziamenti governativi a basso tasso di interesse per la gestione di aziende avicole e l'uso di cereali foraggeri nei paesi in via di sviluppo, iniziando queste nazioni al viaggio che le avrebbe condotte verso la scala delle proteine.
    Molte nazioni hanno seguito il consiglio della Fao e si sono sforzate di rimanere in cima a questa scala anche dopo che gli eccessi della "rivoluzione verde" erano svaniti.
    Negli ultimi 50 anni la produzione mondiale di carne si è quintuplicata.
    Il passaggio dal cibo al mangime continua velocemente in molti paesi in modo irreversibile, nonostante il crescente numero di persone che muoiono di fame.
    Le conseguenze di queste trasformazioni - e il significato che hanno per l'uomo - sono state drammaticamente dimostrate da quanto accaduto in Etiopia nel 1984, quando migliaia di persone sono morte di fame.
    L'opinione pubblica non era al corrente del fatto che in quel momento l'Etiopia stesse utilizzando parte dei suoi terreni agricoli per la produzione di panelli di lino, di semi di cotone e semi di ravizzone da esportare nel Regno Unito e in altri paesi europei come cereali foraggieri destinati alla zootecnia.
    Al momento sono milioni gli acri di terra che nel Terzo mondo vengono utilizzati esclusivamente per la produzione di mangime destinato all'allevamento del bestiame europeo.



    Statistiche quanto minimo sconcertanti
    Purtroppo, l'80 per cento dei bambini che nel mondo soffrono la fame vive in paesi che di fatto generano un surplus alimentare che viene però per lo più prodotto sotto forma di mangime animale e che di conseguenza viene utilizzato solo da consumatori benestanti.
    Al momento, uno sconcertante 36 per cento della produzione mondiale di grano è consacrato all'allevamento del bestiame.
    Nelle aree in via di sviluppo, dal 1950 ad oggi, la quota-parte di grano destinata alla zootecnia è triplicata ed ora supera il 21 per cento del totale di grano prodotto.
    In Cina, dal 1960 ad oggi, la percentuale di grano da allevamento è triplicata (dall'8 al 26 per cento).
    Nello stesso periodo, in Messico, la percentuale è cresciuta dal 5 al 45 per cento, in Egitto dal 3 al 31, ed in Thailandia dall'uno al 30 per cento.
    L'ironia dell'attuale sistema di produzione è che milioni di ricchi consumatori dei paesi industrializzati muoiono a causa di malattie legate all'abbondanza di cibo - attacchi di cuore, infarti, cancro, diabete - malattie provocate da un'eccessiva e sregolata assunzione di grassi animali; mentre i poveri del Terzo mondo muoiono di malattie poiché viene loro negato l'accesso alla terra per la coltivazione di grano e cereali destinati all'uomo.
    Le statistiche parlano chiaro: sarebbero 300 mila gli americani che ogni anno muoiono prematuramente a causa di problemi di sovrappeso.
    Un numero destinato ad aumentare. Secondo gli esperti, nel giro di qualche anno, se continuano le attuali tendenze, sempre più americani moriranno prematuramente più per cause di obesità che per il fumo delle sigarette.
    Attualmente il 61 per cento degli americani adulti è in sovrappeso.
    Ma contrariamente a quanto si crede, gli americani non sono i soli ad essere grassi.
    In Europa, oltre la metà della popolazione adulta fra i 35 e i 65 anni ha un peso superiore al normale.
    Nel Regno Unito il 51 per cento della popolazione è in sovrappeso e in Germania si registra un eccedenza di peso nel 50 per cento degli individui.
    Anche nei paesi in via di sviluppo, fra le classi più abbienti della società, il numero degli obesi va velocemente crescendo.
    Il Who (World Health Organization) sostiene che la ragione principale di tutto ciò è "l'assunzione di cibi ad alto contenuto di grassi la predilezione dell' "hamburger life style".
    Secondo il Who, il 18 per cento della popolazione dell'intero globo è obesa, più o meno quante sono le persone denutrite.
    Mentre i consumatori dei paesi ricchi letteralmente fagocitano se stessi fino alla morte, seguendo regimi alimentari carichi di grassi animali, nel resto del mondo circa 20 milioni di persone l'anno muoiono di fame e di malattie collegate.



    Ma i consumatori di carne non sanno né vogliono sapere
    Secondo le stime, la fame cronica contribuisce al 60 per cento delle morti infantili.
    Il consumo di grandi quantità di carne, specie quella di bovini nutriti a foraggio, è visto da molti come un diritto fondamentale e un modo di vita.
    La società dell'hamburger di cui fanno parte anche persone alla disperata ricerca di un pasto al giorno non viene mai sottoposta al giudizio della pubblica opinione.
    I consumatori di carne dei paesi più ricchi sono così lontani dal lato oscuro del circuito grano-carne che non sanno, né gli interessa sapere, in che modo le loro abitudini alimentari influiscano sulle vite di altri esseri umani e sulle scelte politiche di intere nazioni.
    Il punto è questo.
    A Roma nel giugno 2002 si è svolto l'ultimo "vertice mondiale sull'alimentazione" organizzato sotto l'egida della FAO (Food and Agricultural Organization)

    Ma cosa succede in questi faraonici summit sulla fame nel mondo?
    - Si parla molto di come incrementare la produzione alimentare.
    - Le società bio-tecnologiche fanno propaganda ai loro "super semi" geneticamente modificati.
    - I paesi del G-7 e le Organizzazioni non governative parlano della necessità di estendere gli aiuti alimentari.
    - Gli stati del Sud del mondo chiedono accordi più equi per il commercio globale e di come assicurare prezzi più alti per le proprie merci e i propri prodotti.
    - Si discute persino della necessità di una riforma agricola nei paesi poveri.

    Ma il tema assente dal panorama dei dibattiti sono le abitudini alimentari dei consumatori dei paesi ricchi che preferiscono mangiare prodotti animali pieni di grassi e altri cibi al top della catena alimentare globale, mentre i loro fratelli del Terzo mondo muoiono di fame perché gran parte del terreno agricolo viene utilizzato per la coltivazione di cereali destinati agli animali.
    Da troppo tempo ormai si attende una discussione globale su come meglio promuovere una dieta vegetariana diversificata, ad alto contenuto di proteine e adatta all'intera umanità.
    Purtroppo invece, quando i delegati terminano gli incontri giornalieri previsti nei summit e si siedono a tavola, la vera politica dell'alimentazione è seduta lì ed è proprio di fronte ai loro occhi, nei loro piatti, abbondanti di carne…



    Chi mangia carne consuma le risorse della terra quattro volte di più di chi non lo fa
    Possiamo fare qualcosa in prima persona per sfruttare di meno le risorse della terra: cominciare ad essere vegetariani.
    Potrebbe parere un affermazione troppo forte, una sorta di diktat, ma è tutt'altro che così.
    Si tratta solo della conseguenza di una auspicabile consapevolezza, di elevare –come per altro previsto dal Grande Piano Evolutivo di cui ognuno di noi fa parte- il livello di coscienza.
    Quando si mangia una bistecca bisognerebbe essere consapevoli.
    Consapevoli dei liquami che filtrano nelle falde acquifere, delle foreste disboscate, del deserto conseguente, dell'anidride carbonica e del metano che intrappolano il globo in una cappa calda.
    Ogni bistecca equivale a 6 metri quadrati di alberi abbattuti e a 75 chili di gas responsabili dell'effetto serra.
    Consapevoli anche delle tonnellate di grano e soia usate per dar da mangiare alla fonte delle bistecche.
    Consapevoli degli 840 milioni di persone nel mondo hanno fame e dei 9 milioni che ne hanno tanta da morirne.
    Consapevoli che il 70% di cereali, soia e semi prodotti ogni anno negli Usa serve a sfamare animali. Non uomini.
    Tale consapevolezza dovrebbe portarci a comprendere che mangiare meno carne, o magari non mangiarne affatto, non è più solo un segno di rispetto per gli animali è una scelta sociale. Una scelta solidale con chi ha fame e con il futuro del pianeta.
    Un pianeta sovraffollato che si trova sempre più vicino alla profezia dell'economista Malthus, che già due secoli fa ammoniva: "Arriverà il giorno in cui la pressione demografica avrà esaurito la capacità della terra di nutrire l'uomo."
    Ed è questo il più significativo elemento che emerge dai dati sull'impatto ambientale ed economico dell'alimentazione carnivora.



    Carne come alimento = sofferenza per gli uomini e per il pianeta
    Durante il vertice mondiale sull'alimentazione della FAO di cui abbiamo già accennato, questi temi sono stati sostenuti dalla Global Hunger Alliance, una coalizione internazionale non-profit che promuove soluzioni ecologiche ed equo solidali per risolvere il problema della fame nel mondo.
    Al suo appello (www.ebasta.org, www.progettogaia.org) hanno aderito movimenti da 30 Paesi del Nord e del Sud del mondo.
    Dall'Italia, vegetariani, ambientalisti e difensori degli animali si sono associati con la campagna "Contro la fame un'altra alimentazione è possibile" (www.novivisezione.org).
    Cosa chiedevano?
    All'Unione Europea di disincentivare gli allevamenti intensivi e mangiare meno carne, e alla FAO di scoraggiare il trasferimento della zootecnia intensiva nei Paesi in via di sviluppo.
    Ma perché?
    Perché il nostro pianeta viene saccheggiato per perseguire quello che è un vero e proprio business collegato alla soddisfazione di un piacere, alla gola di tanti umani ricchi e ben pasciuti.
    Non si starà ad approfondire più di tanto, in questa sede, ad obiezioni sulla necessità della carne per l'alimentazione umana. Chi vuole può approfondire l'argomento con la massa ormai enorme di notizie, libri, siti (ad esempio http://web.tiscali.it/vitasenzacarne) e quant'altro, che affermano quanto sia migliore e salutare questa dieta, nonché quanto siano infondate le teorie che sostengono come solo la carne contenga le proteine utili all'uomo e che la sua carenza renda più deboli.
    Che non sia così potrebbe essere intuito facilmente anche solo da semplici considerazioni sull'alimentazione necessaria agli animali che ci forniscono tali proteine, o dal fatto che elefante e cavallo sono gli animali più forti e resistenti alla fatica…



    Altri dati che fanno pensare (Da Carne amara. Supplemento D - La Repubblica 28-05-2002, di Daniela Condorelli)

    Ogni volta che addentiamo un hamburger si perdono venti o trenta specie vegetali, una dozzina di specie di uccelli, mammiferi e rettili.
    Dal 1960 a oggi, oltre un quarto delle foreste del Centro America è stato abbattuto per far posto a pascoli; in Costa Rica i latifondisti hanno abbattuto l'80% della foresta tropicale e in Brasile c'è voluto l'omicidio di Chico Mendes, il raccoglitore di gomma assassinato dagli allevatori per una disputa sull'uso della foresta pluviale, per accorgersi dell'esistenza di una "bovino connection".
    In Amazzonia la foresta pluviale è stata divorata da 15 milioni di ettari di pascolo, eppure è in questo habitat che dimora il 50% delle specie viventi e da qui deriva un quarto di tutti i farmaci che usiamo.
    Dove prima c'erano migliaia di varietà viventi ora ci sono solo mandrie.
    "Vacche ovunque", scrive Rifkin nel suo "Ecocidio": "attualmente il nostro pianeta è popolato da ben oltre un miliardo di bovini. Quest'immensa mandria occupa, direttamente o indirettamente, il 24 per cento della superficie terrestre e consuma una quantità di cereali sufficiente a sfamare centinaia di milioni di persone".
    Per farvi posto occorre terreno da pascolo e deforestazione per creare pascoli significa desertificazione.
    Dopo tre, al massimo cinque anni, il suolo calpestato e divorato da milioni di bovini (ogni capo libero ingurgita 400 chili di vegetazione al mese!) ed esposto a sole, piogge e vento, diventa sterile e i ruminanti si devono spostare dissacrando altri ettari di foresta.
    Ci vorranno da 200 a mille anni perché quei terreno ritorni fertile.
    Ma non basta: un quarto delle terre emerse vengono usate per nutrire il bestiame.
    E che dire dell'acqua? Quasi la metà dell'acqua dolce consumata negli States è destinata alle coltivazioni di alimenti per il bestiame: e' stato calcolato che un chilo di manzo si beve 3.200 litri d'acqua.
    Il risultato è che le falde acquifere del Mid-West e delle Grandi Pianure statunitensi si stanno esaurendo.
    Non solo: l'allevamento richiede ingenti quantità di sostanze chimiche tra fertilizzanti, diserbanti, ormoni, antibiotici: "tutti prodotti dalle stesse, poche, multinazionali che detengono il monopolio dei semi usati per coltivare cereali e legumi destinati ad alimentare il bestiame", fa notare Enrico Moriconi, veterinario e ambientalista, nelle pagine del suo "Le fabbriche degli animali" (Edizioni Cosmopolis).
    "Ogni anno in Europa", incalza Marinella Correggia, attivista della Global Hunger Alliance e autrice, per la LAV , di "Addio alle carni" (www.infolav.org), "gli animali da allevamento consumano 5 mila tonnellate di antibiotici di cui 1.500 per favorirne la crescita".
    E tutti vanno a finire nelle falde acquifere.
    Un dato italiano, che riferisce Roberto Marchesini, docente di bioetica e zoo-antropologia, autore di "Post-human", (ed. Bollati Boringhieri): "Nel bacino del Po ogni anno vengono riversate 190 mila tonnellate di deiezioni animali. Contengono metalli pesanti, antibiotici e ormoni".
    Con quali conseguenze? Ricordate il problema delle alghe abnormi nel Mar Adriatico?
    Marchesini parla di "fecalizzazione ambientale" e Rifkin ci illumina sulla portata del problema riportando che un allevamento medio produce 200 tonnellate di sterco al giorno.
    C'è dell'altro: i bovini sono responsabili dell'effetto serra tanto quanto il traffico veicolare del mondo intero a causa dell'uso di petrolio ( 22 grammi per produrre un chilo di farina contro 193 per uno di carne), delle emissioni di metano dovute ai processi digestivi (60 milioni di tonnellate ogni anno) e dell'anidride carbonica scatenata dal disboscamento.



    Un chilo di vegetali per 60 grammi di carne
    Vogliamo riassumere?
    E' la stessa FAO a fornire un elenco agghiacciante dei problemi causati dagli allevamenti intensivi: riduzione della bio-diversità, erosione del terreno, effetto serra, contaminazione delle acque e dei terreni, piogge acide a causa delle emissioni di ammoniaca.
    E tutto questo per cosa?
    Per quelle che Frances Moore Lappé, autrice di "Diet for a small planet" definisce "fabbriche di proteine alla rovescia".
    Significa che ci vuole un chilo di proteine vegetali per avere 60 grammi di proteine animali.
    E inoltre: "per produrre una bistecca che fornisce 500 calorie", spiegano gli autori di "Assalto al pianeta" (ed. Bollati Boringhieri), "il manzo deve ricavare 5 mila calorie, il che vuoi dire mangiare una quantità d'erba che ne contenga 50 mila.
    Solo un centesimo di quest'energia arriva al nostro organismo: il 99% viene dissipata... Usata per il processo di conversione e per il mantenimento delle funzioni vitali, espulsa o assorbita da parti che non si mangiano come ossa o peli".
    Il bestiame è dunque una fonte di alimentazione altamente idrovora ed energivora, una massa bovina che ingurgita tonnellate di acqua ed energia.
    E lo fa per nutrire solo il 20% della popolazione globale del pianeta.
    Quel 20% che sfrutta l'80% delle risorse mondiali.
    Per dare a quel 20% la sua bistecca quotidiana.
    "Nel mondo c'è abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l'ingordigia di alcuni", diceva Gandhi.
    Ingordigia che ha raggiunto livelli esorbitanti. "Dal Dopoguerra a oggi, in Europa, siamo passati da circa 7-15 chili di consumo pro capite all'anno a 85-90 (110-120 negli States)", riferisce Marchesini.
    Secondo Moore Lappé le tonnellate di cereali e soia che nutrono gli animali da carne basterebbero per dare una ciotola di cibo al giorno a tutti gli esseri umani per un anno.
    E la FAO conferma che se una dieta vegetariana mondiale potrebbe dar da mangiare a 6,2 miliardi di persone, un' alimentazione che comprenda il 25% di prodotti animali può sfamarne solo 3,2 miliardi.



    Ma c'è una spiacevole sorpresa
    La domanda di carne sta crescendo.
    Paesi come la Cina stanno abbandonando riso e soia a favore di abitudini occidentali.
    Stiamo esportando il nostro modello alimentare (e che modello!).
    Secondo l'IFPRI entro il 2020 la domanda di carne nei Paesi in via di sviluppo aumenterà del 40%: questo significherà oltre 300 milioni di tonnellate di bistecche.
    E raddoppierà, sempre nei Paesi in via di sviluppo, la domanda di cereali per nutrire queste tonnellate di carne.
    Fino a raggiungere 445 milioni di tonnellate.
    Richieste incompatibili con la salute del pianeta e con un equo sfruttamento delle risorse.
    Il manzo globale sta diventando una realtà.
    Si chiama rivoluzione zootecnica: significa spostare nel Sud del mondo la produzione di carne.
    La Banca Mondiale sovvenziona, in Cina, l'industria dell'allevamento e della macellazione.
    Ma sbaglia: suolo e acqua non bastano per sfamare il mondo a suon di bistecche e hamburger.
    Con un terzo della produzione di cereali destinata agli animali e la popolazione mondiale in crescita deI 20% ogni dieci anni", scrive Rifkin, "si sta preparando una crisi alimentare planetaria".
    Incalza Correggia: "è stato calcolato che l'impronta ecologica, cioè il consumo di risorse, di una persona che mangia carne è di 4 mila metri quadrati di terreno contro i mille sufficienti a un vegetariano".
    E allo stato attuale, la disponibilità di terra coltivabile per ogni abitante della terra è di 2.700 metri quadrati ". Ancora: un ettaro di terra a cereali per il bestiame dà 66 chili di proteine, che diventano 1.848 (28 volte di più!) se lo stesso terreno viene coltivato a soia.
    Secondo la Correggia bisogna "promuovere il miglioramento della dieta nelle aree povere, ad esempio con una miglior combinazione degli alimenti, la produzione locale di integratori a basso costo e il recupero di cereali e legumi tradizionali molto più ricchi di quel trinomio riso - frumento - mais (rigorosamente raffinati!) che ha conquistato il mondo".



    Una scelta etica e responsabile
    Economia, ecologia e cibo per tutti sì fondono. Ambiente ed economia, del resto, sono legati dalla quantità di risorse che la terra mette a disposizione di ciascun essere vivente.
    Se qualcuno consuma di più c'è un altro costretto a digiunare.
    Naturalmente non è così semplice. La fame nel mondo non è solo una questione di quantità di risorse, ma di distribuzione.
    O meglio, con Marchesini "è una questione di produzione, consumo e distribuzione insieme".
    Essere vegetariani è una scelta personale, frutto di un percorso (certo, se cominciassimo a ridurre quei 90 chili di carne all'anno...).
    Marchesini la definisce una scelta di etica privata (etica pubblica, obbligo collettivo, deve essere, invece, l'attenzione al benessere degli animali).
    Ma essere vegetariani è anche un atto di responsabilità e sensibilità sociale ed ecologica.
    Scrive Rifkin: "milioni di occidentali consumano hamburger e bistecche in quantità incalcolabili, ignari dell'effetto delle loro abitudini sulla biosfera e sulla sopravvivenza della vita nel pianeta".
    Ogni chilo di carne è prodotto a spese di una foresta bruciata, di un territorio eroso, di un campo isterilito, di un fiume disseccato, di milioni di tonnellate dì anidride carbonica e metano rilasciate nell'atmosfera"...
    Se ogni volta che decidiamo di comprare una bistecca pensassimo a tutto questo forse per quel giorno cambieremmo menù, e chissà, magari sostituiremmo la carne con un piatto di germogli di soia consapevoli di fare del bene non solo all'umanità e al pianeta che così gentilmente ci ospita e sopporta, ma anche a noi stessi a alla nostra salute…



    Una citazione emblematica
    Rifkin chiude il suo libro con considerazioni veramente significative:
    "I ricchi consumatori del Primo mondo si godono i piaceri di una dieta carnea, ma patiscono le conseguenze degli eccessi che la posizione dominante nell'artificiosa scala delle proteine comporta: con il corpo intasato di colesterolo, vene e arterie occluse dai grassi animali, sono vittime delle "malattie del benessere", degli attacchi cardiaci, dei tumori del colon e della mammella, del diabete.


    Il moderno complesso bovino rappresenta una nuova specie di forza malvagia che agisce nel mondo.
    In una civiltà che ancora misura il male in termini individuali, il male istituzionale, nato dal distacco razionale e perseguito freddamente con metodi calcolati di espropriazione tecnologica, deve ancora trovare una posizione sulla scala morale.
    La riprovazione morale continua a essere legata ad atti d'individuale malvagità; se un membro della società commette un atto di violenza, priva il suo prossimo della vita, della proprietà o della libertà, l'individuo e il suo gesto sono universalmente condannati.
    Il male è manifesto, visibile, diretto e passibile di giudizio.


    Il mondo moderno riconosce il male individuale che cagiona un danno diretto ad altri individui.
    Ma non sa ancora riconoscere una nuova e ben più pericolosa forma di male, che ha premesse tecnologiche, imperativi istituzionali e obiettivi economici.
    La società contemporanea continua a tutelarsi dal male individuale e diretto, ma ancora non è riuscita a integrare nella propria griglia morale di riferimento il senso di giusta indignazione e di riprovazione morale nei confronti della violenza istituzionalmente certificata.
    Ma cosa accade di un altro genere di malvagità: quella implicita all'origine, nelle premesse medesime su cui si fondano le istituzioni?
    La chiesa accenna, con molta timidezza, all'idea di combattere "le potenze e i principati terreni", ma anche qui riconosce solo un concetto tradizionale di moralità, ispirato ai Dieci Comandamenti.


    Cosa dire, invece, del male che scaturisce da metodi razionali di confronto, obiettività scientifica, riduzionismo meccanicista, utilitarismo ed efficienza economica?
    Il male inflitto al mondo moderno dal complesso bovino ha questa natura: avidità, inquinamento e sfruttamento hanno accompagnato il complesso bovino durante tutta la millenaria migrazione verso Ovest.
    La nuova dimensione del male è intimamente connessa con il complesso bovino moderno, che ha acquisito i caratteri di un male occulto, e discende direttamente dai principi illuministi su cui si fonda gran parte della moderna visione del mondo.
    Questo male occulto viene inflitto a distanza; è un male camuffato da strati sovrapposti di veli tecnologici e istituzionali; un male cosi lontano, nel tempo e nel luogo, da chi lo commette e da chi lo subisce, da non lasciar sospettare o avvertire alcuna relazione causale. E' un male che non può essere avvertito, data la sua natura impersonale.


    Lasciare intendere che un individuo sta facendo il male coltivando cereali destinati all'alimentazione animale o consumando un hamburger, può sembrare strano, perfino perverso, a molti.
    Anche se i fatti fossero espliciti e incontrovertibili, e il percorso del male fosse tracciato nei suoi più minuti dettagli, è improbabile che molti, nella società, avvertirebbero il medesimo senso di riprovazione morale che provano di fronte a un male diretto e individuale, come una rapina, uno stupro, la deliberata tortura del cane dei vicini.


    E' probabile che i proprietari dei negozi in cui si vende carne di bovini nutriti a cereali non avvertano mai, personalmente, la disperazione delle vittime della povertà, di quei milioni di famiglie allontanate dalla propria terra per fare spazio a coltivazioni di prodotti destinati esclusivamente all'esportazione.
    E che i ragazzi che divorano cheeseburgers in un fast-food non siano consapevoli di quanta superficie di foresta pluviale sia stata abbattuta e bruciata per mettere a loro disposizione quel pasto.

    E che il consumatore che acquista una bistecca al supermercato non si senta responsabile del dolore e della brutalità patiti dagli animali nei moderni allevamenti ad alta tecnologia.


    In una civiltà completamente imbevuta di principi illuministi, come la meccanizzazione e l'efficienza economica, la sola idea che questi medesimi principi siano, potenzialmente, causa del male è censurata.
    La maggior parte delle relazioni che regolano le società moderne sono mediate dalla razionalità, dal distacco obiettivo, dalla ricerca dell'efficienza, da c considerazioni utilitariste e interventi tecnologici.


    Il moderno complesso bovino, come abbiamo appreso attraverso le pagine di questo libro, è stato fra le prime forze istituzionali a mettere in pratica le idee dell'Illuminismo, a integrare gli standard ingegneristici della moderna visione del mondo in ogni aspetto della propria attività.
    Nell'era moderna, queste idee e questi standard sono stati utilizzati efficacemente per tagliare gli intimi legami fra uomo e natura.
    I principi fondamentali dell'Illuminismo hanno spogliato la natura della propria vitalità e derubato le altre creature della propria essenza originale e del proprio valore intrinseco.


    Nel mondo moderno, freddo e calcolatore, abbiamo scambiato la salvezza eterna con l'interesse materiale personale, il rinnovamento con la convenienza, la capacità generativa con le quote di produzione.
    Abbiamo appiattito la ricchezza organica dell'esistenza, trasformando il mondo che ci circonda in astratte equazioni algebriche, statistiche e standard di performance economica.


    Il male occulto viene perpetuato da istituzioni e individui mossi da principi organizzativi razionali, che a far loro da guida per scelte e decisioni, hanno solo forze di mercato e obiettivi utilitaristici (la globalizzazione del profitto).
    In un mondo di questo genere, ci sono ben poche occasioni per onorare la creazione, essere in sintonia con le altre creature, gestire l'ambiente e proteggere i diritti delle future generazioni.


    L'effetto sull'uomo e sull'ambiente del modo moderno di pensare e di strutturare le relazioni è stato quasi catastrofico: ha indebolito gli ecosistemi e minato alla base la stabilità e la sostenibilità delle comunità umane.
    La grande sfida che dobbiamo affrontare è rappresentata dal lato oscuro della moderna visione del mondo: dobbiamo reagire al male occulto che sta trasformando la natura e la vita in risorse economiche che possono essere mediate, manipolate e ricostruite tecnologicamente, per adeguarle ai ristretti obiettivi dell'utilitarismo e dell'efficienza economica.


    Il primo passo necessario è diventare consapevoli dei meccanismi di sfruttamento del pianeta di cui siamo complici.
    Il secondo passo necessario non è fare la rivoluzione, e non è neanche aderire a questa o quest'altra organizzazione alternativa (per quanto possa essere positivo), ma è far seguire conseguenti e coerenti azioni personali in armonia con una vita etica e rispettosa dell'ambiente e del prossimo. Se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo iniziare da noi stessi".



    Realizzazione Maurizio Sabbadini - fonte http://www.procaduceo.org/it_mater/articol...arne2.htm#costi


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    L'ignoranza dei mangiacadeveri è senza limiti! Non avevo la certezza che cibarsi di cadaveri renda intontiti e deliranti ma ora, grazie alle cavolate che son state scritte negli ultimi post, ne ho!

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    Le mucche "da latte" sono selezionate geneticamente ed inseminate artificialmente per produrre quanto più latte possibile. Dall'età di circa due anni, trascorrono in gravidanza nove mesi ogni anno. Poco dopo la nascita, i vitelli sono strappati alle madri, perché non ne bevano il latte, e rinchiusi in piccoli recinti.



    Portare via il vitellino dalla madre crea un'enorme sofferenza e angoscia in entrambi. Racconta John Avizienus della Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals inglese, di una mucca che, separata a forza dal figlio, si fermava davanti al posto in cui l'aveva visto per l'ultima volta, e muggiva per ore e ore, piena di disperazione e tristezza. Allo stesso modo soffrono i cuccioli, che non possono stare vicino alla madre, non possono correre e giocare coi loro simili, non ricevono quell'affetto che a un cucciolo è necessario più dell'aria che respira.



    I vitelli vengono poi alimentati con una dieta inadeguata apposta per renderli anemici e far sì che la loro carne sia bianca e tenera (come piace ai consumatori) e infine sono mandati al macello.



    La mucca verrà quindi munta per mesi, durante i quali sarà costretta a produrre una quantità di latte pari a 10 volte l'ammontare di quello che sarebbe stato necessario, in natura, per nutrire il vitello. Non sorprende che ogni anno un terzo delle mucche sfruttate nei caseifici soffra di mastite (una dolorosa infiammazione delle mammelle).



    Per aumentare la produzione di latte, la mucca è alimentata con proteine molto concentrate, ma spesso neppure queste sono sufficienti, tanto da provocare lacerazione dei tessuti per soddisfare la continua richiesta di latte (in Inghilterra hanno coniato un termine per definire questa pratica: "milking off the cow's back", ossia mungitura del posteriore della mucca). Ciò provoca una condizione chiamata acidosi, che può rendere zoppo l'animale e ciò accade ogni anno al 25% delle mucche sfruttate per la produzione di latte.



    Il prof. John Webster, autore del libro "Il benessere animale. Uno sguardo verso il paradiso", spiega che il dolore che sentono questi poveri animali è come quello che si prova se ci si chiudono le dita dei piedi in una porta e poi si cerca di camminare.

    Dopo cinque o sei anni di questa vita, ormai esausta e sfruttata al massimo, la mucca verrà macellata.

    La durata della sua vita, in natura, sarebbe stata di circa 20 anni.

    da www.incontraglianimali.org

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    - Noi abbiamo un sogno, quello di un'umanità libera da condizionamenti mentali esercitati da millenni dai centri di potere politico, economico e religioso; un'umanità libera dalle malattie, dal dolore e dalla violenza; un'umanità in cui ogni individuo ha gli strumenti per essere artefice del proprio destino, della propria salute fisica, del proprio equilibrio mentale e della propria sfera spirituale.



    - Noi siamo consapevoli che una società migliore è possibile solo se migliori saranno le coscienze di coloro che la compongono: più giuste e sensibili verso le esigenze vitali di ogni essere vivente, aperta alla fratellanza biologica universale in cui i codici del diritto alla vita, alla libertà e al rispetto sono estesi dall'uomo ad ogni creatura. Siamo consapevoli che i sistemi politici ed economici cambieranno solo se cambierà il cuore e la mentalità della gente che li fa e li gestisce.



    - Riteniamo il vegetarismo l'anello mancante alla cultura umana per poter superare il lungo periodo storico dell'uomo dell'ingiustizia, della violenza, della guerra, del dolore, della malattia.



    - Noi siamo consapevoli che educare a rispettare e a valorizzare il piccolo sia la soluzione di gran parte dei problemi del genere umano. Infatti come potrebbe l'uomo nuocere al suo simile se fosse educato alla gentilezza verso ogni essere vivente?



    - Chi dice "io sono verde" oppure "io sono bianco" è in errore: chi guarda in una sola direzione esclude dal suo orizzonte tutto il resto. Chi dice "io sono arcobaleno", questi è nel vero.



    - Noi sosteniamo la cultura delle cause e del senso critico non la cultura sintomatologia.



    - La filosofia universalista del vegetarismo valorizza le diversità formali e sostanziali della vita.



    - Ci opponiamo all'arcaica quanto perniciosa visione antropocentrica alla quale contrapponiamo la vitale filosofia del biocentrsimo.



    - Consideriamo una vergogna per un popolo civile convivere, tollerare, giustificare l'esistenza dei campi di sterminio dei mattatoi, come ciò che preclude l'evoluzione civile, morale e spirituale di un popolo.



    - Nessuna malattia può essere debellata senza considerare l'individuo nella sua interezza e senza neutralizzare le cause che l'anno generata che sempre risiedono nel modo di essere e di alimentarsi dell'individuo.



    - Nessun vero benessere è possibile se l'individuo non cura simultaneamente le 4 componenti fondamentali dell'essere: quella fisica, quella mentale, quella emozionale e quella spirituale.



    - Il cibo influisce sulla mente, sul corpo e sulla sfera morale e sulla dimensione spirituale dell'individuo.



    -La tossiemia è l'effetto di una moltitudine di cause che porta a tutte le malattie.



    - I cibi cotti sono la causa della debilitazione dell'uomo.



    - Con la frutta, i cibi crudi, il digiuno, l'aria pulita, la serenità d'animo e la bontà del cuore è possibile curare ogni malattia.



    - L'alimentazione carnea è correlata ai 7 problemi più gravi del mondo: (la violenza, la malattia, la fame nel mondo, la distruzione delle foreste, l'inquinamento generale, la carenza di acqua potabile e di risorse energetiche)



    - La carne e i derivati animali hanno causato più morti di tutte le guerre messe assieme del secolo scorso.



    - Non è vero che occorre mangiare di tutto: se così fosse dovremmo imbandire le nostre tavole anche con i lombrichi e la cicuta: l'uomo deve mangiare ciò che è compatibile con la sua natura di essere fruttariano.



    Non è vero che per stare bene in salute è necessario mangiare carne o derivati animali: se così fosse coloro che non mangiano queste sostanze dovrebbero accusare carenze nutrizionali invece godono di una salute migliore degli onnivori.



    Non è vero che le proteine della carne sono di "alto valore biologico" perché contengono tutti gli aminoacidi essenziali: l'accoppiata di due o più diversi alimenti dà come risultato proteine di qualità migliori perché più assimilabili e più digeribili.



    Non è vero che per assicurasi il calcio è necessario mangiare latticini: è vero il contrario: l'alto contenuto di calcio dei latticini uniti alle proteine animali aumentano la calciuria riducendone la fissazione del calcio nel tessuto osseo. Il calcio del latte è scarsamente assimilabile perché legato alla caseina, base di una delle più potenti colle per il legno delle navi.



    Non è vero che ci può essere carenza di ferro nella dieta vegetariana: nel mondo 500 milioni di persone soffrono di carenze di ferro indipendentemente dalla dieta ed è molto più facile trovare una persona anemica tra gli onnivori che tra i vegetariani perché ciò che consente l'assimilazione di questo minerale è la presenza di vit C, Rame e Cobalto, presenti nei vegetali.



    Non è vero che l'uomo è un animale onnivoro: se così fosse sarebbe strutturato anatomicamente come gli animali predatori: dovrebbe avere artigli, zanne, velocità per rincorrere la preda, insensibilità di squartarla e divorarla palpitante.



    Non è vero che l'uomo ha sempre mangiato la carne: per milioni di anni è vissuto da fruttariano nella foresta e quando per necessità di sopravvivenza ha dovuto includere nella sua dieta anche la carne nella misura del 20% c'è stato un calo a picco della vita media e lo sviluppo di molte malattie umane.



    Non è vero che per essere vegetariani occorre farsi seguire da un nutrizionista: nessuna generazione che ci ha preceduto ha avuto bisogno di nutrizionisti: ogni animale riconosce per istinto il cibo adatto alla sua dieta e gli animali liberi e allo stato naturale non si ammalano mai a differenza dell'uomo che è flagellato da diverse centinaia di terribili malattie.



    Non è vero che gli animali sono fatti per l'uomo (come i neri erano fatti per i bianchi, le donne per gli uomini, gli schiavi per i padroni); non è vero che non hanno un'anima o che il loro dolore o la loro vita hanno meno valore della nostra: se così fosse il Creatore sarebbe un dio ingiusto e crudele, dalla parte dei forti, dei predatori e non degli ultimi e dei deboli come affermava Gesù.

    Franco Libero Manco

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    Le caratteristiche interne del nostro organismo differiscono profondamente dagli animali onnivori.

    Gli occhi che guardano avanti e non ai lati, le mani prensili e delicate, non aggressive, il pollice della mano opponibile e concepito per raccogliere e trattenere nocciole e pomi; la dentatura adatta a masticare vegetali, semi e frutta; conformazione intestinale oblunga (12 volte la lunghezza del tronco).

    Inoltre:
    il sangue e la saliva umana sono alcaline e non acide (come nei carnivori-onnivori);
    totale assenza nell'uomo dell'enzima uricasi, che serve a disintegrare il micidiale acido urico delle carni, mentre detto enzima è abbondante negli animali carnivori-onnivori;
    scarsa presenza di acido cloridrico nello stomaco umano, e quindi difficoltà di disgregare le proteine animali, mentre tale presenza acida nei carnivori-onnivori è 10 volte più intensa;
    forma del cranio arrotondata con i muscoli della faccia adatti a triturare; canini poco sviluppati, grandi molari adatti ai cibi duri, forma dei denti con incisivi, smalto molto spesso dei denti (l'uomo è l'animale con lo smalto più spesso adatto a mangiare cibi duri); pollice opponibile adatto a raccogliere frutti e semi, sedere grosso, intestino saccoluto, cioè a zone, a sacchetti adatto alla fermentazione di cibi vegetali;
    le mandibole dell'uomo possono effettuare movimenti laterali e antero-posteriori; la dentatura è bunodonta; formula dentale diversa; debole muscolatura dello stomaco.

    L'uomo attuale, strettamente imparentato con il gorilla, lo scimpanzé, i gibboni e gli urang tang, appartiene alla classe dei mammiferi, all'ordine dei primati, alla famiglia degli ominidi, al genere homo, alla specie homo sapiens ed ha con questi in comune il 98 per cento del patrimonio genetico. E' anatomicamente strutturato come questi che hanno infatti due mani e due piedi, niente coda, occhi che guardano in avanti, ghiandole mammarie sul petto, milioni di pori sudoripari nella pelle, pollice della mano opponibile adatto a raccogliere semi e frutti, apparato masticatorio come il nostro, canini poco sviluppati, grandi molari smussati adatti a triturare cibi duri e quindi notevole spessore dello smalto, forma dei denti cuspidi arrotondati, incisivi ben sviluppati adatti a tagliare i frutti e i vegetali, inoltre ghiandole salivari ben sviluppate come le nostre, lingua liscia e non ruvida come i carnivori, saliva ed urina alcalina, stomaco con duodeno, l'intestino lungo 12 volte la lunghezza del tronco, la placenta è discoidale, il colon convoluto: struttura anatomica praticamente identica alla nostra.



    Il fatto che questi nostri parenti siano vegetariani indica chiaramente che l'essere umano non è stato strutturato dalla natura a mangiare la carne, e che non è, come alcuni sostengono, un animale onnivoro.



    Baron Gorge Cuvier (1769-1832), uno dei maggiori naturalisti: "L'uomo sulle basi della propria struttura, è un mangiatore di frutta, della parte succosa dei vegetali e delle radici".



    Dr. Richard Lehne, anatomista: "L'anatomia comparata prova che la dentatura umana è totalmente frugivora e ciò è confermato dalla paleozoologia con documenti vecchi milioni di anni".



    Carolus Linnaeus (1707-1778), celebre botanico: "La frutta è il cibo più adatto alla bocca, allo stomaco, alle stesse mani dell'uomo, disegnate appositamente per raccogliere e mangiare frutta. Anche se il genere umano ad un certo punto della sua storia acquisì abitudini onnivore, millenni di onnivorismo non hanno cambiato di una virgola anatomia e la fisiologia del suo corpo".



    Girolamo Savonarola, celebre frate domenicano vegetariano, ci lascia un test per la valutazione della vera fame. "I veri onnivori e i veri carnivori, quando sono affamati, sono attratti istintivamente da animali e carogne che interpretano come cibo immediato. Questo non accade mai all'uomo. Il ribrezzo che ogni uomo normale e sano prova alla vista del sangue e di un cadavere è la prova della sua natura non carnivora".

    di Franco Libero Manco - Associazione Vegetariana Animalista

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    Il modo "razionale" in cui noi uomini alleviamo gli animali per ucciderli, tagliando la coda ai maiali perché quelli dietro non la mordano a quelli davanti, e il becco ai polli perché, impazzendo nella loro impossibilità di muoversi, non attacchino il vicino, è un ottimo esempio della barbarie della ragione.
    [...] Una sera il vecchio miliardario volle che cenassi con lui e la sua famiglia e mi invitò in uno dei famosi ristoranti di Wellington Street, quelli coi maialini di latte arrostiti appesi all’ingresso a sgrondare il grasso e, esposte sulla strada come fossero acquari, le vasche di vetro con dentro, vivi, i migliori pesci, gamberi e aragoste ad aspettare che un cliente, passando, dica: "Quello!" e la bestia venga pescata e cotta secondo l’ordinazione.

    Non è vero, come sostengono alcuni, che sia stata la Bibbia col suo divino invito all’uomo a moltiplicarsi nel mondo su cui lui, solo lui, ha "il dominio" a creare la violenza carnivora della razza umana. I cinesi sono arrivati alla stessa violenza senza la Bibbia, e per millenni questa di cucinare con raffinata tortura ogni animale è stata parte della loro cultura, una parte fra l’altro che nessun regime e nessuna ideologia politica hanno mai osato sfidare.


    Guardavo quei bei pesci muoversi nell’acqua, guardavo i maialini appesi agli uncini e pensavo a come, a parte la miseria e la fame, l’uomo ha sempre trovato strane giustificazioni per la sua violenza carnivora nei confronti degli altri esseri viventi. Uno degli argomenti che vengono ancora oggi usati in Occidente per giustificare il massacro annuo di centinaia di milioni di polli, agnelli, maiali e bovi è che per vivere si ha bisogno di proteine. E gli elefanti? Da dove prendono le proteine gli elefanti?

    L’argomento con cui un amico cercò di convincere Gandhi ad abbandonare la tradizione ortodossamente vegetariana della sua famiglia fu dello stesso tipo. Gli disse che gli inglesi erano capaci con pochi uomini di dominare milioni di indiani perché mangiavano carne. Questo li rendeva forti. Il solo modo di combatterli era di diventare carnivori come loro.


    Una notte allora i due amici vanno in riva al fiume e per la prima volta Gandhi mangia un boccone di carne di capra, tradendo così la fede dei suoi genitori e della sua casta. Ma sta malissimo. Non digerisce e ogni volta che cerca di addormentarsi gli pare di sentire nello stomaco il belare della capra mangiata, come racconta nella sua autobiografia. In tutta la sua vita Gandhi non toccò più un pezzo di carne, neppure nei suoi anni da studente in Inghilterra dove tutti gli dicevano che senza carne non avrebbe potuto resistere al freddo.

    Io, per cultura, non mi ero mai chiesto se ero vegetariano o meno. A casa mia, da ragazzo, mangiar carne era normale, se potevamo permettercela. Succedeva di solito alla domenica. Quando Angela e io arrivammo in India nel 1994 eravamo ancora tutti e due carnivori e per un po’ continuammo a esserlo.


    Una volta alla settimana un musulmano si presentava alla porta di casa con una impeccabile valigia dalla quale tirava fuori dei pacchi sanguinolenti con filetti e bistecche di manzo. Poi un giorno Dieter, l’amico fotografo tedesco, indicandomi per strada un branco di vacche attorno a un deposito di spazzatura, intente a mangiare sacchetti di plastica, scatole di cartone e giornali, disse: "Ecco quel che mangi con la bella carne del tuo musulmano. E pensa al piombo di tutta quella carta stampata!" Aveva assolutamente ragione. Pur permettendosi di macellare le mucche che gli Indù ritengono sacre, il nostro musulmano non aveva certo uno speciale pascolo di erba fresca dove mandare le sue vittime e quel che ci portava erano pezzi delle malaticce mucche di strada alimentate di rifiuti.

    La molla a smettere fu quella. Poi, col passare del tempo, mi sono reso conto che, non considerandoli più come cibo, cominciavo a guardare gli animali diversamente da prima e a sentirli sempre di più come altri esseri viventi, in qualche modo parte della stessa vita che popola e fa il mondo. La sola vista di una bistecca ormai mi ripugna, l’odore di una che cuoce mi dà la nausea e l’idea che uno possa allevare delle bestie solo per assassinarle e mangiarsele mi ferisce.

    Il modo perfettamente "razionale" in cui noi uomini alleviamo gli animali per ucciderli, tagliando la coda ai maiali perché quelli dietro non la mordano a quelli davanti, e il becco ai polli perché, impazzendo nella loro impossibilità di muoversi, non attacchino il vicino, è un ottimo esempio della barbarie della ragione. "Ma anche la verdura è vita!" mi sento dire dagli accaniti carnivori, sordi a ogni argomento, come se a cogliere un pomodoro si facesse soffrire la pianta come a strozzare un pollo, o come se si potesse ripiantare una coscia d’agnello nel modo in cui si ripianta il cavolo o l’insalata. Le verdure sono lì per essere mangiate. Gli animali no! Il cibo più naturale per l’uomo è quello prodotto dalla terra e dal sole.

    Il miliardario non arrivava. Io guardavo i maialini e chiedevo, tra me e me, a chi li avrebbe mangiati: "Avete mai sentito le grida che vengono da un macello?" Bisognerebbe che ognuno le sentisse, quelle grida, prima di attaccare una bistecchina. In ogni cellula di quella carne c’è il terrore di quella violenza, il veleno di quella improvvisa paura dell’animale che muore. Mia nonna era, come tutti, carnivora, se poteva, ma ricordo che diceva di non mangiare mai la carne appena macellata. Bisognava aspettare. Perché? Forse i vecchi come lei sapevano del male che fa mettersi in pancia l’agonia altrui. Perché quella che chiamiamo eufemisticamente "carne" sono in verità pezzi di cadaveri di animali morti, morti ammazzati. Perché fare del proprio stomaco un cimitero?

    Angela continua a mangiare carne, se le capita. Per me è impossibile. Ma non è più una questione di salute, di non ingurgitare il piombo dei giornali ruminati dalle vacche di strada. E’ un problema di morale. Ecco un piccolo, bel modo per fare qualcosa contro la violenza: decidere di non mangiare più altri esseri viventi[...]


    Tiziano Terzani - Un altro giro di giostra

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    Aspetti teorici critici dell'approccio protezionista
    di AlanAdler



    L'approccio protezionista si pone come un invito verso il sostegno di forme di allevamento più “umane”, dove all'animale vengono garantite condizioni di benessere elevate o comunque migliori. Anche se questo approccio può sembrare invitante, un'analisi più approfondita rivela aspetti teorici critici sotto diversi punti e potenzialmente nocivi alla condizione degli stessi animali che si vorrebbero aiutare. Le associazioni animaliste che si battono per un trattamento “umanitario” degli animali sostengono che le riforme che richiedono migliorano la situazione di benessere degli animali e invitano i consumatori ad acquistare prodotti che provengano da allevamenti biologici o che, comunque, non facciano uso di particolari metodologie cruente di allevamento. In sostanza, dunque, si offre al consumatore la possibilità di mantenere inalterate le proprie abitudini a tavola, rassicurandolo però che l'animale sfruttato non ha subito sofferenze [1].



    Ma questo tipo di approccio è proprio quello di cui ha bisogno l'ingenuo consumatore, poco propenso a farsi troppe domande davanti al proprio piatto, per superare il conflitto etico del cibarsi di animali e dei prodotti del loro sfruttamento, evitando in questo modo ogni rimorso e preoccupazione. È facile intuire che anche chi stia considerando il passaggio ad una dieta vegetariana, con tutti i dubbi che ragionevolmente ognuno si trova ad affrontare all'approccio di questa importante scelta, possa ritenere più semplice e invitante l'idea di non abbandonare le proprie abitudini alimentari scegliendo cibi animali “compassionevoli”, per di più se spinto dalle stesse associazioni animaliste.



    Le campagne protezioniste inoltre spesso dipingono gli allevatori che fanno uso di particolari metodologie cruente di allevamento o, in altri casi, gli operai filmati durante l'esercizio di deliberate violenze sugli animali allevati, come persone crudeli e spietate. Ma un'immagine di questo tipo allontana anche gli ultimi sensi di colpa rimasti nel consumatore, convinto in questo modo che le sofferenze e i maltrattamenti subiti dall'animale non dipendono dalle sue scelte alimentari, ma dagli allevatori che non si curano di adottare misure più confortevoli per gli animali o dagli operai che infieriscono deliberatamente sugli animali.



    Ma l'allevatore è un imprenditore industriale come qualsiasi altro, e come qualsiasi altro imprenditore industriale mira alla massimizzazione dei propri guadagni, anche in vista del procurare gravi sofferenze all'animale che, dopotutto, all'interno del processo produttivo, fino al banco del supermercato e da qui al piatto del consumatore, viene considerato nulla di più che, appunto, un oggetto, una merce, un prodotto. Accusare altri delle sofferenze dell'animale significa deresponsabilizzare e decolpevolizzare il consumatore, che si sente così sostenuto e legittimato nella sua “scelta” del mangiare animali, nel suo diritto a condannare altre vite a sofferenza e morte per avere il suo “giusto” piatto di carne.



    Le associazioni protezioniste presentano per di più una realtà fuorviante dei modelli che propongono. Oltre a ignorare o minimizzare le gravi ripercussioni che il consumo di cibi animali ha sulla salute umana, sull'ambiente e sugli animali selvatici, gli allevamenti biologici vengono presentati come una sorta di paradiso per animali, dove questi vengono seguiti e curati amorevolmente da persone compassionevoli, per poi trasformarsi magicamente, da un giorno all'altro, in bistecche, salsicce e prosciutti pronti all'uso. In questo modo vengono tenuti nascosti gli aspetti più raccapriccianti di queste “fattorie biologiche” e viene offerta una visione incompleta della reclusione, della deprivazione sociale e sessuale, delle mutilazioni, delle manipolazioni riproduttive e delle altre umiliazioni che l'animale dovrà subire in queste strutture.



    Viene taciuto il tragico momento del trasporto verso il centro di macellazione, durante il quale gli animali, terrorizzati e ammassati gli uni sugli altri, dovranno affrontare viaggi a volte anche molto lunghi, poiché non sempre il centro di macellazione si trova nei pressi dell'allevamento. E viene taciuto il momento della morte tra le pareti del macello, dove ogni animale destinato a divenire “carne” è condotto: una tragica realtà, omessa da queste associazioni, anche per mucche e galline “biologiche”, che quando non più produttive diventano rifiuti di cui sbarazzarsi. Così come viene omessa la drammatica sorte dei pulcini maschi uccisi alla nascita e dei vitellini scannati a sei mesi di vita, che rimane parte integrante del processo produttivo anche all'interno delle aziende biologiche.



    Il messaggio che giunge all'opinione pubblica da interventi di tipo protezionistico si riduce dunque nel ritenere accettabile lo sfruttamento e la morte di un animale se vengono minimizzate le condizioni di sofferenza: un messaggio che chiaramente si muove nella direzione opposta di chi invece cerca di mettere in luce la profonda ingiustizia connaturata nell'atto dello sfruttare e uccidere un animale per il solo soddisfacimento del proprio palato. Persuadere le persone che sia legittimo consumare prodotti provenienti da animali la cui sofferenza sia stata in qualche modo ridotta ci allontana molto dall'obiettivo finale: smettere di uccidere gli animali per cibarcene. E potrebbe anche convincere radicalmente l'opinione pubblica che, tutto sommato, non c'è niente di male nel massacrare miliardi di animali se comunque la loro sofferenza viene in qualche modo ridotta (ridotta, ma mai realmente eliminata).



    Spingere il consumatore all'acquisto di prodotti “compassionevoli” è una strategia il cui unico risultato non può che essere quello di perpetuare una visione dell'animale come oggetto al servizio dell'essere umano: i piccoli “traguardi” nel tempo, fatti di piccole modifiche negli allevamenti, non fanno altro che consolidare l'attuale situazione di sfruttamento e sottomissione dell'animale, trascinandosi dietro nel tempo un numero altissimo di vittime e allontanando sempre più una soluzione radicale e diretta al problema del consumo di cibi animali.



    Una concezione come quella protezionista, che approva, sostiene e rinforza l'idea dell'animale come oggetto, come proprietà privata dell'allevatore, risulta essere controproducente anche per gli stessi obiettivi che si pone, poichè ogni nuova riforma da proporre non potrà mai andare più in là di quanto gli interessi umani permettano. Come osserva Gary Francione, «è, tuttavia, fallace pensare che noi possiamo bilanciare gli interessi degli uomini, che sono protetti dai diritti fondamentali dell'uomo in generale e dal diritto di possedere una proprietà nello specifico, contro gli interessi degli animali che, come proprietà loro stessi, esistono solamente come mezzo per i fini dell'uomo» [2].



    Ciò può essere riscontrato facilmente anche nella situazione reale attuale: in un articolo del 2001 pubblicato su Livestock Production Science, in cui viene condotta un'analisi critica dell'allevamento biologico sotto diversi aspetti, l'autore afferma che le norme adottate “sono soprattutto basate su decisioni politiche e sono spesso un compromesso tra diversi interessi che non sono sempre direttamente legati al problema del benessere animale” [3]. È certamente evidente che il sistema legislativo mira a proteggere gli interessi dell'allevatore e non certo l'interesse dell'animale, pertanto ogni nuova riforma che si può sperare di ottenere deve essere approvata prima dall'allevatore, lo stesso allevatore “crudele” attaccato dalle stesse associazioni protezioniste.



    di AlanAdler - fonte www.animalstation.it/public/wordpress/?p=3540


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    La capacità di essere coerenti tra ciò che affermiamo a parole e il nostro comportamento, più di ogni altra qualità caratterizza la maturità di un individuo e ciò che maggiormente ci rende affidabili. La credibilità di un uomo si misura proprio dalla chiara e forte coerenza tra teoria e pratica dei suoi presupposti ideologici.



    In teoria tutti siamo saggi, avveduti, corretti ma nella pratica, come diceva un filosofo, "Se si andasse in fondo alle cose si avrebbe pietà perfino delle stelle". Che valore ha un uomo incoerente con i suoi ideali, che a parole afferma un principio e che nella pratica lo smentisce? Dimostra di non credere in ciò che afferma, di non avere la giusta volontà e il coraggio delle proprie idee, di essere debole, incerta, succube delle sue stesse esigenze fisiche, dei priori piaceri, delle proprie debolezze: è come (da biblica memoria) cedere la primogenitura per un piatto di lenticchie.



    Nulla come il piacere della gola mette in crisi la coerenza umana. Mangiare carne richiede l'uccisione di un animale, che significa infliggergli, oltre alla sofferenza della privazione della libertà e l'agonia della macellazione, l'ingiustizia suprema della privazione per sempre dell'unico suo bene, la vita.



    Ebbene, mi chiedo se i personaggi più influenti, più in vista nella scena sociale come il papa, il presidente della repubblica, il presidente del consiglio e le alte sfere della politica, della cultura, avrebbero il coraggio di essere coerenti con i principi di giustizia, di rispetto che proclamano uccidendo con le proprie mani l'animale che mangiano a tavola, senza sottrarsi all'orribile scena del sangue, alle urla di dolore e ai contorcimenti dell'animale durante la sua uccisione?



    Se il papa, il presidente della repubblica o chiunque altro ritiene giusto, lecito, normale mangiare la carne, per coerenza dovrebbero avere il coraggio di uccidere la preda senza delegare ad altri l'ingrato compito. Vogliamo essere più diretti? Chi può immaginarsi il papa con un coltellaccio in mano intento a tagliare la gola ad un agnello? Nessuno credo. Lo stesso dicasi per il capo dello Stato, per il presidente del Consiglio (del quale non sono certo), per Schifani, per Fini (per il quale avrei qualche dubbio vista la sua nota passione per la pesca e la caccia, ma da lì ad uccidere un vitello, un coniglio o un tacchino di insensibilità ne serve parecchia): semplicemente lo fanno fare ad altri e questo dimostra la loro incoerenza morale. A mio avviso se mangia la carne, una persona coerente, ha anche il coraggio di uccidere l'animale. Immaginiamo pure qualunque altra persona impegnata nel sociale, più o meno nota, che si riempie la bocca di parole come "amore, rispetto, diritti, libertà, giustizia" ecc. Questi non contraddicono forse se stessi quando a causa delle loro scelte gastronomiche causano indirettamente ad un essere indifeso e innocente azioni che sono agli antipodi di ciò che proclamano?



    Mangiare carne di animali significa legittimare, giustificare, accettare la loro uccisione. Se tali personaggi, ai quali la gente comune fa riferimento, hanno il coraggio di accoppare l'animale, dissanguarlo, farlo a pezzi e cucinarlo, allora a mio avviso, non sono persone adatte, per qualità morali e sensibilità umana, ad occupare posti preminenti. Se invece ritengono che sia un compito adatto ad altri, a chi ha l'insensibilità e la durezza di cuore a prestarsi a simili macabri, crudeli usanze, allora essi dimostrano di essere incoerenti tra ciò che considerano ingiusto, violento, malvagio e ciò che causano con le loro scelte.



    Ma la sofferenza animale, legata all'alimentazione umana è, per la stragrande maggioranza degli umani, compresi i personaggi più noti, un problema inesistente, un fatto senza importanza, che non merita considerazione, che non rientra tra le problematiche morali, esistenziali, sociali. Ma noi vogliamo mettere sotto il naso questa tremenda realtà alla quale non possono sottrarsi.



    Il prete, il ministro, il magistrato se sono convinti che l'animale soffre quando viene privato dalla libertà e della vita come si giustificano davanti alla loro coscienza? Se invece non credono che l'animale soffre provino a pestargli una zampa e vedranno se l'animale restituirà loro la cortesia con un morso poderoso e una sonora incornata.



    Il sangue che scorre nelle vene dell'animale è rosso come il loro sangue; le loro membra percepiscono il dolore come le loro membra; il suo cuore pulsa come il loro cuore. Non si nascondano dietro pietose e arcaici concetti, come "Così è sempre stato", "Gli animali sono fatti per questo" "Abbiamo bisogno di mangiare la carne..." perché noi li svergogneremo: smonteremo i loro concetti, ad uno ad uno, dimostrando loro quanto sono percettivamente chiusi, moralmente asfittici, spiritualmente paralitici, razionalmente autolesivi. Voi diteci chi sono coloro che invitano a mangiare la carne degli animali (Calabrese, Cannella, Del Toma...) noi vi diremo chi sono coloro che dicono di sottrarsi a questa pratica dannosa e crudele (Leonardo, Gandhi, Veronesi...)



    Non c'è rivoluzione più grande della nostra, né mai ce ne sarà un'altra uguale perché supera la sfera dell'umano e si estende, coerentemente, in tutta la sua benefica bellezza, compassione e amore a tutto ciò che vive. Noi vogliamo liberare gli uomini prigionieri di se stessi, e liberare i prigionieri dagli uomini. Loro sono la nostra tristezza, la nebbia del mondo, noi la luce, la speranza degli "ultimi"; loro sono il passato, noi il futuro. Loro appartengono ad una specie in via di estinzione, noi siamo la generazione della nuova umanità rinnovata nella mente, nella coscienza, nel corpo, nello spirito. Mentre loro sono innamorati del loro stomaco, noi siamo Universalisti, innamorati dell'armonia, del bene, della vita.



    Sul problema dell'influenza suina di questi giorni, il nostro Silvio Berlusconi (sempre pronto a dare il buon esempio) per spingere la gente a superare la paura dell'influenza suina e a tornare ad ingozzarsi di carne di porco (animale per il 95% del codice genetico simile a quello umano) prima ha assaggiato della mortadella e poi ha distribuito carne di maiale all'assemblea della Coldiretti a Roma. Altrettanto si è sentito in dovere di fare Roberto Formigoni nel palazzo della Regione a Bologna che per l'occasione ha addentato anche lui mortadelle e cotolette di puro suino per tranquillizzare la popolazione e dare una mano ad allevatori e massacratori di suini. All'infelice cavernicola trovata si associa il solito geneticamente inopportuno Luigi Santambrogio giornalista di "Libero" (ci auguriamo vivamente cambi mestiere) il quale si augura che Lamberto Sposini, come al tempo della aviaria, consumi in diretta tv una bella mortadella di suino per aiutare la popolazione a superare l'ingiustificata paura di consumare carne di maiale.



    Caro eminentissimo Joseph Ratzinger, illustrissimo Giorgio Napoletano, caro Silvio Berlusconi, e cari voi tutti di primo, secondo e terzo piano, uomini e donne che non nomino, se ritenete giusto, buono, salutare mangiare carne di suino (come di qualunque altro animale che arriva sulla vostra tavola) siate coerenti con voi stessi: date pubblica dimostrazione di come si uccide un animale, fateci vedere il coraggio che si addice ai condottieri, mostrateci come si affonda un coltellaccio nelle viscere e nel cuore di una animale immobilizzato dalle catene e dal terrore, allora soltanto dimostrerete di essere coerenti tra ciò che dite a parole e ciò che fate in pratica. E mentre date prova di così ardimentosa e ammirevole coerenza guardate negli occhi la vittima e ringraziate il vostro dio per essere così buono e magnanimo verso gli umani e così insensibile e crudele verso gli animali.



    di Franco Libero Manco

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    Purtroppo non siete ancora pronti! Non siete del tutto svegli




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    Alcuni che dimostrano eccessiva sensibilità verso il predatore, non verso la preda, asseriscono che ognuno deve essere libero di decidere senza essere colpevolizzato. Nella sostanza è il senso di colpa ciò che maggiormente dà fastidio a coloro che non sopportano di essere accusati e soprattutto di mettere in pericolo le proprie abitudini gastronomiche.



    Succede che alcuni, pur sentendosi difensori degli animali, mentre sono pronti a criminalizzare un uomo che uccide un altro uomo, non sono abbastanza animalisti da mettere alla stessa stregua un animale e rientrano nei meccanismi della cultura antropocentrica secondo cui l'uomo è un "essere umano", mentre l'animale resta un animale, cioè un essere inferiore, e se l'uomo decide di uccidere o schiavizzare un animale deve essere libero di farlo, senza che qualcuno si prenda la briga e l'ardire di criminalizzare le sue scelte.



    Noi certo non vogliamo scatenare guerre nei confronti di coloro che ancora sono lontani dall'etica e dalla giustizia universale, ma nello stesso tempo abbiamo il dovere morale, civile e spirituale di denunciare, sensibilizzare e scuotere la mentalità e la coscienza di coloro che restano ancorati ad una visione arcaica della civiltà umana.



    Il nostro intento non è l'offesa ma l'invito alla responsabilità, alla consapevolezza di quanto sia ingiusto, crudele, dannoso, indegno per un essere civile ed evoluto, moralmente degradante, uccidere e divorare il corpo di un animale. Noi vogliamo risvegliare la coscienza umana, far emergere la sua parte migliore; vogliamo che ognuno abbia il coraggio di guardare gli effetti della sua indifferenza e del suo insensato egoismo.



    Noi amiamo la Vita, di un amore struggente ed inestinguibile, percepiamo il dolore e il dramma di ogni vittima innocente e ognuno di noi, veri difensori degli animali, muore mille volte al giorno al pensiero della lama che inesorabile spegne per sempre l'anelante desiderio di esistere di un vitello, un agnello, un coniglio...; per questo non è nella nostra natura essere tiepidi, assolvere coloro che considerano gli animali oggetti ad uso e consumo dell'uomo: sarebbe come chiedere agli antischiavisti di non colpevolizzare coloro che fustigavano e uccidevano gli schiavi o alle vittime dei campi di sterminio di non colpevolizzare i loro carnefici.



    Noi siamo la voce di coloro che non possono difendersi: chiederci di non gridare il nostro disappunto è come chiedere ad una madre di non urlare mentre suo figlio viene colpito. Noi non differenziamo gioia e dolore, vita e morte, crimini e delitti; non adottiamo due pesi e due misure (questa è la nostra forza e la nostra grandezza morale): per noi un'azione criminosa resta tale chiunque sia la vittima. Non giudichiamo, sarà la Vita a farlo per noi, ma la nostra coscienza ci impone di affermare che uccidere un animale è fratricidio.

    tratto da un testo di Franco Libero Manco


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    Il maiale che cantava alla luna (di Jeffrey Moussaieff Masson)

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    Il libro di Jeffrey Moussaieff Masson, "Il maiale che cantava alla luna - La vita emotiva degli animali da fattoria" (Ed. Il Saggiatore), e' un libro toccante, ma rigorosamente scientifico e logico: d'altra parte e' proprio sulla logica, e sul senso di giustizia che ciascuno di noi dovrebbe avere dentro, che si fonda la considerazione che tutti gli animali sono uguali, senzienti, e che non c'e' alcuna giustificazione a tenerli prigionieri e ucciderli per i piaceri del nostro palato.



    Il libro esamina approfonditamente i comportamenti, la "storia", le abitudini delle varie specie animali che vengono normalmente allevate al fine di essere macellate (o di produrre latte e uova, e poi essere comunque macellate). E fa capire, ai tanti che ancora non l'hanno capito, come ciascuno di questi animali sia un essere sensibile, intelligente, la cui specie ha maturato nel corso dell'evoluzione comportamenti e modi di gestire la propria "societa'".

    La posizione del libro, come l'autore stesso sostiene, e' "radicale", nel senso che egli non ammette giustificazioni di sorta all'uccisione degli animali, giustificazioni che tanti cercano, pronti ad arrampicarsi sugli specchi e a sostenere tesi assolutamente illogiche e ben poco oneste, pur di potersi mangiare un panino al prosciutto "con la coscienza a posto".



    L'autore afferma infatti nell'introduzione:

    E' sbagliato che un animale da fattoria viva bene, che la sua esistenza si concluda con una morte indolore e che venga poi usato per nutrire degli esseri umani? Molte persone risponderebbero che non lo e'. Io invece ritengo che valga la pena di chiedersi, per prima cosa, con che criterio si stabilisce che cosa significhi vivere bene per un animale da fattoria. Naturalmente abbiamo tutti una certa idea di che cosa potrebbe significare. Tuttavia, a parte i difensori dell'industria, pochi sarebbero pronti a sostenere che una comune mucca da latte conduca una vita felice. Pensiamo a una mucca a cui sono sotratti i vitelli alla nascita, e che poi viene munta intensivamente per alcuni anni. E' mantenuta costantemente gravida per garantire una produzione continua di latte, ma non le viene permesso di tenere il suo vitellino. Alla fine, invecchiata prima del tempo, quando la sua utilita' e' in declino, viene uccisa, ben prima di aver raggiunto il termine naturale della sua esistenza. Si puo' dire che questa mucca ha condotto una vita felice?".



    L'esempio della mucca e' particolarmente toccante, perche' va a colpire un aspetto primario del mondo emotivo degli animali: l'amore, l'attaccamento di un animale, di qualsiasi specie sia, per il suo cucciolo.



    Aggiunge infatti l'autore:

    Se credete che una mucca non ripensi mai al proprio vitello, chiedete a qualsiasi allevatore per quanto tempo un vitellino appena nato e sua madre si chiamano a vicenda. Un allevatore mi ha detto che finche' possono vedersi gridano fino a perdere la voce, senza sosta.

    Altra riflessione importante e' quella sull'animale considerato come "merce" e sul fatto che far "vivere bene" gli animali sia solo una scusa che accampa chi antepone le sue papille gustative all'etica e al senso di giustizia.



    Egli scrive infatti:

    Sono convinto che sia sbagliato allevare animali per mangiarli. Credo che non interessi a nessuno far "vivere bene" un animale se l'obiettivo finale e' farlo finire in tavola come pietanza. E' troppo facile barare, e' troppo invitante fingere di ignorare che cosa determini il benessere di ciascun animale.

    Altre riflessioni, che troviamo sempre nell'introduzione, riguardano il rispetto verso la sofferenza di esseri senzienti che quasi tutti si ostinano a non riconoscere che sono proprio "come noi" sotto questo aspetto, e anzi, non riconoscono nemmeno che siano come il cane o il gatto che hanno in casa. A tanto puo' arrivare l'illogicita' e la cecita' di chi non vuole guardare la realta' dei fatti ma vuole solo continuare imperterrito con le proprie abitudini e fare "come fanno tutti".



    Scrive l'autore:

    Ho constatato che, a tavola, quando dico che sto scrivendo un libro sulla vita emotiva degli animali d'allevamento, i miei commensali mi guardano con un sorriso strano, come se avessi detto qualcosa di ridicolo. [...] La questione non e' "che cosa", ma "chi" state mangiando. Una sofferenza su cosi' vasta scala puo' essere forse considerata un argomento ridicolo? [...] Perche' in genere si considera ridicolo sottolineare che ognuno di questi animali uccisi ha avuto una madre, presumibilmente dei fratelli e, di certo, alcuni sono stati compianti da un genitore, oppure un amico che ne ha sentito la mancanza? Anche se erano stati allevati per essere uccisi, questo non ha modificato la loro capacita' emotiva. Avevano ricordi, soffrivano e provavano dolore. Non ha alcun senso fare una graduatoria comparata della sofferenza dando molto peso all'"essere umano" e poco agli animali. Preoccuparsi di un tipo di sofferenza non significa che non si debba avere alcun interesse per le altre, o che una sia piu' significativa e terribile di un'altra.


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    Nella foto Jeffrey Masson
    Un altro punto interessante e' quello in cui si fa l'immancabile e dovuto confronto della prigionia degli animali con la schiavitu' umana. Interessante il confronto con le parole di Aristotele, che considerava la schiavitu' umana una cosa normale e opportuna, e con lui molti suoi contemporanei, cosi' come oggi molti - quasi tutti - considerano normale e opportuna la schiavitu' degli animali.


    Fa notare l'autore:

    L'analogia tra schiavitu' e addomesticamento animale non e' una novita'. Risale come buona parte del pensiero occidentale, ad Aristotele, che nella "Politica" scrisse:
    "[...] gli animali domestici sono per natura migliori dei selvatici e a questi tutti e' giovevole essere soggetti all'uomo, perche' in tal modo hanno la loro sicurezza. [...] ed e' necessario che tra tutti gli uomini sia proprio in questo modo [...] costoro sono per natura schiavi, e il meglio per essi e' star soggetti a questa forma di autorita', proprio come nei casi citati."

    L'autore risponde poi anche alla domanda ricorrente "ma se noi non li allevassimo per mangiarli, questi animali non esisterebbero" che sembra, per motivi misteriosi, essere per molti una giustificazione al massacro:



    E' opinione comune che gli animali da fattoria non esisterebbero neppure, se noi non li allevassimo: quindi per loro e' meglio condurre una vita da reclusi piuttosto che non vivere affatto. Spesso si afferma che animali come mucche, maiali, pecore, capre, polli, anatre e oche traggono vantaggio dal semplice fatto che gli e' permesso di esistere. Roger Scruton, filosofo britannico e appassionato di caccia alla volpe, fa, per esempio, una curiosa constatazione: "Gli animali giovani vengono macellati senza alcun rimorso fin dalle origini della storia", come se la schiavitu', il razzismo e i maltrattamenti sulle donne non risalissero anch'essi alle origini della storia. Da quando il protrarsi nel tempo di una pratica le conferisce dignita' morale?



    "Gran parte degli animali che pascolano nei nostri campi" prosegue Scruton "sono li' perche' noi li mangiamo". Potrebbero essere li' comunque, a pascolare nei campi di un rifugio, se non li mangiassimo; soltanto, sarebbero molti meno. Da un punto di vista filosofico, non puo' essere valido affermare che qualcuno o qualcosa deve la propria esistenza alla nostra brama di sfruttamento, come se questo ci conferisse uno speciale diritto morale.



    Infine, sulla questione della nostra grande generosita' umana che consente di far nascere cosi' tanti animali che altrimenti non nascerebbero affatto, l'autore scrive: Quando pensiamo agli animali da fattoria, e' importante ricordare che lo scopo della loro esistenza e' quasi interamente determinato dalla loro morte o dallo sfruttamento. Esistono per morire o per essere usati. Li alleviamo per ucciderli o per trarne vantaggio, non per dargli la possibilita' di condurre la vita felice cui sarebbero destinati. Nessuna chiacchiera filosofica puo' fraci superare questo scoglio inamovibile: possiamo chiamarla slealta' umana?



    Per concludere: un libro assolutamente consigliato, perche' l'autore e' davvero "dalla nostra parte" - cioe' da quella degli animali - senza se e senza ma. Senza dubbi. Un libro consigliato a chi e' ancora convinto che gli animali non sono tutti uguali (o che alcuni "sono piu' uguali di altri"...), per mettersi alla prova - se siete sicuri della vostra posizione, se siete convinti che le cose stiano come dite voi, leggetelo, mettetevi alla prova! E un libro consigliato anche a tutti noi che sappiamo che gli animali sono tutti uguali, perche' ricco di informazioni, dati e fonti utilissime nel nostro attivismo di tutti i giorni.



    fonte www.peacelink.it/animali/a/20088.html


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    Tutta la verità passa attraverso tre stadi: primo, è ridicolizzata; secondo, è violentemente opposta e terzo, è accettata perché evidente in se per se.
    -- Arthur Schopenhauer





     
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