Senza mangiare animali si vive meglio!

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  1. fairybunny
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    L'avvelenamento e il doping da carne


    Una bistecca e un prosciutto, si sa, non crescono sugli alberi.
    Gli animali definiti da carne vengono sottoposti a torture e violenze che ripugnano ad ogni persona civile, ad ogni essere dotato di una normalissima sensibilità e cultura.

    E, quanto succede a questa massa di creature sfortunate e abbandonate temporaneamente da Dio, non riguarda solo la terrificante fase finale del macello, ma tutta la loro vita da esseri sottoposti a carcere duro, con privazione dei più elementari diritti quali l’ora d’aria e di libertà, l’ora di sole. Creature inermi, pacifiche, intelligenti e senzienti, che hanno la sola colpa di essere diverse dall’uomo, di non avere mezzi fisici, legali e sociali per difendersi, e che vengono discriminate e trattate alla stregua di bestie infami da vessare, torturare, uccidere.

    Diciamo pure che per fare gli allevatori, i macellai, i commercianti di bestiame, serve una durissima e ruvida scorza di pellaccia e una massa ossea impenetrabile intorno agli occhi, alle orecchie, al naso, al cuore e al cervello.
    Non per niente Pitagora rifiutava persino di incontrare o di incrociare per strada questa categoria di persone, per l’imbarazzo, l’avversione e il disgusto che gli procuravano.
    L’animale in questione sta ancora masticando ignaro e tranquillo la sua quota di fieno sulla mangiatoria.
    Non sa ancora che la sua sorte è segnata, e che qualcuno ha già deciso per lui la data e l’ora del patibolo.
    Ma, non appena se ne accorge grazie alle sue sensibilissime antenne telepatiche, i suoi muscoli già induriti dalla immobilità della stalla-carcere, si bloccano del tutto per un paio di giorni almeno e la sua carne diventerebbe durissima e inutilizzabile dopo l’assassinio in tale stato.

    Per renderla meno dura, per far sì che la sua bistecca diventi più morbida e masticabile, l’animale viene lasciato a digiuno prima della barbara esecuzione.
    Con questo stratagemma, diminuisce la concentrazione di proteine fibrillari, cala il glucosio nel sangue e aumenta l’acqua trattenuta nella muscolatura.
    E, mentre l’anima sua vola al più alto dei cieli indurita dalle sofferenze inflittegli, la sua carne rimasta in terra a disposizione dei carnefici diventa a sua volta più tenera e delicata.

    Dopo il rigor mortis, inizia il processo di frollatura, che è una brevissima stagionatura volta a rendere la carne ancora più molle, e che prelude alla vera e propria putrefazione.
    Guai permettere però che la putrefazione avvenga a quel punto.
    Sarebbe come far perdere ogni valore commerciale al pezzo di cadavere che si sta maneggiando.
    Occorre giostrare in modo opportuno tra mollezza e putrefazione, col prezioso aiuto del freddo, esattamente come si fa nell’autopsia di una salma, per determinarne le ragioni reali della morte o le condizioni reali dello scomparso al momento del decesso.

    La putrefazione deve avvenire non all’esterno, ma all’interno del corpo di chi mangerà quel brandello di cadavere. Il disfacimento, lo schifo, l’orribile puzzo del disfacimento, deve avvenire all’interno dell’uomo, dove ci sono le condizioni ideali di caldo e umidità per la disintegrazione di tale ordigno ecologico. Così il cliente paga e riempie il proprio tubo gastrointestinale di fetore e di veleni, mentre il macellaio sorride e si guadagna il suo soldo.
    L’oltretomba del povero animale eliminato finisce per essere situato nell’apparato intestinale di qualche manciata di uomini disposti a fare da cimitero chimico collettivo per i suoi resti.
    La carne diviene sempre più flaccida e cedevole man mano che avanza il processo di disgregazione cellulare e di disfacimento proteico.

    Gli enzimi proteolitici cominciano a digerire parzialmente le proteine (autolisi), liberando peptidi e aminoacidi, ai quali si deve il caratteristico tanfo cadaverico, ovvero le caratteristiche proprietà organolettiche (per dirla coi dietologi filo-carnivori stile prof Calabrese).
    Trattasi esattamente, per meglio comprenderci, di quell’odore nauseabondo che lasciano i topi morti o gli altri animali morti in clima e ambiente caldo-umido.
    Acidi urici metabolici e altri residui tossici come scatolo, indolo, putrescina e cadaverina, verranno prodotti in seguito.
    Il freddo del congelatore può solo interrompere, ritardare e attenuare tale trasformazione.
    La carne è molto deperibile e diventa facile preda di una folla di microrganismi patogeni e di spore che la inquinano irrimediabilmente.

    Gilbert e Dominicé, ricercatori belgi, hanno provato mediante esperimenti che l’assunzione di carne provoca nel tubo intestinale un inquietante aumento di germi patogeni da 2000 unità a 70 mila per mmc).
    Pensiamo al bacillus enteridis, al bacillus suipestifer, al bacillus clostridium, al bacillus streptococcus bovis, al prione della mucca pazza, al bacillo del tifo e del paratifo, nonché alle 2700 sostanze chimiche proibite e catalogate composte da farmaci, pesticidi, ormoni, antibiotici, e quanto altro si ritrova in quel materiale orribile chiamato carne.

    Solo cotture ad altissima temperatura potrebbero in qualche modo bonificarla.
    Ma, in tal caso, si distruggerebbe ogni già scarso valore nutritivo e gastronomico, e si produrrebbero altre complicazioni.
    Non dimentichiamo che anche una cottura leggera distrugge gli enzimi e le vitamine del gruppo B, e trasforma i grassi in acreolina, micidiale veleno per il fegato.
    Oltre alle tossine metaboliche c’è poi l’acido lattico da sforzo e da stress, l’adrenalina da paura accumulatasi nei fluidi dell’animale (è risaputo che le povere bestie captano, intuiscono, comprendono telepaticamente che le si vuole uccidere).

    Tutte cose che si ripercuotono pesantemente sul consumatore, causando femminilizzazione nei maschi e cancri nell’apparato genitale femminile (come nel caso del dietil-silbestrolo), nonchè insensibilità alle cure antibiotiche.
    Una lenta tossinfezione dovuta alla trasformazione batterica da eccesso di proteine

    Ma è la facilità con cui i residui digestivi della carne tendono a putrefarsi nell’intestino crasso, a preoccupare di più gli igienisti e i patologi.
    E’ normale, si chiede Shelton, vivere di un cibo che produce solo putrefazioni e veleni?
    Il ristagno del bolo intestinale significa digestione lenta e difficile, significa stitichezza, significa enormi sprechi energetici, essendo la digestione lunga l’operazione più costosa in termini di energia.

    Ogni buon dietologo sportivo sa che è grave errore usare le proteine in funzione energetica.
    Nel colon proliferano poi i terribili batteroidi e bifido-batteri, che sono i battistrada del cancro.
    I resti degli acidi biliari colico e desoiicolico, a contatto prolungato con le sostanze prodotte dalla decomposizione della carne, danno origine a pericolosi composti chimici come l’acido apocolico e il 3-metilcolantrene, due potenti cancerogeni.

    Una dieta contenente carne, e dunque grassi animali, porta a sviluppo di batteri intestinali capaci di creare enzimi come il beta-glicoronidasi e l’alfa-deidrossilasi, e di creare steroli cancerogeni come il coprosterolo.
    Mancando invece del tutto, nel tubo gastrointestinale fruttariano degli umani, l’enzima uricase (che abbonda invece nei canidi e nei felini, e serve a disintegrare e a rendere innocuo l’acido urico),
    i malcapitati che perseverano nell’alimentazione carnea si ritrovano con gravissimi problemi di accumulazione ureica o gottosa.

    Dalle carni e dal sangue ingerito gli deriva poi una lenta tossinfezione, dovuta alla trasformazione batterica dell’eccesso di proteine.
    La lisina si trasforma ahimé in cadaverina. Il triptofano si sdoppia in scatolo e indolo. La cisteina e la metionina diventano etil e metil-mercaptani.
    Dagli altri aminoacidi si generano putrescina, agmatina, istamina, tirosina, fenolo, metano, ammoniaca, biossido di carbonio, idrogeno, acido acetico e alcol.

    Ecco spiegato il penoso quadro patologico formato da feci dure e maleodoranti, gas gastrici e gas intestinali, coliti, emorroidi, stipsi, pesantezza, mali di testa, ipertensione.
    Quando non si arriva agli estremi del cancro allo stomaco, all’intestino e al fegato.
    Un motore che viene costretto a funzionare con un carburante improprio e difettoso.
    Un motore che invece di cantare e funzionare al meglio, invece di bruciare alla perfezione il suo gas senza lasciare residui e strascichi interni, balbetta e scoppietta, va a 3 cilindri, come si dice in gergo automobilistico.
    Ecco spiegato pure il meccanismo della produzione di radicali liberi in sovrabbondanza, e della insufficienza degli antiossidanti corporali a contrastare il conseguente stress ossidativo patito all’organismo.
    Ecco spiegato il diffondersi di malattie incontrollabili e gravi, e l’invecchiamento precoce del genere umano.
    La carne non dovrebbe mai entrare nell’organismo degli uomini.

    E meno che meno si dovrebbe dare ai bambini, nei quali produce nervosismo, insonnia e alterazioni del ricambio.
    Per tutti, grandi e piccini, maschi e femmine, si profila con la carne un grave affaticamento degli organi emuntori, ed in particolare del fegato, del pancreas e dei reni.

    I test di massima velenosità
    Negli Usa, la Commissione per le Malattie Cardiache (1970), la Commissione Parlamentare sull’Alimentazione (1977) e l’Accademia delle Scienze (1980), hanno dimostrato con dati inoppugnabili che la carne, assieme a tabacco ed alcol, è uno dei fattori più responsabili di mortalità nei paesi del benessere.
    Nel Regno Unito, gli esperimenti dell’Università di Cambridge (dr Khaw e dr Welch) hanno dimostrato che l’unico modo di stare alla larga da cancro e cardiopatie è assumere almeno 5 volte più vitamina C naturale (e non sintetica), mediante un minimo di 5 pasti giornalieri al giorno di frutta al naturale.

    I test antropologici sulle origini
    Tutte le ricerche e i test antropologici dimostrano che l’uomo dei primordi si alimentava di bacche di ogni genere, di frutti e semi di ogni tipo, di granaglie e radici, di erbe e di miele. In certe circostanze sapeva pure ottenere dagli animali uova, latte e formaggi. Le carni in casi limitati furono sempre un cibo raro, sporadico, eventuale, rituale, festivo.
    Nell’assieme, le ricerche dimostrano che l’uomo è nato ed è cresciuto nella storia come essere frutto-vegetariano.

    I test del cibo-elettivo
    Le due leggi di Graham sul cibo elettivo dimostrano che:

    1) Esiste un rapporto preciso e definitivo tra costituzione fisica di un animale e il suo cibo elettivo,
    ovvero il suo cibo normale e preferenziale

    2) Il cibo elettivo è quello più adatto, quello che serve al meglio i suoi interessi biologici, psicologici,
    conservativi e ambientali

    I test delle scorie
    Le recenti scoperte sul ruolo delle scorte indigeribili nell’alimentazione, o dei cosiddetti a-nutrienti,
    hanno inferto un altro duro colpo alla teoria dell’onnivorismo umano.
    Il tubo digerente extralungo dell’uomo necessita infatti di stimoli regolatori che favoriscano il movimento peristaltico.
    Ebbene, la dieta frutto-vegetariana cruda ha queste capacità, mentre quella carnea e quella onnivora no. Le carni non lasciano scorie indigeribili, per le quali è invece predisposta e adatta l’intera capacità dell’intestino, soprattutto nella parte definita colon e crasso.

    I test sull’acidità del crasso
    L’intestino crasso, per funzionale al meglio, deve mantenere un ambiente acido e non alcalino.
    Ebbene, frutti, grani, erbe e radici, che nella parte alta del tubo gastrointestinale hanno rilasciato correttamente residui alcalini che hanno mantenuto il sangue leggermente alcalino, nella parte bassa dell’intestino si ritrasformano quasi magicamente e rilasciano residui acidi (acido acetico, acido carbonico, acido lattico). Mentre carni, pesce, uova e latticini, che nella parte alta avevano rilasciato ceneri acide e quindi dannose, acidificando il sangue e provocando domande di calcio interno e causando osteoporosi e calcoli, nella parte bassa lasciano perfidamente residui alcalini, a dimostrazione di quanto e come essi siano dei non-cibi o meglio dei contro-cibi per l’uomo.

    I test sulla fame (prova del fuoco di Frate Girolamo Savonarola)
    I veri onnivori, quando sono affamati, sono attratti istintivamente e tramite fiuto da animali e da carogne animali, che vengono intesi come cibo immediato e di urgenza.
    Questo non accade con l’uomo in genere, e con le donne e i bambini in particolare, nei quali è più forte e sentito il retaggio della vita secondo natura.

    L’essere umano prova istintivamente ribrezzo e repulsione alla vista di ogni tipo di sangue e di ogni tipo di cadavere. Persino un uomo dedito alla trasgressione carnea, quando ha fame, sogna un piatto di pastasciutta, o un minestrone, o una pizza o una torta. La fame è del resto un fenomeno chimico originato proprio dalla carenza di carboidrati o zuccheri, non certo di proteine.

    I test sul contenuto proteico del latte materno
    Il contenuto proteico di ogni diverso tipo di latte, è la cartina di tornasole che sta a indicare la percentuale proteica approssimativa di cui quell’animale ha bisogno per mantenersi in salute.
    Il latte materno della specie umana è caratterizzato da un contenuto proteico particolarmente basso, inferiore al 5 percento. Tale percentuale è assai simile a quella che si trova nella frutta e nella verdura allo stato naturale, che sono per l’appunto il vero e unico cibo di competenza dell’umanità.

    I test sul rilascio di radicali liberi e sull’ossidazione cellulare
    Le ricerche mediche e biochimiche di questi ultimissimi anni confermano come i cibi non elettivi, i cibi impropri, i cibi concentrati, i cibi animali, i cibi cotti, le bevande eccitanti, le bevande gassate, le bevande alcoliche, gli stili di vita sbagliati, siano tutti fonti di imperfezioni e disfunzioni organiche.
    Disfunzioni organiche che portano ad avvelenamenti, a tossiemie, ad infiammazioni interne e, in ultima analisi, al rilascio di radicali liberi, a pericolosissimi stress ossidativi, capaci di provocare malessere, malattie e invecchiamento precoce.

    I test sulla legge del nutriente minimo
    Ogni buon dietologo, ogni biochimico responsabile sa che il corpo umano si appropria del minimo che gli serve di ciascun micro-nutriente tra quelli messi a sua disposizione. L’eccesso di una sostanza nutritiva sulle altre può solo causare deficienze a catena e disequilibri. Esistono rapporti corretti, compatibilità e incompatibilità, simpatie e avversioni precise tra le varie vitamine e i diversi minerali, per cui occorre necessariamente stare sui cibi naturali e complessi, rifuggendo da ogni versione concentrata e sintetica, rifuggendo il più possibile da integrazioni e supplementazioni che possano produrre effetti perversi e imprevedibili all’interno del nostro organismo.

    Che ci siano in giro degli amici degli animali e degli animalisti è già un brutto segno. Sta infatti a significare che esistono pure dei nemici e dei persecutori di questi esseri che tutto meriterebbero fuorché di essere tormentati e torturati da chi è stato preposto a far loro da guida e dar loro una mano.
    La stessa considerazione vale per i vegetariani. Dire che esiste un vegetariano o un miliardo di vegetariani non è affatto cosa consolante. Come non è consolante che ci sia il vegetarianismo.

    Esso esiste solo perché c’è della gente che si comporta in modo obbrobrioso cibandosi di carne.
    Se tutti gli uomini si comportassero da uomini non staremmo a parlare di queste etichettature sociali.
    Tutti gli uomini nascono vegetariani e muoiono vegetariani, in quanto accompagnati vita natural durante da un corpo e da un apparato gastrointestinale invariabilmente frutto-vegetariano, per disegno, per struttura, per funzioni e per caratteristiche bio-chimiche.

    Solo che una parte di essi, e persino una parte preponderante di essi, tradisce e trasgredisce alla propria natura, dando luogo a una massa di popolazione disobbediente e a rischio, che arreca danno e pericolo alla natura circostante e a se stessa.
    Alla fine esiste in ogni caso una quadratura del cerchio.
    Il creatore ha fatto l’uomo in un certo modo e con certe caratteristiche e certe esigenze.
    Sovvertire e pervertire questo ordine non può che portare a effetti collaterali, allo stesso modo dei farmaci e delle sostanze dopanti.

    L’avvelenamento procede per gradi a partire dallo svezzamento. Il lattante umano si sviluppa e cresce armoniosamente finché la sua dieta è quella appropriata del latte basso-proteico di sua mamma contenente meno del 5 percento di proteine.
    I guai e le deviazioni cominciano con le intromissioni e la diseducazione pediatrica e sanitaria, con gli omogeneizzati a base di carne e di pesce, che fanno conoscere ai delicatissimi organismi infantili i primi drammi dell’acidificazione del sangue da eccesso proteico, delle malattie dell’infanzia, che sono tentativi di riequilibrio bloccati perfidamente, secondo atto del dramma infantile, dalle vaccinazioni perpetrate a danno dei piccoli innocenti che nulla possono dire e nulla possono obiettare.

    Poi, col passare del tempo, le quote di proteine in eccesso tendono ad aumentare ulteriormente in rapporto al tipo di educazione e di usanze, di convinzioni, di cattivi esempi, di convenienze economiche, di influenze esercitate dalle famiglie e dai diversi tipi di società civile in cui il giovane è inserito.
    Al termine di tutta la storia ci troviamo di fronte a un adulto vegetariano che ha rovinato il suo organismo al punto tale da sentirsi un essere forestiero ospitato in un corpo che non apprezza e che non conosce, al punto tale da non riconoscere più nemmeno il cibo di sua pertinenza.

    Il veleno, quando non ti uccide all’istante, ti stordisce e ti droga, ti stimola e ti altera, poi di deprime, in un continuo gioco alterno di alti e bassi che mette a dura prova tutti gli organi, e che affatica il corpo al punto di procurargli evidenti segni di decrepitezza.
    Ma l’avvelenato e il drogato da carne non sa, non si rende conto di essere drogato al pari del fumatore, del consumatore di caffé e tè, del consumatore abituale di farmaci, di integratori minerali e di vitamine sintetiche.
    La sua vita consiste in un continuo susseguirsi di crisi di fame e crisi di sete, che la carne non riesce se non parzialmente e temporaneamente a placare.
    Queste crisi violente e improvvise di fame hanno origini chiare e sono spiegabilissime.

    Un pasto carneo è basato normalmente su un eccesso proteico che va ben oltre quel 5 percento naturale dei lattanti umani (corrispondente alla quota media giornaliera di 11 grammi di proteine al giorno stabilite dalla Scuola Igienista Naturale Americana).
    Andare poi oltre i 25- 35 g di proteine al giorno significa varcare la fatidica soglia della acidificazione e richiamare calcio interno dalle proprie ossa.
    Un pasto carneo è basato il più delle volte su un eccesso proteico che va ben oltre i limiti tollerati.
    C’è poi della gente che tende a ingozzarsi di proteine all’inverosimile, puntando a livelli proteici vicini al 50 percento del totale calorico.
    E questo succede non solo nelle diete letali tipo quelle che suggeriva il dr Atkins nei tempi andati, e che oggi ribadisce in Italia il prof Calabrese, ma persino nelle diete comuni osservabili tra gli amici e i conoscenti che ci circondano.

    Questi eccessi di proteine producono una serie ininterrotta di putrefazioni gastriche e intestinali, e un rilascio costante di residui velenosi che, associati ai carboidrati (amidi, dolci, frutta) che seguono a ruota, vanno a far scaturire altri fenomeni aberranti quali la fermentazione degli zuccheri e l’alcolizzazione del bolo e della massa di nutrienti ingeriti.
    A quel punto, la vena porta, destinata a convogliare i micronutrienti disintegrati al fegato per le ulteriori trasformazioni e filtrazioni, tende a rifiutare i medesimi e a indirizzarli verso il basso, ossia verso il colon e l’evacuazione.

    Solo che pus e alcol diventano micidiali per il retto. Ne sanno qualcosa le emorroidi. Così, come estrema difesa, il corpo cerca con testarda insistenza di inviare il tutto al fegato per una qualche detossificazione.
    Ma il fegato si guarda bene dall’accettare delle sostanze che lo danneggerebbero perforandone i filtri come un colabrodo.
    Così il tutto torna di nuovo al colon per una evacuazione difficoltosa e penosa.
    In pratica, la maggior parte dei nutrienti contenuti nel cibo iniziale, finisce per essere dispersa e sprecata, e finisce tra le acque nere dei servizi igienici.

    E il sistema cellulare, i trilioni di cellule in costante e trepida attesa di ricevere i nutrienti purificati dal fegato, rimane sempre a corto di carburante, a corto di fruttosio, a corto di acqua biologica.
    Da qui le improvvise e violente crisi di fame e di sete, da qui i suggerimenti dei medici di riempirsi giornalmente di litri d’acqua.
    Questo è il tragico meccanismo del deficit calorico, tipico di chi cerca il carburante zucchero di sua competenza nel modo più difficile e costoso possibile.
    Ricavare glucosio dalle proteine significa davvero esperire la via più complicata e dispendiosa.
    Alla fine della trafila, il finto carnivoro che si è rimpinzato di carne per un valore di 1000 calorie, corre il concreto rischio di dover spendere 1200 calorie nei lunghi tempi di digestione di un materiale improprio che mai avrebbe dovuto circolare nelle sue parti interne.
    Così la carne lo ha sì stimolato e gli ha sì dato delle vampate di calore e vitalità, ma nella realtà non lo ha nutrito affatto, e lo ha al contrario depredato di nutrienti interni e persino di calorie.

    Se chi ci ha disegnati e creati ha previsto che l’adulto sano deve fare 3 ore al giorno di intensa attività fisica, accelerando e decelerando adeguatamente il suo ritmo cardiaco, e stimolando di conseguenza la circolazione del sangue (legata al cuore) e quella del sistema linfatico (legata al movimento in sé, in quanto il sistema linfatico non è dotato di una sua pompa cardiaca come il sistema sanguigno), una carenza di esercizio comporterà danni metabolici e perdita di forza muscolare, mentre un eccesso di esercizio porterà a sovra-produzione di acido lattico, a stanchezza e indebolimento.
    Se il creatore ha stabilito poi 2000 o 3000 calorie al giorno, tutte da cibo appropriato e naturale, come quota ideale, l’eccesso procurerà sovra-peso e obesità, mentre la scarsità sarà causa di sottoalimentazione, indebolimento e moria precoce delle cellule sottoalimentate.
    Se il creatore ha stabilito che ogni diverso maschio adulto e sano si mantiene tale con tre rapporti sessuali al giorno, o alla settimana, o all’anno, da eseguirsi con emozione ed entusiasmo, e non per costrizione, noia o abitudine, l’eccesso procurerà debolezza ed esaurimento, la scarsità darà origine nei maschi ad accumuli di tensione e a incrementi di testosterone, a canizie precoce e magari pure ad un atrofizzasi degli organi in disuso.

    Nelle femmine invece, la scarsità di rapporti produrrà sintomi noti come il complesso della zitella, con una certa acidificazione del carattere, o una tendenza alla mascolinità sociale, all’attivismo sfrenato in attività economiche o sociali.
    Dunque anche la sublimazione degli istinti naturali, derivante da motivazioni personali, sociali, morali, religiose, comporta dei costi e delle conseguenze.
    Allontanarsi dagli schemi naturali comporta dunque immancabilmente dei costi bene individuati e soppesati dai ricercatori e dagli scienziati dei vari settori.

    Nessun compromesso con la macchinazione infernale ordita a danno dei più deboli e indifesi esseri del pianeta
    Vivere al meglio significa trovare pure accomodamenti, compromessi, antidoti.
    Il mondo cosiddetto civilizzato ci propone e talvolta ci impone i suoi schemi in continuazione, taluni compatibili, tali altri in netto contrasto con le nostre reali esigenze.

    Tutto sommato, viviamo in un mondo che fa di tutto per proporci modelli insostenibili, stili di vita inaccettabili. Viviamo in un mondo che pare coalizzato per farci ammalare, per farci sparire prima del tempo, per sfruttarci, impoverirci fisicamente, mentalmente e spiritualmente.


    Un mondo che ci vuole pure coinvolgere nella infernale macchinazione ordita ai danni dei più deboli e più indifesi esseri del pianeta, e che può diventare autodistruttiva nei confronti della nostra stessa specie, sia a livello fisico che in termini di salute mentale e spirituale.


    Su questo punto della persecuzione degli animali ai fini di una alimentazione umana perversa e balorda, lontanissima dalle regole divine di ogni filosofia e di ogni religione, non ci può essere assolutamente alcuna forma di compromesso.




    da disinformazione.it - valdo vaccaro



     
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  2. ozroloap
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    Be che dire!? Il post precedente è quanto di più esilarante possa esistere, un lungo viaggio tragi-comico nelle viscere nell'uomo tra una miriade di errori e contraddizioni, dove si sfiora più volte il surreale e molte volte si cade nel ridicolo: quella dell'adrenalina dell'animale morto che ha effetto sul nostro organismo è veramente una perla, ammetto che ho trattenuto a stento le risate..oppure quella che all'interno del nostro corpo prosegue la decomposizione cadaverica come se la carne fosse all'aria aperta, è un'altra affermazione che entra nella top ten delle boiate!!!
    Per non parlare del fatto che leggendo questo post sono venuto a conoscenza dei gusti difficili del fegato ma soprattutto della vena porta che come hai scritto "rifiuta di convogliare i nutrienti al fegato", bloccando cosi un'importante parte del flusso venoso di ritorno al cuore, come se niente fosse, come per dispetto...me la immagino in un dialogo a tre con il fegato e la cava inferiore:"mi dispiace" rivolgendosi ai due sistemi in ansia per il mancato afflusso di sangue, "ma io questa schifezza non la faccio passare peggio per lui(l'ignobile carnivoro) cosi la prossima volta impara a mangiare cadaveri!!!"


    PS: Vedo che te la prendi molto con l'acido lattico. L'acido lattico non è un nemico del corpo umano tanto che lo produciamo e riconvertiamo in glucosio continuamente, è solo un prodotto del metabolismo anaerobico cellulare...
     
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  3. maidek
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    ma questo sui sopra che ha scritto quel papier di cagate ci crede davvero o sta scherzando?
    ma perchè una pianta quando la stacchi dalla terra che fa'?muore giusto?quindi per quanto dici te ti si secca in pancia, magari qualche foglia potrebbe anche diventare secca e tagliarti l'intestino,no?
    bho...qua si sfiora l'idiozia.la carne che ti si putrefa' nella pancia?anche fosse che inizia un processo di decomposizione il cibo viene comunque digerito in 3 ore.nell'intestino viene assimilato tutto, e quello che non viene assimilato espulso, quindi l'rganismo se si fa' una dieta sana ed equilibrata non eccedera' mai in quello che assimila andando cosi a sovraccaricare reni, fegato e cuore.


    Edited by maidek - 27/9/2010, 13:18
     
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  4. Ressa
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    Una cosa come quella sopra può averla scritta solo uno che si chiama Vaccaro..

    Solo un'appunto perchè non ho ora il tempo di commentare tutto:

    CITAZIONE
    I test sulla fame (prova del fuoco di Frate Girolamo Savonarola)
    I veri onnivori, quando sono affamati, sono attratti istintivamente e tramite fiuto da animali e da carogne animali, che vengono intesi come cibo immediato e di urgenza.
    Questo non accade con l’uomo in genere, e con le donne e i bambini in particolare, nei quali è più forte e sentito il retaggio della vita secondo natura.

    Confrontalo con:
    http://it.wikipedia.org/wiki/Cannibalismo (questo è solo il primo link che è venuto immagina se mi si metto a cercare il comportamento umano in stiutazioni di emergenza cosa trovo)
    Secondo me questo soggetto non è che abbia proprio voglia di informare...

    già nella preistoria...
    http://it.wikipedia.org/wiki/Homo_antecessor
    www.antrocom.it/textnews-view_article-id-925.html

    BUONA LETTURA HOMO VEGETARIANUS

     
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  5. La_volpe_nera82
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    Per istinto l'essere umano caccia.
    Come tutte le tribù amazzoniche rifuggono da una sistematica agricoltura: al più coltivano modestamente la mandioca che costituisce una parte importante della loro alimentazione. Colla mandioca fabbricano (non diversamente da quanto si fa in altri gruppi indi) una bevanda fermentata che consumano con larghezza soprattutto in occasione di cerimonie. I Jivaros si danno frequentemente alla caccia, utilizzando sia gli archi, sia le sarbacane che maneggiano con grande destrezza. Una parte dell'alimentazione è pure fornita loro dalla pesca, che di solito viene fatta con arponi: i larghi fiumi della regione amazzonica forniscono pesci dì discrete dimensioni e di buon sapore.

    http://www.viagginellastoria.it/archeolett...1940jivaros.htm

    Questo è ciò che fanno gli esseri umani non civilizzati.. per natura ed istinto cacciano e pescano più che coltivare.
    Non sono spinti da pubblicità.. non hanno industrie o allevamenti... hanno solo il loro istinto, bello o brutto che sia... o non sono esseri umani?
     
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  6. maidek
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    quando non sanno piu' che cosa dire si rifugiano nel "uccidere animali è sbagliato"
    partono dicendo che la carne fa' male e poi tirano fuori i soliti moralismi del cazzo che fanno solo malainformazione.
    no cioè, a pensarla cosi certa gente sta' proprio scoppiata.prendono le informazioni dal blog di vanna marchi e le spacciano per vere...
     
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  7. La_volpe_nera82
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    Riporto un commento che misi su fb:

    Noi abbiamo un fisico semplicemente onnivoro. L'intestino è fatto in modo di digerire sia carne che vegetali.
    La lunghezza non ha molto a che vedere su cosa si può mangiare.. per es l'orso è un animale onnivoro che prevalentemente mangia vegetali e raramente carne (solo in caso non trovi nient'altro). Ebbene ha l'intestino (in proporzione) più corto del nostro.. quindi non è che se hai un intestino + lungo sei vegetariano.
    Il cane pure è onnivoro ma prevalentemente carnivoro.. ha un intestino + lungo dei carnivori però.
    Questo perché? Semplice. I vegetali hanno una un processo digestivo più complicato, quindi anche l'intestino che li digerisce deve essere + "complicato".. gli onnivori (tipo noi) hanno parti di intestino in più e più lunghe.
    Svelato il mistero.


    Scrissi questo visto che il nostro intestino di solito viene paragonato dai veg SOLO a quello delle mucche o delle capre, tralasciando sempre il paragone con quelli onnivori.
     
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  8. maidek
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    ognuno tira acqua al proprio mulino, solo che noi povere persone intelligenti cerchiamo di fare informazione e non ci interessa di avere ragione.
     
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  9. renzo
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    http://laverabestia.org

    Globalizzazione della sostenibilità
    Uno degli aspetti che forse sfuggono ai più è che il dissennato sfruttamento dell'ambiente che l'umanità mette in atto, non mette a rischio il pianeta su cui viviamo. Si può notare che sentiamo spesso parlare di "pianeta a rischio", di "fine del mondo", di "natura a rischio", ma dietro a queste parole è nascosta una sottile falsità, una mistificazione significativa, purtroppo in molti casi anche inconsapevole: la terra e la vita su di essa, in qualche modo, sotto qualche forma, continueranno ad esistere, a prescindere dal comportamento irresponsabile dell'umanità.

    A rischio è "solo" la specie umana. E' un concetto semplice quanto incompreso.
    E' l'uomo che mette a rischio se stesso, o meglio la sua specie.
    C'è qualcosa di perverso e terribile in questo: possibile che l'uomo non abbia a cuore nemmeno sé stesso?
    Purtroppo è così, e per una semplicissima ragione: l'uomo "non spirituale" non ha ancora capito che il mondo è stato, è, e sarà, il mezzo unico e necessario alla sua anima, nelle susseguenti e molteplici vite, per evolvere.

    L'uomo, materialistico e miope, vede solo il tornaconto della sua presente esperienza, e intende massimizzare l'accumulo di agi e ricchezze fini a se stessi in una sola breve vita: quale miserevole intento!

    Vorrei proporre in queste pagine un breve excursus di come l'uomo metta in atto il suo –"relativamente inconsapevole"- disegno di autodistruzione, partendo da considerazioni sui principali meccanismi in atto, sul come tali automatismi siano vicini ad ognuno di noi occidentali, su quanto sarebbe possibile fare per modificare il tragico andamento, per giungere infine a considerazioni che possano dare una collocazione spirituale a tutto il tema. Un tema la cui importanza è tale da richiedere la più grande attenzione che ognuno di noi, abitanti del "primo mondo", possa dedicarvi.
    Una delle espressioni più efferate dello sfruttamento che l'umanità impone al pianeta ci riguarda molto da vicino. Ma questa vicinanza ad ognuno è un fatto positivo, in quanto -come vedremo- ognuno di noi è, o meglio, sarebbe, in grado di fare qualcosa per il suo pianeta. Si tratta dell'uso di carne per l'alimentazione umana.



    I veri costi dell'alimento carneo
    L'economista Jeremy Rifkin, scrittore, docente alla Wharton School of Finance and Commerce e presidente della Foundation on Economic Trends e della Greenhouse Crisis Foundation, uno dei più famosi "teorici" no-global, ha scritto un famoso libro: Ecocidio, ascesa e caduta della cultura della carne, (Mondadori), nel quale con mirabile acume analizza il costo che ha per l'umanità questa "attitudine", sviluppatasi esponenzialmente nell'ultimo secolo.
    La tesi iniziale di Rifkin è significativa: sono due miliardi gli uomini che soffrono la fame. Il numero potrebbe decrescere ma, come al solito, l'interesse dei pochi (potenti) prevale sul destino dei molti (fragili).
    Egli illustra come il "racket dell'Hamburger", assorbendo il 36 per cento della produzione mondiale di grano per l'allevamento del bestiame, impedisca di eliminare il problema nella fame nel mondo.
    Centinaia di milioni di persone nel mondo lottano ogni giorno contro la fame perché gran parte del terreno arabile viene oggi utilizzato per la coltivazione di cereali ad uso zootecnico piuttosto che per cereali destinati all'alimentazione umana. I ricchi del pianeta consumano carne bovina e suina, pollame e altri di tipi di bestiame, tutti nutriti con foraggio, mentre i poveri muoiono di fame.
    Negli ultimi cinquant'anni la nostra società globale ha costruito a livello mondiale una scala di proteine artificiali sul cui gradino più alto ha collocato la carne bovina e quella di altri animali nutriti a foraggio.
    Oggi i popoli ricchi, specie in Europa, Nord America e Giappone, se ne stanno appollaiati in cima a questa catena alimentare divorando il patrimonio dell'intero pianeta.
    Il passaggio avvenuto nel mondo agricolo dalla coltivazione di cereali per l'alimentazione umana a quella di foraggio per l'allevamento degli animali rappresenta una nuova forma di umana malvagità, le cui conseguenze potrebbero essere di gran lunga maggiori e ben più durature di qualunque sbaglio commesso in passato dall'uomo contro i suoi simili.
    Oggi, oltre il 70 per cento del grano prodotto negli Stati Uniti è destinato all'allevamento del bestiame, in gran parte bovino.
    Sfortunatamente, di tutti gli animali domestici, i bovini sono fra i convertitori di alimenti meno efficienti.
    Sperperano energia e sono da molti considerati le "Cadillac" delle fattorie animali.
    Per far ingrassare di circa mezzo chilo un manzo da allevamento, occorrono oltre 4 chili di foraggio, di cui oltre 2 chili e mezzo sono cereali e sottoprodotti di mangimi, e il restante chilo e mezzo è paglia tritata.
    Questo significa che solo l'11 per cento di foraggio assunto dal manzo diventa effettivamente parte del suo corpo; il resto viene bruciato come energia nel processo di conversione, oppure assimilato per mantenere le normali funzioni corporee, oppure assorbito da parti del corpo che non sono commestibili, ad esempio la pelle o le ossa.
    Quando un manzo di allevamento sarà pronto per il macello, avrà consumato 1.223 chili di grano e peserà approssimativamente 475 chilogrammi .
    Attualmente, negli Stati Uniti, 157 milioni di tonnellate di cereali, legumi e proteine vegetali, potenzialmente utilizzabili dall'uomo, sono destinate alla zootecnia: è una produzione di 28 milioni di tonnellate di proteine animali che l'americano medio consuma in un anno.



    Un nuovo fenomeno agricolo
    I bovini e il resto del bestiame stanno divorando gran parte della produzione di grano del pianeta.
    È necessario sottolineare che si tratta di un nuovo fenomeno agricolo, del tutto diverso da quanto sperimentato prima d'ora.
    Ironicamente, la transizione dal foraggio al mangime è avvenuta senza troppe polemiche, nonostante si tratti di un fatto che ha avuto, nella politica di utilizzo del territorio e di distribuzione alimentare, un impatto maggiore di qualunque altro singolo fattore.
    In tutto il mondo la domanda di cereali per la zootecnia continua a crescere perché le multinazionali cercano di capitalizzare sulla richiesta di carne proveniente dai paesi ricchi.
    Fra il 1950 e il 1985, gli anni boom dell'agricoltura, negli Stati Uniti e in Europa, due terzi dell'aumento di produzione di grano sono stati destinati alla fornitura di cereali d'allevamento per lo più bovino.
    Nei paesi in via di sviluppo, la questione della riforma agricola ha periodicamente chiamato a raccolta intere popolazioni di agricoltori, nonché generato sommosse politiche populiste.
    Tuttavia, mentre le questioni della proprietà e del controllo della terra sono sempre state temi di grande rilevanza, il problema di come la terra venisse utilizzata ha sempre suscitato meno interesse nell'ambito del dialogo politico.
    Eppure, è stata la decisione più iniqua della storia quella di usare la terra per creare una catena alimentare artificiale che ha portato alla miseria centinaia di milioni di esseri umani nel mondo.
    È importante tenere a mente che un acro di terra coltivato a cereali produce proteine in misura cinque volte maggiore rispetto ad un acro di terra destinato all'allevamento di carni; i legumi e le verdure possono produrne rispettivamente 10 e 15 volte tanto.
    Le grandi multinazionali che producono semi e prodotti chimici per l'agricoltura, allevano bestiame e controllano i mattatoi e i canali di marketing e distribuzione della carne, hanno tutto l'interesse di pubblicizzare i vantaggi del bestiame allevato a cereali.
    La pubblicità e le campagne di vendita destinate ai paesi in via di sviluppo equiparano ed associano all'allevamento di bovini nutriti a foraggio il prestigio di quel dato paese.
    Salire la scala delle proteine è diventato un simbolo di successo che assicura l'entrata in un club elitario di produttori che sono in cima alla catena alimentare mondiale.
    Il periodico americano "Farm Journal" riflette con queste parole i pregiudizi della comunità agro-industriale: "Incrementare e diversificare le forniture di carne sembra essere il primo passo di ogni paese in via di sviluppo". Iniziano tutti con l'allevamento di polli e con l'installazione di attrezzature per la produzione delle uova: è il modo più veloce ed economico che permette di produrre proteine non vegetali.
    Poi, quando le loro economie lo permettono, salgono "la scala delle proteine" e spostano la loro produzione verso carne suina, latte, latticini, manzo nutrito al pascolo.
    Per poi arrivare, in alcuni casi, al manzo allevato con grano raffinato".



    La scalata alle proteine animali
    Incoraggiare altri paesi a salire la scala delle proteine promuove gli interessi degli agricoltori occidentali (americani soprattutto) e delle società agro-industriali.
    Molti di noi saranno sorpresi di sapere che due terzi di tutto il grano esportato dagli Stati Uniti verso altri paesi è destinato all'allevamento del bestiame più che a soddisfare il fabbisogno di cibo dei popoli.
    Molti paesi in via di sviluppo hanno iniziato a salire la scala delle proteine all'apice del boom agricolo, quando la tecnologia della "rivoluzione verde" produceva grano in eccesso.
    Nel 1971 la Fao suggerì di passare al grano grezzo che poteva essere consumato più facilmente dal bestiame.
    Il governo americano incoraggiò ulteriormente i suoi programmi di aiuti all'estero, collegando gli aiuti alimentari allo sviluppo sul mercato dei cereali foraggieri.
    Società come la Ralston Purina e la Cargill hanno ricevuto finanziamenti governativi a basso tasso di interesse per la gestione di aziende avicole e l'uso di cereali foraggeri nei paesi in via di sviluppo, iniziando queste nazioni al viaggio che le avrebbe condotte verso la scala delle proteine.
    Molte nazioni hanno seguito il consiglio della Fao e si sono sforzate di rimanere in cima a questa scala anche dopo che gli eccessi della "rivoluzione verde" erano svaniti.
    Negli ultimi 50 anni la produzione mondiale di carne si è quintuplicata.
    Il passaggio dal cibo al mangime continua velocemente in molti paesi in modo irreversibile, nonostante il crescente numero di persone che muoiono di fame.
    Le conseguenze di queste trasformazioni - e il significato che hanno per l'uomo - sono state drammaticamente dimostrate da quanto accaduto in Etiopia nel 1984, quando migliaia di persone sono morte di fame.
    L'opinione pubblica non era al corrente del fatto che in quel momento l'Etiopia stesse utilizzando parte dei suoi terreni agricoli per la produzione di panelli di lino, di semi di cotone e semi di ravizzone da esportare nel Regno Unito e in altri paesi europei come cereali foraggieri destinati alla zootecnia.
    Al momento sono milioni gli acri di terra che nel Terzo mondo vengono utilizzati esclusivamente per la produzione di mangime destinato all'allevamento del bestiame europeo.



    Statistiche quanto minimo sconcertanti
    Purtroppo, l'80 per cento dei bambini che nel mondo soffrono la fame vive in paesi che di fatto generano un surplus alimentare che viene però per lo più prodotto sotto forma di mangime animale e che di conseguenza viene utilizzato solo da consumatori benestanti.
    Al momento, uno sconcertante 36 per cento della produzione mondiale di grano è consacrato all'allevamento del bestiame.
    Nelle aree in via di sviluppo, dal 1950 ad oggi, la quota-parte di grano destinata alla zootecnia è triplicata ed ora supera il 21 per cento del totale di grano prodotto.
    In Cina, dal 1960 ad oggi, la percentuale di grano da allevamento è triplicata (dall'8 al 26 per cento).
    Nello stesso periodo, in Messico, la percentuale è cresciuta dal 5 al 45 per cento, in Egitto dal 3 al 31, ed in Thailandia dall'uno al 30 per cento.
    L'ironia dell'attuale sistema di produzione è che milioni di ricchi consumatori dei paesi industrializzati muoiono a causa di malattie legate all'abbondanza di cibo - attacchi di cuore, infarti, cancro, diabete - malattie provocate da un'eccessiva e sregolata assunzione di grassi animali; mentre i poveri del Terzo mondo muoiono di malattie poiché viene loro negato l'accesso alla terra per la coltivazione di grano e cereali destinati all'uomo.
    Le statistiche parlano chiaro: sarebbero 300 mila gli americani che ogni anno muoiono prematuramente a causa di problemi di sovrappeso.
    Un numero destinato ad aumentare. Secondo gli esperti, nel giro di qualche anno, se continuano le attuali tendenze, sempre più americani moriranno prematuramente più per cause di obesità che per il fumo delle sigarette.
    Attualmente il 61 per cento degli americani adulti è in sovrappeso.
    Ma contrariamente a quanto si crede, gli americani non sono i soli ad essere grassi.
    In Europa, oltre la metà della popolazione adulta fra i 35 e i 65 anni ha un peso superiore al normale.
    Nel Regno Unito il 51 per cento della popolazione è in sovrappeso e in Germania si registra un eccedenza di peso nel 50 per cento degli individui.
    Anche nei paesi in via di sviluppo, fra le classi più abbienti della società, il numero degli obesi va velocemente crescendo.
    Il Who (World Health Organization) sostiene che la ragione principale di tutto ciò è "l'assunzione di cibi ad alto contenuto di grassi la predilezione dell' "hamburger life style".
    Secondo il Who, il 18 per cento della popolazione dell'intero globo è obesa, più o meno quante sono le persone denutrite.
    Mentre i consumatori dei paesi ricchi letteralmente fagocitano se stessi fino alla morte, seguendo regimi alimentari carichi di grassi animali, nel resto del mondo circa 20 milioni di persone l'anno muoiono di fame e di malattie collegate.



    Ma i consumatori di carne non sanno né vogliono sapere
    Secondo le stime, la fame cronica contribuisce al 60 per cento delle morti infantili.
    Il consumo di grandi quantità di carne, specie quella di bovini nutriti a foraggio, è visto da molti come un diritto fondamentale e un modo di vita.
    La società dell'hamburger di cui fanno parte anche persone alla disperata ricerca di un pasto al giorno non viene mai sottoposta al giudizio della pubblica opinione.
    I consumatori di carne dei paesi più ricchi sono così lontani dal lato oscuro del circuito grano-carne che non sanno, né gli interessa sapere, in che modo le loro abitudini alimentari influiscano sulle vite di altri esseri umani e sulle scelte politiche di intere nazioni.
    Il punto è questo.
    A Roma nel giugno 2002 si è svolto l'ultimo "vertice mondiale sull'alimentazione" organizzato sotto l'egida della FAO (Food and Agricultural Organization)

    Ma cosa succede in questi faraonici summit sulla fame nel mondo?
    - Si parla molto di come incrementare la produzione alimentare.
    - Le società bio-tecnologiche fanno propaganda ai loro "super semi" geneticamente modificati.
    - I paesi del G-7 e le Organizzazioni non governative parlano della necessità di estendere gli aiuti alimentari.
    - Gli stati del Sud del mondo chiedono accordi più equi per il commercio globale e di come assicurare prezzi più alti per le proprie merci e i propri prodotti.
    - Si discute persino della necessità di una riforma agricola nei paesi poveri.

    Ma il tema assente dal panorama dei dibattiti sono le abitudini alimentari dei consumatori dei paesi ricchi che preferiscono mangiare prodotti animali pieni di grassi e altri cibi al top della catena alimentare globale, mentre i loro fratelli del Terzo mondo muoiono di fame perché gran parte del terreno agricolo viene utilizzato per la coltivazione di cereali destinati agli animali.
    Da troppo tempo ormai si attende una discussione globale su come meglio promuovere una dieta vegetariana diversificata, ad alto contenuto di proteine e adatta all'intera umanità.
    Purtroppo invece, quando i delegati terminano gli incontri giornalieri previsti nei summit e si siedono a tavola, la vera politica dell'alimentazione è seduta lì ed è proprio di fronte ai loro occhi, nei loro piatti, abbondanti di carne…



    Chi mangia carne consuma le risorse della terra quattro volte di più di chi non lo fa
    Possiamo fare qualcosa in prima persona per sfruttare di meno le risorse della terra: cominciare ad essere vegetariani.
    Potrebbe parere un affermazione troppo forte, una sorta di diktat, ma è tutt'altro che così.
    Si tratta solo della conseguenza di una auspicabile consapevolezza, di elevare –come per altro previsto dal Grande Piano Evolutivo di cui ognuno di noi fa parte- il livello di coscienza.
    Quando si mangia una bistecca bisognerebbe essere consapevoli.
    Consapevoli dei liquami che filtrano nelle falde acquifere, delle foreste disboscate, del deserto conseguente, dell'anidride carbonica e del metano che intrappolano il globo in una cappa calda.
    Ogni bistecca equivale a 6 metri quadrati di alberi abbattuti e a 75 chili di gas responsabili dell'effetto serra.
    Consapevoli anche delle tonnellate di grano e soia usate per dar da mangiare alla fonte delle bistecche.
    Consapevoli degli 840 milioni di persone nel mondo hanno fame e dei 9 milioni che ne hanno tanta da morirne.
    Consapevoli che il 70% di cereali, soia e semi prodotti ogni anno negli Usa serve a sfamare animali. Non uomini.
    Tale consapevolezza dovrebbe portarci a comprendere che mangiare meno carne, o magari non mangiarne affatto, non è più solo un segno di rispetto per gli animali è una scelta sociale. Una scelta solidale con chi ha fame e con il futuro del pianeta.
    Un pianeta sovraffollato che si trova sempre più vicino alla profezia dell'economista Malthus, che già due secoli fa ammoniva: "Arriverà il giorno in cui la pressione demografica avrà esaurito la capacità della terra di nutrire l'uomo."
    Ed è questo il più significativo elemento che emerge dai dati sull'impatto ambientale ed economico dell'alimentazione carnivora.



    Carne come alimento = sofferenza per gli uomini e per il pianeta
    Durante il vertice mondiale sull'alimentazione della FAO di cui abbiamo già accennato, questi temi sono stati sostenuti dalla Global Hunger Alliance, una coalizione internazionale non-profit che promuove soluzioni ecologiche ed equo solidali per risolvere il problema della fame nel mondo.
    Al suo appello (www.ebasta.org, www.progettogaia.org) hanno aderito movimenti da 30 Paesi del Nord e del Sud del mondo.
    Dall'Italia, vegetariani, ambientalisti e difensori degli animali si sono associati con la campagna "Contro la fame un'altra alimentazione è possibile" (www.novivisezione.org).
    Cosa chiedevano?
    All'Unione Europea di disincentivare gli allevamenti intensivi e mangiare meno carne, e alla FAO di scoraggiare il trasferimento della zootecnia intensiva nei Paesi in via di sviluppo.
    Ma perché?
    Perché il nostro pianeta viene saccheggiato per perseguire quello che è un vero e proprio business collegato alla soddisfazione di un piacere, alla gola di tanti umani ricchi e ben pasciuti.
    Non si starà ad approfondire più di tanto, in questa sede, ad obiezioni sulla necessità della carne per l'alimentazione umana. Chi vuole può approfondire l'argomento con la massa ormai enorme di notizie, libri, siti (ad esempio http://web.tiscali.it/vitasenzacarne) e quant'altro, che affermano quanto sia migliore e salutare questa dieta, nonché quanto siano infondate le teorie che sostengono come solo la carne contenga le proteine utili all'uomo e che la sua carenza renda più deboli.
    Che non sia così potrebbe essere intuito facilmente anche solo da semplici considerazioni sull'alimentazione necessaria agli animali che ci forniscono tali proteine, o dal fatto che elefante e cavallo sono gli animali più forti e resistenti alla fatica…



    Altri dati che fanno pensare (Da Carne amara. Supplemento D - La Repubblica 28-05-2002, di Daniela Condorelli)

    Ogni volta che addentiamo un hamburger si perdono venti o trenta specie vegetali, una dozzina di specie di uccelli, mammiferi e rettili.
    Dal 1960 a oggi, oltre un quarto delle foreste del Centro America è stato abbattuto per far posto a pascoli; in Costa Rica i latifondisti hanno abbattuto l'80% della foresta tropicale e in Brasile c'è voluto l'omicidio di Chico Mendes, il raccoglitore di gomma assassinato dagli allevatori per una disputa sull'uso della foresta pluviale, per accorgersi dell'esistenza di una "bovino connection".
    In Amazzonia la foresta pluviale è stata divorata da 15 milioni di ettari di pascolo, eppure è in questo habitat che dimora il 50% delle specie viventi e da qui deriva un quarto di tutti i farmaci che usiamo.
    Dove prima c'erano migliaia di varietà viventi ora ci sono solo mandrie.
    "Vacche ovunque", scrive Rifkin nel suo "Ecocidio": "attualmente il nostro pianeta è popolato da ben oltre un miliardo di bovini. Quest'immensa mandria occupa, direttamente o indirettamente, il 24 per cento della superficie terrestre e consuma una quantità di cereali sufficiente a sfamare centinaia di milioni di persone".
    Per farvi posto occorre terreno da pascolo e deforestazione per creare pascoli significa desertificazione.
    Dopo tre, al massimo cinque anni, il suolo calpestato e divorato da milioni di bovini (ogni capo libero ingurgita 400 chili di vegetazione al mese!) ed esposto a sole, piogge e vento, diventa sterile e i ruminanti si devono spostare dissacrando altri ettari di foresta.
    Ci vorranno da 200 a mille anni perché quei terreno ritorni fertile.
    Ma non basta: un quarto delle terre emerse vengono usate per nutrire il bestiame.
    E che dire dell'acqua? Quasi la metà dell'acqua dolce consumata negli States è destinata alle coltivazioni di alimenti per il bestiame: e' stato calcolato che un chilo di manzo si beve 3.200 litri d'acqua.
    Il risultato è che le falde acquifere del Mid-West e delle Grandi Pianure statunitensi si stanno esaurendo.
    Non solo: l'allevamento richiede ingenti quantità di sostanze chimiche tra fertilizzanti, diserbanti, ormoni, antibiotici: "tutti prodotti dalle stesse, poche, multinazionali che detengono il monopolio dei semi usati per coltivare cereali e legumi destinati ad alimentare il bestiame", fa notare Enrico Moriconi, veterinario e ambientalista, nelle pagine del suo "Le fabbriche degli animali" (Edizioni Cosmopolis).
    "Ogni anno in Europa", incalza Marinella Correggia, attivista della Global Hunger Alliance e autrice, per la LAV , di "Addio alle carni" (www.infolav.org), "gli animali da allevamento consumano 5 mila tonnellate di antibiotici di cui 1.500 per favorirne la crescita".
    E tutti vanno a finire nelle falde acquifere.
    Un dato italiano, che riferisce Roberto Marchesini, docente di bioetica e zoo-antropologia, autore di "Post-human", (ed. Bollati Boringhieri): "Nel bacino del Po ogni anno vengono riversate 190 mila tonnellate di deiezioni animali. Contengono metalli pesanti, antibiotici e ormoni".
    Con quali conseguenze? Ricordate il problema delle alghe abnormi nel Mar Adriatico?
    Marchesini parla di "fecalizzazione ambientale" e Rifkin ci illumina sulla portata del problema riportando che un allevamento medio produce 200 tonnellate di sterco al giorno.
    C'è dell'altro: i bovini sono responsabili dell'effetto serra tanto quanto il traffico veicolare del mondo intero a causa dell'uso di petrolio ( 22 grammi per produrre un chilo di farina contro 193 per uno di carne), delle emissioni di metano dovute ai processi digestivi (60 milioni di tonnellate ogni anno) e dell'anidride carbonica scatenata dal disboscamento.



    Un chilo di vegetali per 60 grammi di carne
    Vogliamo riassumere?
    E' la stessa FAO a fornire un elenco agghiacciante dei problemi causati dagli allevamenti intensivi: riduzione della bio-diversità, erosione del terreno, effetto serra, contaminazione delle acque e dei terreni, piogge acide a causa delle emissioni di ammoniaca.
    E tutto questo per cosa?
    Per quelle che Frances Moore Lappé, autrice di "Diet for a small planet" definisce "fabbriche di proteine alla rovescia".
    Significa che ci vuole un chilo di proteine vegetali per avere 60 grammi di proteine animali.
    E inoltre: "per produrre una bistecca che fornisce 500 calorie", spiegano gli autori di "Assalto al pianeta" (ed. Bollati Boringhieri), "il manzo deve ricavare 5 mila calorie, il che vuoi dire mangiare una quantità d'erba che ne contenga 50 mila.
    Solo un centesimo di quest'energia arriva al nostro organismo: il 99% viene dissipata... Usata per il processo di conversione e per il mantenimento delle funzioni vitali, espulsa o assorbita da parti che non si mangiano come ossa o peli".
    Il bestiame è dunque una fonte di alimentazione altamente idrovora ed energivora, una massa bovina che ingurgita tonnellate di acqua ed energia.
    E lo fa per nutrire solo il 20% della popolazione globale del pianeta.
    Quel 20% che sfrutta l'80% delle risorse mondiali.
    Per dare a quel 20% la sua bistecca quotidiana.
    "Nel mondo c'è abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l'ingordigia di alcuni", diceva Gandhi.
    Ingordigia che ha raggiunto livelli esorbitanti. "Dal Dopoguerra a oggi, in Europa, siamo passati da circa 7-15 chili di consumo pro capite all'anno a 85-90 (110-120 negli States)", riferisce Marchesini.
    Secondo Moore Lappé le tonnellate di cereali e soia che nutrono gli animali da carne basterebbero per dare una ciotola di cibo al giorno a tutti gli esseri umani per un anno.
    E la FAO conferma che se una dieta vegetariana mondiale potrebbe dar da mangiare a 6,2 miliardi di persone, un' alimentazione che comprenda il 25% di prodotti animali può sfamarne solo 3,2 miliardi.



    Ma c'è una spiacevole sorpresa
    La domanda di carne sta crescendo.
    Paesi come la Cina stanno abbandonando riso e soia a favore di abitudini occidentali.
    Stiamo esportando il nostro modello alimentare (e che modello!).
    Secondo l'IFPRI entro il 2020 la domanda di carne nei Paesi in via di sviluppo aumenterà del 40%: questo significherà oltre 300 milioni di tonnellate di bistecche.
    E raddoppierà, sempre nei Paesi in via di sviluppo, la domanda di cereali per nutrire queste tonnellate di carne.
    Fino a raggiungere 445 milioni di tonnellate.
    Richieste incompatibili con la salute del pianeta e con un equo sfruttamento delle risorse.
    Il manzo globale sta diventando una realtà.
    Si chiama rivoluzione zootecnica: significa spostare nel Sud del mondo la produzione di carne.
    La Banca Mondiale sovvenziona, in Cina, l'industria dell'allevamento e della macellazione.
    Ma sbaglia: suolo e acqua non bastano per sfamare il mondo a suon di bistecche e hamburger.
    Con un terzo della produzione di cereali destinata agli animali e la popolazione mondiale in crescita deI 20% ogni dieci anni", scrive Rifkin, "si sta preparando una crisi alimentare planetaria".
    Incalza Correggia: "è stato calcolato che l'impronta ecologica, cioè il consumo di risorse, di una persona che mangia carne è di 4 mila metri quadrati di terreno contro i mille sufficienti a un vegetariano".
    E allo stato attuale, la disponibilità di terra coltivabile per ogni abitante della terra è di 2.700 metri quadrati ". Ancora: un ettaro di terra a cereali per il bestiame dà 66 chili di proteine, che diventano 1.848 (28 volte di più!) se lo stesso terreno viene coltivato a soia.
    Secondo la Correggia bisogna "promuovere il miglioramento della dieta nelle aree povere, ad esempio con una miglior combinazione degli alimenti, la produzione locale di integratori a basso costo e il recupero di cereali e legumi tradizionali molto più ricchi di quel trinomio riso - frumento - mais (rigorosamente raffinati!) che ha conquistato il mondo".



    Una scelta etica e responsabile
    Economia, ecologia e cibo per tutti sì fondono. Ambiente ed economia, del resto, sono legati dalla quantità di risorse che la terra mette a disposizione di ciascun essere vivente.
    Se qualcuno consuma di più c'è un altro costretto a digiunare.
    Naturalmente non è così semplice. La fame nel mondo non è solo una questione di quantità di risorse, ma di distribuzione.
    O meglio, con Marchesini "è una questione di produzione, consumo e distribuzione insieme".
    Essere vegetariani è una scelta personale, frutto di un percorso (certo, se cominciassimo a ridurre quei 90 chili di carne all'anno...).
    Marchesini la definisce una scelta di etica privata (etica pubblica, obbligo collettivo, deve essere, invece, l'attenzione al benessere degli animali).
    Ma essere vegetariani è anche un atto di responsabilità e sensibilità sociale ed ecologica.
    Scrive Rifkin: "milioni di occidentali consumano hamburger e bistecche in quantità incalcolabili, ignari dell'effetto delle loro abitudini sulla biosfera e sulla sopravvivenza della vita nel pianeta".
    Ogni chilo di carne è prodotto a spese di una foresta bruciata, di un territorio eroso, di un campo isterilito, di un fiume disseccato, di milioni di tonnellate dì anidride carbonica e metano rilasciate nell'atmosfera"...
    Se ogni volta che decidiamo di comprare una bistecca pensassimo a tutto questo forse per quel giorno cambieremmo menù, e chissà, magari sostituiremmo la carne con un piatto di germogli di soia consapevoli di fare del bene non solo all'umanità e al pianeta che così gentilmente ci ospita e sopporta, ma anche a noi stessi a alla nostra salute…



    Una citazione emblematica
    Rifkin chiude il suo libro con considerazioni veramente significative:
    "I ricchi consumatori del Primo mondo si godono i piaceri di una dieta carnea, ma patiscono le conseguenze degli eccessi che la posizione dominante nell'artificiosa scala delle proteine comporta: con il corpo intasato di colesterolo, vene e arterie occluse dai grassi animali, sono vittime delle "malattie del benessere", degli attacchi cardiaci, dei tumori del colon e della mammella, del diabete.


    Il moderno complesso bovino rappresenta una nuova specie di forza malvagia che agisce nel mondo.
    In una civiltà che ancora misura il male in termini individuali, il male istituzionale, nato dal distacco razionale e perseguito freddamente con metodi calcolati di espropriazione tecnologica, deve ancora trovare una posizione sulla scala morale.
    La riprovazione morale continua a essere legata ad atti d'individuale malvagità; se un membro della società commette un atto di violenza, priva il suo prossimo della vita, della proprietà o della libertà, l'individuo e il suo gesto sono universalmente condannati.
    Il male è manifesto, visibile, diretto e passibile di giudizio.


    Il mondo moderno riconosce il male individuale che cagiona un danno diretto ad altri individui.
    Ma non sa ancora riconoscere una nuova e ben più pericolosa forma di male, che ha premesse tecnologiche, imperativi istituzionali e obiettivi economici.
    La società contemporanea continua a tutelarsi dal male individuale e diretto, ma ancora non è riuscita a integrare nella propria griglia morale di riferimento il senso di giusta indignazione e di riprovazione morale nei confronti della violenza istituzionalmente certificata.
    Ma cosa accade di un altro genere di malvagità: quella implicita all'origine, nelle premesse medesime su cui si fondano le istituzioni?
    La chiesa accenna, con molta timidezza, all'idea di combattere "le potenze e i principati terreni", ma anche qui riconosce solo un concetto tradizionale di moralità, ispirato ai Dieci Comandamenti.


    Cosa dire, invece, del male che scaturisce da metodi razionali di confronto, obiettività scientifica, riduzionismo meccanicista, utilitarismo ed efficienza economica?
    Il male inflitto al mondo moderno dal complesso bovino ha questa natura: avidità, inquinamento e sfruttamento hanno accompagnato il complesso bovino durante tutta la millenaria migrazione verso Ovest.
    La nuova dimensione del male è intimamente connessa con il complesso bovino moderno, che ha acquisito i caratteri di un male occulto, e discende direttamente dai principi illuministi su cui si fonda gran parte della moderna visione del mondo.
    Questo male occulto viene inflitto a distanza; è un male camuffato da strati sovrapposti di veli tecnologici e istituzionali; un male cosi lontano, nel tempo e nel luogo, da chi lo commette e da chi lo subisce, da non lasciar sospettare o avvertire alcuna relazione causale. E' un male che non può essere avvertito, data la sua natura impersonale.


    Lasciare intendere che un individuo sta facendo il male coltivando cereali destinati all'alimentazione animale o consumando un hamburger, può sembrare strano, perfino perverso, a molti.
    Anche se i fatti fossero espliciti e incontrovertibili, e il percorso del male fosse tracciato nei suoi più minuti dettagli, è improbabile che molti, nella società, avvertirebbero il medesimo senso di riprovazione morale che provano di fronte a un male diretto e individuale, come una rapina, uno stupro, la deliberata tortura del cane dei vicini.


    E' probabile che i proprietari dei negozi in cui si vende carne di bovini nutriti a cereali non avvertano mai, personalmente, la disperazione delle vittime della povertà, di quei milioni di famiglie allontanate dalla propria terra per fare spazio a coltivazioni di prodotti destinati esclusivamente all'esportazione.
    E che i ragazzi che divorano cheeseburgers in un fast-food non siano consapevoli di quanta superficie di foresta pluviale sia stata abbattuta e bruciata per mettere a loro disposizione quel pasto.

    E che il consumatore che acquista una bistecca al supermercato non si senta responsabile del dolore e della brutalità patiti dagli animali nei moderni allevamenti ad alta tecnologia.


    In una civiltà completamente imbevuta di principi illuministi, come la meccanizzazione e l'efficienza economica, la sola idea che questi medesimi principi siano, potenzialmente, causa del male è censurata.
    La maggior parte delle relazioni che regolano le società moderne sono mediate dalla razionalità, dal distacco obiettivo, dalla ricerca dell'efficienza, da c considerazioni utilitariste e interventi tecnologici.


    Il moderno complesso bovino, come abbiamo appreso attraverso le pagine di questo libro, è stato fra le prime forze istituzionali a mettere in pratica le idee dell'Illuminismo, a integrare gli standard ingegneristici della moderna visione del mondo in ogni aspetto della propria attività.
    Nell'era moderna, queste idee e questi standard sono stati utilizzati efficacemente per tagliare gli intimi legami fra uomo e natura.
    I principi fondamentali dell'Illuminismo hanno spogliato la natura della propria vitalità e derubato le altre creature della propria essenza originale e del proprio valore intrinseco.


    Nel mondo moderno, freddo e calcolatore, abbiamo scambiato la salvezza eterna con l'interesse materiale personale, il rinnovamento con la convenienza, la capacità generativa con le quote di produzione.
    Abbiamo appiattito la ricchezza organica dell'esistenza, trasformando il mondo che ci circonda in astratte equazioni algebriche, statistiche e standard di performance economica.


    Il male occulto viene perpetuato da istituzioni e individui mossi da principi organizzativi razionali, che a far loro da guida per scelte e decisioni, hanno solo forze di mercato e obiettivi utilitaristici (la globalizzazione del profitto).
    In un mondo di questo genere, ci sono ben poche occasioni per onorare la creazione, essere in sintonia con le altre creature, gestire l'ambiente e proteggere i diritti delle future generazioni.


    L'effetto sull'uomo e sull'ambiente del modo moderno di pensare e di strutturare le relazioni è stato quasi catastrofico: ha indebolito gli ecosistemi e minato alla base la stabilità e la sostenibilità delle comunità umane.
    La grande sfida che dobbiamo affrontare è rappresentata dal lato oscuro della moderna visione del mondo: dobbiamo reagire al male occulto che sta trasformando la natura e la vita in risorse economiche che possono essere mediate, manipolate e ricostruite tecnologicamente, per adeguarle ai ristretti obiettivi dell'utilitarismo e dell'efficienza economica.


    Il primo passo necessario è diventare consapevoli dei meccanismi di sfruttamento del pianeta di cui siamo complici.
    Il secondo passo necessario non è fare la rivoluzione, e non è neanche aderire a questa o quest'altra organizzazione alternativa (per quanto possa essere positivo), ma è far seguire conseguenti e coerenti azioni personali in armonia con una vita etica e rispettosa dell'ambiente e del prossimo. Se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo iniziare da noi stessi".



    Realizzazione Maurizio Sabbadini - fonte http://www.procaduceo.org/it_mater/articol...arne2.htm#costi


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    L'ignoranza dei mangiacadeveri è senza limiti! Non avevo la certezza che cibarsi di cadaveri renda intontiti e deliranti ma ora, grazie alle cavolate che son state scritte negli ultimi post, ne ho!

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    Le mucche "da latte" sono selezionate geneticamente ed inseminate artificialmente per produrre quanto più latte possibile. Dall'età di circa due anni, trascorrono in gravidanza nove mesi ogni anno. Poco dopo la nascita, i vitelli sono strappati alle madri, perché non ne bevano il latte, e rinchiusi in piccoli recinti.



    Portare via il vitellino dalla madre crea un'enorme sofferenza e angoscia in entrambi. Racconta John Avizienus della Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals inglese, di una mucca che, separata a forza dal figlio, si fermava davanti al posto in cui l'aveva visto per l'ultima volta, e muggiva per ore e ore, piena di disperazione e tristezza. Allo stesso modo soffrono i cuccioli, che non possono stare vicino alla madre, non possono correre e giocare coi loro simili, non ricevono quell'affetto che a un cucciolo è necessario più dell'aria che respira.



    I vitelli vengono poi alimentati con una dieta inadeguata apposta per renderli anemici e far sì che la loro carne sia bianca e tenera (come piace ai consumatori) e infine sono mandati al macello.



    La mucca verrà quindi munta per mesi, durante i quali sarà costretta a produrre una quantità di latte pari a 10 volte l'ammontare di quello che sarebbe stato necessario, in natura, per nutrire il vitello. Non sorprende che ogni anno un terzo delle mucche sfruttate nei caseifici soffra di mastite (una dolorosa infiammazione delle mammelle).



    Per aumentare la produzione di latte, la mucca è alimentata con proteine molto concentrate, ma spesso neppure queste sono sufficienti, tanto da provocare lacerazione dei tessuti per soddisfare la continua richiesta di latte (in Inghilterra hanno coniato un termine per definire questa pratica: "milking off the cow's back", ossia mungitura del posteriore della mucca). Ciò provoca una condizione chiamata acidosi, che può rendere zoppo l'animale e ciò accade ogni anno al 25% delle mucche sfruttate per la produzione di latte.



    Il prof. John Webster, autore del libro "Il benessere animale. Uno sguardo verso il paradiso", spiega che il dolore che sentono questi poveri animali è come quello che si prova se ci si chiudono le dita dei piedi in una porta e poi si cerca di camminare.

    Dopo cinque o sei anni di questa vita, ormai esausta e sfruttata al massimo, la mucca verrà macellata.

    La durata della sua vita, in natura, sarebbe stata di circa 20 anni.

    da www.incontraglianimali.org

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    - Noi abbiamo un sogno, quello di un'umanità libera da condizionamenti mentali esercitati da millenni dai centri di potere politico, economico e religioso; un'umanità libera dalle malattie, dal dolore e dalla violenza; un'umanità in cui ogni individuo ha gli strumenti per essere artefice del proprio destino, della propria salute fisica, del proprio equilibrio mentale e della propria sfera spirituale.



    - Noi siamo consapevoli che una società migliore è possibile solo se migliori saranno le coscienze di coloro che la compongono: più giuste e sensibili verso le esigenze vitali di ogni essere vivente, aperta alla fratellanza biologica universale in cui i codici del diritto alla vita, alla libertà e al rispetto sono estesi dall'uomo ad ogni creatura. Siamo consapevoli che i sistemi politici ed economici cambieranno solo se cambierà il cuore e la mentalità della gente che li fa e li gestisce.



    - Riteniamo il vegetarismo l'anello mancante alla cultura umana per poter superare il lungo periodo storico dell'uomo dell'ingiustizia, della violenza, della guerra, del dolore, della malattia.



    - Noi siamo consapevoli che educare a rispettare e a valorizzare il piccolo sia la soluzione di gran parte dei problemi del genere umano. Infatti come potrebbe l'uomo nuocere al suo simile se fosse educato alla gentilezza verso ogni essere vivente?



    - Chi dice "io sono verde" oppure "io sono bianco" è in errore: chi guarda in una sola direzione esclude dal suo orizzonte tutto il resto. Chi dice "io sono arcobaleno", questi è nel vero.



    - Noi sosteniamo la cultura delle cause e del senso critico non la cultura sintomatologia.



    - La filosofia universalista del vegetarismo valorizza le diversità formali e sostanziali della vita.



    - Ci opponiamo all'arcaica quanto perniciosa visione antropocentrica alla quale contrapponiamo la vitale filosofia del biocentrsimo.



    - Consideriamo una vergogna per un popolo civile convivere, tollerare, giustificare l'esistenza dei campi di sterminio dei mattatoi, come ciò che preclude l'evoluzione civile, morale e spirituale di un popolo.



    - Nessuna malattia può essere debellata senza considerare l'individuo nella sua interezza e senza neutralizzare le cause che l'anno generata che sempre risiedono nel modo di essere e di alimentarsi dell'individuo.



    - Nessun vero benessere è possibile se l'individuo non cura simultaneamente le 4 componenti fondamentali dell'essere: quella fisica, quella mentale, quella emozionale e quella spirituale.



    - Il cibo influisce sulla mente, sul corpo e sulla sfera morale e sulla dimensione spirituale dell'individuo.



    -La tossiemia è l'effetto di una moltitudine di cause che porta a tutte le malattie.



    - I cibi cotti sono la causa della debilitazione dell'uomo.



    - Con la frutta, i cibi crudi, il digiuno, l'aria pulita, la serenità d'animo e la bontà del cuore è possibile curare ogni malattia.



    - L'alimentazione carnea è correlata ai 7 problemi più gravi del mondo: (la violenza, la malattia, la fame nel mondo, la distruzione delle foreste, l'inquinamento generale, la carenza di acqua potabile e di risorse energetiche)



    - La carne e i derivati animali hanno causato più morti di tutte le guerre messe assieme del secolo scorso.



    - Non è vero che occorre mangiare di tutto: se così fosse dovremmo imbandire le nostre tavole anche con i lombrichi e la cicuta: l'uomo deve mangiare ciò che è compatibile con la sua natura di essere fruttariano.



    Non è vero che per stare bene in salute è necessario mangiare carne o derivati animali: se così fosse coloro che non mangiano queste sostanze dovrebbero accusare carenze nutrizionali invece godono di una salute migliore degli onnivori.



    Non è vero che le proteine della carne sono di "alto valore biologico" perché contengono tutti gli aminoacidi essenziali: l'accoppiata di due o più diversi alimenti dà come risultato proteine di qualità migliori perché più assimilabili e più digeribili.



    Non è vero che per assicurasi il calcio è necessario mangiare latticini: è vero il contrario: l'alto contenuto di calcio dei latticini uniti alle proteine animali aumentano la calciuria riducendone la fissazione del calcio nel tessuto osseo. Il calcio del latte è scarsamente assimilabile perché legato alla caseina, base di una delle più potenti colle per il legno delle navi.



    Non è vero che ci può essere carenza di ferro nella dieta vegetariana: nel mondo 500 milioni di persone soffrono di carenze di ferro indipendentemente dalla dieta ed è molto più facile trovare una persona anemica tra gli onnivori che tra i vegetariani perché ciò che consente l'assimilazione di questo minerale è la presenza di vit C, Rame e Cobalto, presenti nei vegetali.



    Non è vero che l'uomo è un animale onnivoro: se così fosse sarebbe strutturato anatomicamente come gli animali predatori: dovrebbe avere artigli, zanne, velocità per rincorrere la preda, insensibilità di squartarla e divorarla palpitante.



    Non è vero che l'uomo ha sempre mangiato la carne: per milioni di anni è vissuto da fruttariano nella foresta e quando per necessità di sopravvivenza ha dovuto includere nella sua dieta anche la carne nella misura del 20% c'è stato un calo a picco della vita media e lo sviluppo di molte malattie umane.



    Non è vero che per essere vegetariani occorre farsi seguire da un nutrizionista: nessuna generazione che ci ha preceduto ha avuto bisogno di nutrizionisti: ogni animale riconosce per istinto il cibo adatto alla sua dieta e gli animali liberi e allo stato naturale non si ammalano mai a differenza dell'uomo che è flagellato da diverse centinaia di terribili malattie.



    Non è vero che gli animali sono fatti per l'uomo (come i neri erano fatti per i bianchi, le donne per gli uomini, gli schiavi per i padroni); non è vero che non hanno un'anima o che il loro dolore o la loro vita hanno meno valore della nostra: se così fosse il Creatore sarebbe un dio ingiusto e crudele, dalla parte dei forti, dei predatori e non degli ultimi e dei deboli come affermava Gesù.

    Franco Libero Manco

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    Le caratteristiche interne del nostro organismo differiscono profondamente dagli animali onnivori.

    Gli occhi che guardano avanti e non ai lati, le mani prensili e delicate, non aggressive, il pollice della mano opponibile e concepito per raccogliere e trattenere nocciole e pomi; la dentatura adatta a masticare vegetali, semi e frutta; conformazione intestinale oblunga (12 volte la lunghezza del tronco).

    Inoltre:
    il sangue e la saliva umana sono alcaline e non acide (come nei carnivori-onnivori);
    totale assenza nell'uomo dell'enzima uricasi, che serve a disintegrare il micidiale acido urico delle carni, mentre detto enzima è abbondante negli animali carnivori-onnivori;
    scarsa presenza di acido cloridrico nello stomaco umano, e quindi difficoltà di disgregare le proteine animali, mentre tale presenza acida nei carnivori-onnivori è 10 volte più intensa;
    forma del cranio arrotondata con i muscoli della faccia adatti a triturare; canini poco sviluppati, grandi molari adatti ai cibi duri, forma dei denti con incisivi, smalto molto spesso dei denti (l'uomo è l'animale con lo smalto più spesso adatto a mangiare cibi duri); pollice opponibile adatto a raccogliere frutti e semi, sedere grosso, intestino saccoluto, cioè a zone, a sacchetti adatto alla fermentazione di cibi vegetali;
    le mandibole dell'uomo possono effettuare movimenti laterali e antero-posteriori; la dentatura è bunodonta; formula dentale diversa; debole muscolatura dello stomaco.

    L'uomo attuale, strettamente imparentato con il gorilla, lo scimpanzé, i gibboni e gli urang tang, appartiene alla classe dei mammiferi, all'ordine dei primati, alla famiglia degli ominidi, al genere homo, alla specie homo sapiens ed ha con questi in comune il 98 per cento del patrimonio genetico. E' anatomicamente strutturato come questi che hanno infatti due mani e due piedi, niente coda, occhi che guardano in avanti, ghiandole mammarie sul petto, milioni di pori sudoripari nella pelle, pollice della mano opponibile adatto a raccogliere semi e frutti, apparato masticatorio come il nostro, canini poco sviluppati, grandi molari smussati adatti a triturare cibi duri e quindi notevole spessore dello smalto, forma dei denti cuspidi arrotondati, incisivi ben sviluppati adatti a tagliare i frutti e i vegetali, inoltre ghiandole salivari ben sviluppate come le nostre, lingua liscia e non ruvida come i carnivori, saliva ed urina alcalina, stomaco con duodeno, l'intestino lungo 12 volte la lunghezza del tronco, la placenta è discoidale, il colon convoluto: struttura anatomica praticamente identica alla nostra.



    Il fatto che questi nostri parenti siano vegetariani indica chiaramente che l'essere umano non è stato strutturato dalla natura a mangiare la carne, e che non è, come alcuni sostengono, un animale onnivoro.



    Baron Gorge Cuvier (1769-1832), uno dei maggiori naturalisti: "L'uomo sulle basi della propria struttura, è un mangiatore di frutta, della parte succosa dei vegetali e delle radici".



    Dr. Richard Lehne, anatomista: "L'anatomia comparata prova che la dentatura umana è totalmente frugivora e ciò è confermato dalla paleozoologia con documenti vecchi milioni di anni".



    Carolus Linnaeus (1707-1778), celebre botanico: "La frutta è il cibo più adatto alla bocca, allo stomaco, alle stesse mani dell'uomo, disegnate appositamente per raccogliere e mangiare frutta. Anche se il genere umano ad un certo punto della sua storia acquisì abitudini onnivore, millenni di onnivorismo non hanno cambiato di una virgola anatomia e la fisiologia del suo corpo".



    Girolamo Savonarola, celebre frate domenicano vegetariano, ci lascia un test per la valutazione della vera fame. "I veri onnivori e i veri carnivori, quando sono affamati, sono attratti istintivamente da animali e carogne che interpretano come cibo immediato. Questo non accade mai all'uomo. Il ribrezzo che ogni uomo normale e sano prova alla vista del sangue e di un cadavere è la prova della sua natura non carnivora".

    di Franco Libero Manco - Associazione Vegetariana Animalista

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    Il modo "razionale" in cui noi uomini alleviamo gli animali per ucciderli, tagliando la coda ai maiali perché quelli dietro non la mordano a quelli davanti, e il becco ai polli perché, impazzendo nella loro impossibilità di muoversi, non attacchino il vicino, è un ottimo esempio della barbarie della ragione.
    [...] Una sera il vecchio miliardario volle che cenassi con lui e la sua famiglia e mi invitò in uno dei famosi ristoranti di Wellington Street, quelli coi maialini di latte arrostiti appesi all’ingresso a sgrondare il grasso e, esposte sulla strada come fossero acquari, le vasche di vetro con dentro, vivi, i migliori pesci, gamberi e aragoste ad aspettare che un cliente, passando, dica: "Quello!" e la bestia venga pescata e cotta secondo l’ordinazione.

    Non è vero, come sostengono alcuni, che sia stata la Bibbia col suo divino invito all’uomo a moltiplicarsi nel mondo su cui lui, solo lui, ha "il dominio" a creare la violenza carnivora della razza umana. I cinesi sono arrivati alla stessa violenza senza la Bibbia, e per millenni questa di cucinare con raffinata tortura ogni animale è stata parte della loro cultura, una parte fra l’altro che nessun regime e nessuna ideologia politica hanno mai osato sfidare.


    Guardavo quei bei pesci muoversi nell’acqua, guardavo i maialini appesi agli uncini e pensavo a come, a parte la miseria e la fame, l’uomo ha sempre trovato strane giustificazioni per la sua violenza carnivora nei confronti degli altri esseri viventi. Uno degli argomenti che vengono ancora oggi usati in Occidente per giustificare il massacro annuo di centinaia di milioni di polli, agnelli, maiali e bovi è che per vivere si ha bisogno di proteine. E gli elefanti? Da dove prendono le proteine gli elefanti?

    L’argomento con cui un amico cercò di convincere Gandhi ad abbandonare la tradizione ortodossamente vegetariana della sua famiglia fu dello stesso tipo. Gli disse che gli inglesi erano capaci con pochi uomini di dominare milioni di indiani perché mangiavano carne. Questo li rendeva forti. Il solo modo di combatterli era di diventare carnivori come loro.


    Una notte allora i due amici vanno in riva al fiume e per la prima volta Gandhi mangia un boccone di carne di capra, tradendo così la fede dei suoi genitori e della sua casta. Ma sta malissimo. Non digerisce e ogni volta che cerca di addormentarsi gli pare di sentire nello stomaco il belare della capra mangiata, come racconta nella sua autobiografia. In tutta la sua vita Gandhi non toccò più un pezzo di carne, neppure nei suoi anni da studente in Inghilterra dove tutti gli dicevano che senza carne non avrebbe potuto resistere al freddo.

    Io, per cultura, non mi ero mai chiesto se ero vegetariano o meno. A casa mia, da ragazzo, mangiar carne era normale, se potevamo permettercela. Succedeva di solito alla domenica. Quando Angela e io arrivammo in India nel 1994 eravamo ancora tutti e due carnivori e per un po’ continuammo a esserlo.


    Una volta alla settimana un musulmano si presentava alla porta di casa con una impeccabile valigia dalla quale tirava fuori dei pacchi sanguinolenti con filetti e bistecche di manzo. Poi un giorno Dieter, l’amico fotografo tedesco, indicandomi per strada un branco di vacche attorno a un deposito di spazzatura, intente a mangiare sacchetti di plastica, scatole di cartone e giornali, disse: "Ecco quel che mangi con la bella carne del tuo musulmano. E pensa al piombo di tutta quella carta stampata!" Aveva assolutamente ragione. Pur permettendosi di macellare le mucche che gli Indù ritengono sacre, il nostro musulmano non aveva certo uno speciale pascolo di erba fresca dove mandare le sue vittime e quel che ci portava erano pezzi delle malaticce mucche di strada alimentate di rifiuti.

    La molla a smettere fu quella. Poi, col passare del tempo, mi sono reso conto che, non considerandoli più come cibo, cominciavo a guardare gli animali diversamente da prima e a sentirli sempre di più come altri esseri viventi, in qualche modo parte della stessa vita che popola e fa il mondo. La sola vista di una bistecca ormai mi ripugna, l’odore di una che cuoce mi dà la nausea e l’idea che uno possa allevare delle bestie solo per assassinarle e mangiarsele mi ferisce.

    Il modo perfettamente "razionale" in cui noi uomini alleviamo gli animali per ucciderli, tagliando la coda ai maiali perché quelli dietro non la mordano a quelli davanti, e il becco ai polli perché, impazzendo nella loro impossibilità di muoversi, non attacchino il vicino, è un ottimo esempio della barbarie della ragione. "Ma anche la verdura è vita!" mi sento dire dagli accaniti carnivori, sordi a ogni argomento, come se a cogliere un pomodoro si facesse soffrire la pianta come a strozzare un pollo, o come se si potesse ripiantare una coscia d’agnello nel modo in cui si ripianta il cavolo o l’insalata. Le verdure sono lì per essere mangiate. Gli animali no! Il cibo più naturale per l’uomo è quello prodotto dalla terra e dal sole.

    Il miliardario non arrivava. Io guardavo i maialini e chiedevo, tra me e me, a chi li avrebbe mangiati: "Avete mai sentito le grida che vengono da un macello?" Bisognerebbe che ognuno le sentisse, quelle grida, prima di attaccare una bistecchina. In ogni cellula di quella carne c’è il terrore di quella violenza, il veleno di quella improvvisa paura dell’animale che muore. Mia nonna era, come tutti, carnivora, se poteva, ma ricordo che diceva di non mangiare mai la carne appena macellata. Bisognava aspettare. Perché? Forse i vecchi come lei sapevano del male che fa mettersi in pancia l’agonia altrui. Perché quella che chiamiamo eufemisticamente "carne" sono in verità pezzi di cadaveri di animali morti, morti ammazzati. Perché fare del proprio stomaco un cimitero?

    Angela continua a mangiare carne, se le capita. Per me è impossibile. Ma non è più una questione di salute, di non ingurgitare il piombo dei giornali ruminati dalle vacche di strada. E’ un problema di morale. Ecco un piccolo, bel modo per fare qualcosa contro la violenza: decidere di non mangiare più altri esseri viventi[...]


    Tiziano Terzani - Un altro giro di giostra

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    Aspetti teorici critici dell'approccio protezionista
    di AlanAdler



    L'approccio protezionista si pone come un invito verso il sostegno di forme di allevamento più “umane”, dove all'animale vengono garantite condizioni di benessere elevate o comunque migliori. Anche se questo approccio può sembrare invitante, un'analisi più approfondita rivela aspetti teorici critici sotto diversi punti e potenzialmente nocivi alla condizione degli stessi animali che si vorrebbero aiutare. Le associazioni animaliste che si battono per un trattamento “umanitario” degli animali sostengono che le riforme che richiedono migliorano la situazione di benessere degli animali e invitano i consumatori ad acquistare prodotti che provengano da allevamenti biologici o che, comunque, non facciano uso di particolari metodologie cruente di allevamento. In sostanza, dunque, si offre al consumatore la possibilità di mantenere inalterate le proprie abitudini a tavola, rassicurandolo però che l'animale sfruttato non ha subito sofferenze [1].



    Ma questo tipo di approccio è proprio quello di cui ha bisogno l'ingenuo consumatore, poco propenso a farsi troppe domande davanti al proprio piatto, per superare il conflitto etico del cibarsi di animali e dei prodotti del loro sfruttamento, evitando in questo modo ogni rimorso e preoccupazione. È facile intuire che anche chi stia considerando il passaggio ad una dieta vegetariana, con tutti i dubbi che ragionevolmente ognuno si trova ad affrontare all'approccio di questa importante scelta, possa ritenere più semplice e invitante l'idea di non abbandonare le proprie abitudini alimentari scegliendo cibi animali “compassionevoli”, per di più se spinto dalle stesse associazioni animaliste.



    Le campagne protezioniste inoltre spesso dipingono gli allevatori che fanno uso di particolari metodologie cruente di allevamento o, in altri casi, gli operai filmati durante l'esercizio di deliberate violenze sugli animali allevati, come persone crudeli e spietate. Ma un'immagine di questo tipo allontana anche gli ultimi sensi di colpa rimasti nel consumatore, convinto in questo modo che le sofferenze e i maltrattamenti subiti dall'animale non dipendono dalle sue scelte alimentari, ma dagli allevatori che non si curano di adottare misure più confortevoli per gli animali o dagli operai che infieriscono deliberatamente sugli animali.



    Ma l'allevatore è un imprenditore industriale come qualsiasi altro, e come qualsiasi altro imprenditore industriale mira alla massimizzazione dei propri guadagni, anche in vista del procurare gravi sofferenze all'animale che, dopotutto, all'interno del processo produttivo, fino al banco del supermercato e da qui al piatto del consumatore, viene considerato nulla di più che, appunto, un oggetto, una merce, un prodotto. Accusare altri delle sofferenze dell'animale significa deresponsabilizzare e decolpevolizzare il consumatore, che si sente così sostenuto e legittimato nella sua “scelta” del mangiare animali, nel suo diritto a condannare altre vite a sofferenza e morte per avere il suo “giusto” piatto di carne.



    Le associazioni protezioniste presentano per di più una realtà fuorviante dei modelli che propongono. Oltre a ignorare o minimizzare le gravi ripercussioni che il consumo di cibi animali ha sulla salute umana, sull'ambiente e sugli animali selvatici, gli allevamenti biologici vengono presentati come una sorta di paradiso per animali, dove questi vengono seguiti e curati amorevolmente da persone compassionevoli, per poi trasformarsi magicamente, da un giorno all'altro, in bistecche, salsicce e prosciutti pronti all'uso. In questo modo vengono tenuti nascosti gli aspetti più raccapriccianti di queste “fattorie biologiche” e viene offerta una visione incompleta della reclusione, della deprivazione sociale e sessuale, delle mutilazioni, delle manipolazioni riproduttive e delle altre umiliazioni che l'animale dovrà subire in queste strutture.



    Viene taciuto il tragico momento del trasporto verso il centro di macellazione, durante il quale gli animali, terrorizzati e ammassati gli uni sugli altri, dovranno affrontare viaggi a volte anche molto lunghi, poiché non sempre il centro di macellazione si trova nei pressi dell'allevamento. E viene taciuto il momento della morte tra le pareti del macello, dove ogni animale destinato a divenire “carne” è condotto: una tragica realtà, omessa da queste associazioni, anche per mucche e galline “biologiche”, che quando non più produttive diventano rifiuti di cui sbarazzarsi. Così come viene omessa la drammatica sorte dei pulcini maschi uccisi alla nascita e dei vitellini scannati a sei mesi di vita, che rimane parte integrante del processo produttivo anche all'interno delle aziende biologiche.



    Il messaggio che giunge all'opinione pubblica da interventi di tipo protezionistico si riduce dunque nel ritenere accettabile lo sfruttamento e la morte di un animale se vengono minimizzate le condizioni di sofferenza: un messaggio che chiaramente si muove nella direzione opposta di chi invece cerca di mettere in luce la profonda ingiustizia connaturata nell'atto dello sfruttare e uccidere un animale per il solo soddisfacimento del proprio palato. Persuadere le persone che sia legittimo consumare prodotti provenienti da animali la cui sofferenza sia stata in qualche modo ridotta ci allontana molto dall'obiettivo finale: smettere di uccidere gli animali per cibarcene. E potrebbe anche convincere radicalmente l'opinione pubblica che, tutto sommato, non c'è niente di male nel massacrare miliardi di animali se comunque la loro sofferenza viene in qualche modo ridotta (ridotta, ma mai realmente eliminata).



    Spingere il consumatore all'acquisto di prodotti “compassionevoli” è una strategia il cui unico risultato non può che essere quello di perpetuare una visione dell'animale come oggetto al servizio dell'essere umano: i piccoli “traguardi” nel tempo, fatti di piccole modifiche negli allevamenti, non fanno altro che consolidare l'attuale situazione di sfruttamento e sottomissione dell'animale, trascinandosi dietro nel tempo un numero altissimo di vittime e allontanando sempre più una soluzione radicale e diretta al problema del consumo di cibi animali.



    Una concezione come quella protezionista, che approva, sostiene e rinforza l'idea dell'animale come oggetto, come proprietà privata dell'allevatore, risulta essere controproducente anche per gli stessi obiettivi che si pone, poichè ogni nuova riforma da proporre non potrà mai andare più in là di quanto gli interessi umani permettano. Come osserva Gary Francione, «è, tuttavia, fallace pensare che noi possiamo bilanciare gli interessi degli uomini, che sono protetti dai diritti fondamentali dell'uomo in generale e dal diritto di possedere una proprietà nello specifico, contro gli interessi degli animali che, come proprietà loro stessi, esistono solamente come mezzo per i fini dell'uomo» [2].



    Ciò può essere riscontrato facilmente anche nella situazione reale attuale: in un articolo del 2001 pubblicato su Livestock Production Science, in cui viene condotta un'analisi critica dell'allevamento biologico sotto diversi aspetti, l'autore afferma che le norme adottate “sono soprattutto basate su decisioni politiche e sono spesso un compromesso tra diversi interessi che non sono sempre direttamente legati al problema del benessere animale” [3]. È certamente evidente che il sistema legislativo mira a proteggere gli interessi dell'allevatore e non certo l'interesse dell'animale, pertanto ogni nuova riforma che si può sperare di ottenere deve essere approvata prima dall'allevatore, lo stesso allevatore “crudele” attaccato dalle stesse associazioni protezioniste.



    di AlanAdler - fonte www.animalstation.it/public/wordpress/?p=3540


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    La capacità di essere coerenti tra ciò che affermiamo a parole e il nostro comportamento, più di ogni altra qualità caratterizza la maturità di un individuo e ciò che maggiormente ci rende affidabili. La credibilità di un uomo si misura proprio dalla chiara e forte coerenza tra teoria e pratica dei suoi presupposti ideologici.



    In teoria tutti siamo saggi, avveduti, corretti ma nella pratica, come diceva un filosofo, "Se si andasse in fondo alle cose si avrebbe pietà perfino delle stelle". Che valore ha un uomo incoerente con i suoi ideali, che a parole afferma un principio e che nella pratica lo smentisce? Dimostra di non credere in ciò che afferma, di non avere la giusta volontà e il coraggio delle proprie idee, di essere debole, incerta, succube delle sue stesse esigenze fisiche, dei priori piaceri, delle proprie debolezze: è come (da biblica memoria) cedere la primogenitura per un piatto di lenticchie.



    Nulla come il piacere della gola mette in crisi la coerenza umana. Mangiare carne richiede l'uccisione di un animale, che significa infliggergli, oltre alla sofferenza della privazione della libertà e l'agonia della macellazione, l'ingiustizia suprema della privazione per sempre dell'unico suo bene, la vita.



    Ebbene, mi chiedo se i personaggi più influenti, più in vista nella scena sociale come il papa, il presidente della repubblica, il presidente del consiglio e le alte sfere della politica, della cultura, avrebbero il coraggio di essere coerenti con i principi di giustizia, di rispetto che proclamano uccidendo con le proprie mani l'animale che mangiano a tavola, senza sottrarsi all'orribile scena del sangue, alle urla di dolore e ai contorcimenti dell'animale durante la sua uccisione?



    Se il papa, il presidente della repubblica o chiunque altro ritiene giusto, lecito, normale mangiare la carne, per coerenza dovrebbero avere il coraggio di uccidere la preda senza delegare ad altri l'ingrato compito. Vogliamo essere più diretti? Chi può immaginarsi il papa con un coltellaccio in mano intento a tagliare la gola ad un agnello? Nessuno credo. Lo stesso dicasi per il capo dello Stato, per il presidente del Consiglio (del quale non sono certo), per Schifani, per Fini (per il quale avrei qualche dubbio vista la sua nota passione per la pesca e la caccia, ma da lì ad uccidere un vitello, un coniglio o un tacchino di insensibilità ne serve parecchia): semplicemente lo fanno fare ad altri e questo dimostra la loro incoerenza morale. A mio avviso se mangia la carne, una persona coerente, ha anche il coraggio di uccidere l'animale. Immaginiamo pure qualunque altra persona impegnata nel sociale, più o meno nota, che si riempie la bocca di parole come "amore, rispetto, diritti, libertà, giustizia" ecc. Questi non contraddicono forse se stessi quando a causa delle loro scelte gastronomiche causano indirettamente ad un essere indifeso e innocente azioni che sono agli antipodi di ciò che proclamano?



    Mangiare carne di animali significa legittimare, giustificare, accettare la loro uccisione. Se tali personaggi, ai quali la gente comune fa riferimento, hanno il coraggio di accoppare l'animale, dissanguarlo, farlo a pezzi e cucinarlo, allora a mio avviso, non sono persone adatte, per qualità morali e sensibilità umana, ad occupare posti preminenti. Se invece ritengono che sia un compito adatto ad altri, a chi ha l'insensibilità e la durezza di cuore a prestarsi a simili macabri, crudeli usanze, allora essi dimostrano di essere incoerenti tra ciò che considerano ingiusto, violento, malvagio e ciò che causano con le loro scelte.



    Ma la sofferenza animale, legata all'alimentazione umana è, per la stragrande maggioranza degli umani, compresi i personaggi più noti, un problema inesistente, un fatto senza importanza, che non merita considerazione, che non rientra tra le problematiche morali, esistenziali, sociali. Ma noi vogliamo mettere sotto il naso questa tremenda realtà alla quale non possono sottrarsi.



    Il prete, il ministro, il magistrato se sono convinti che l'animale soffre quando viene privato dalla libertà e della vita come si giustificano davanti alla loro coscienza? Se invece non credono che l'animale soffre provino a pestargli una zampa e vedranno se l'animale restituirà loro la cortesia con un morso poderoso e una sonora incornata.



    Il sangue che scorre nelle vene dell'animale è rosso come il loro sangue; le loro membra percepiscono il dolore come le loro membra; il suo cuore pulsa come il loro cuore. Non si nascondano dietro pietose e arcaici concetti, come "Così è sempre stato", "Gli animali sono fatti per questo" "Abbiamo bisogno di mangiare la carne..." perché noi li svergogneremo: smonteremo i loro concetti, ad uno ad uno, dimostrando loro quanto sono percettivamente chiusi, moralmente asfittici, spiritualmente paralitici, razionalmente autolesivi. Voi diteci chi sono coloro che invitano a mangiare la carne degli animali (Calabrese, Cannella, Del Toma...) noi vi diremo chi sono coloro che dicono di sottrarsi a questa pratica dannosa e crudele (Leonardo, Gandhi, Veronesi...)



    Non c'è rivoluzione più grande della nostra, né mai ce ne sarà un'altra uguale perché supera la sfera dell'umano e si estende, coerentemente, in tutta la sua benefica bellezza, compassione e amore a tutto ciò che vive. Noi vogliamo liberare gli uomini prigionieri di se stessi, e liberare i prigionieri dagli uomini. Loro sono la nostra tristezza, la nebbia del mondo, noi la luce, la speranza degli "ultimi"; loro sono il passato, noi il futuro. Loro appartengono ad una specie in via di estinzione, noi siamo la generazione della nuova umanità rinnovata nella mente, nella coscienza, nel corpo, nello spirito. Mentre loro sono innamorati del loro stomaco, noi siamo Universalisti, innamorati dell'armonia, del bene, della vita.



    Sul problema dell'influenza suina di questi giorni, il nostro Silvio Berlusconi (sempre pronto a dare il buon esempio) per spingere la gente a superare la paura dell'influenza suina e a tornare ad ingozzarsi di carne di porco (animale per il 95% del codice genetico simile a quello umano) prima ha assaggiato della mortadella e poi ha distribuito carne di maiale all'assemblea della Coldiretti a Roma. Altrettanto si è sentito in dovere di fare Roberto Formigoni nel palazzo della Regione a Bologna che per l'occasione ha addentato anche lui mortadelle e cotolette di puro suino per tranquillizzare la popolazione e dare una mano ad allevatori e massacratori di suini. All'infelice cavernicola trovata si associa il solito geneticamente inopportuno Luigi Santambrogio giornalista di "Libero" (ci auguriamo vivamente cambi mestiere) il quale si augura che Lamberto Sposini, come al tempo della aviaria, consumi in diretta tv una bella mortadella di suino per aiutare la popolazione a superare l'ingiustificata paura di consumare carne di maiale.



    Caro eminentissimo Joseph Ratzinger, illustrissimo Giorgio Napoletano, caro Silvio Berlusconi, e cari voi tutti di primo, secondo e terzo piano, uomini e donne che non nomino, se ritenete giusto, buono, salutare mangiare carne di suino (come di qualunque altro animale che arriva sulla vostra tavola) siate coerenti con voi stessi: date pubblica dimostrazione di come si uccide un animale, fateci vedere il coraggio che si addice ai condottieri, mostrateci come si affonda un coltellaccio nelle viscere e nel cuore di una animale immobilizzato dalle catene e dal terrore, allora soltanto dimostrerete di essere coerenti tra ciò che dite a parole e ciò che fate in pratica. E mentre date prova di così ardimentosa e ammirevole coerenza guardate negli occhi la vittima e ringraziate il vostro dio per essere così buono e magnanimo verso gli umani e così insensibile e crudele verso gli animali.



    di Franco Libero Manco

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    Purtroppo non siete ancora pronti! Non siete del tutto svegli




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    Alcuni che dimostrano eccessiva sensibilità verso il predatore, non verso la preda, asseriscono che ognuno deve essere libero di decidere senza essere colpevolizzato. Nella sostanza è il senso di colpa ciò che maggiormente dà fastidio a coloro che non sopportano di essere accusati e soprattutto di mettere in pericolo le proprie abitudini gastronomiche.



    Succede che alcuni, pur sentendosi difensori degli animali, mentre sono pronti a criminalizzare un uomo che uccide un altro uomo, non sono abbastanza animalisti da mettere alla stessa stregua un animale e rientrano nei meccanismi della cultura antropocentrica secondo cui l'uomo è un "essere umano", mentre l'animale resta un animale, cioè un essere inferiore, e se l'uomo decide di uccidere o schiavizzare un animale deve essere libero di farlo, senza che qualcuno si prenda la briga e l'ardire di criminalizzare le sue scelte.



    Noi certo non vogliamo scatenare guerre nei confronti di coloro che ancora sono lontani dall'etica e dalla giustizia universale, ma nello stesso tempo abbiamo il dovere morale, civile e spirituale di denunciare, sensibilizzare e scuotere la mentalità e la coscienza di coloro che restano ancorati ad una visione arcaica della civiltà umana.



    Il nostro intento non è l'offesa ma l'invito alla responsabilità, alla consapevolezza di quanto sia ingiusto, crudele, dannoso, indegno per un essere civile ed evoluto, moralmente degradante, uccidere e divorare il corpo di un animale. Noi vogliamo risvegliare la coscienza umana, far emergere la sua parte migliore; vogliamo che ognuno abbia il coraggio di guardare gli effetti della sua indifferenza e del suo insensato egoismo.



    Noi amiamo la Vita, di un amore struggente ed inestinguibile, percepiamo il dolore e il dramma di ogni vittima innocente e ognuno di noi, veri difensori degli animali, muore mille volte al giorno al pensiero della lama che inesorabile spegne per sempre l'anelante desiderio di esistere di un vitello, un agnello, un coniglio...; per questo non è nella nostra natura essere tiepidi, assolvere coloro che considerano gli animali oggetti ad uso e consumo dell'uomo: sarebbe come chiedere agli antischiavisti di non colpevolizzare coloro che fustigavano e uccidevano gli schiavi o alle vittime dei campi di sterminio di non colpevolizzare i loro carnefici.



    Noi siamo la voce di coloro che non possono difendersi: chiederci di non gridare il nostro disappunto è come chiedere ad una madre di non urlare mentre suo figlio viene colpito. Noi non differenziamo gioia e dolore, vita e morte, crimini e delitti; non adottiamo due pesi e due misure (questa è la nostra forza e la nostra grandezza morale): per noi un'azione criminosa resta tale chiunque sia la vittima. Non giudichiamo, sarà la Vita a farlo per noi, ma la nostra coscienza ci impone di affermare che uccidere un animale è fratricidio.

    tratto da un testo di Franco Libero Manco


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    Il maiale che cantava alla luna (di Jeffrey Moussaieff Masson)

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    Il libro di Jeffrey Moussaieff Masson, "Il maiale che cantava alla luna - La vita emotiva degli animali da fattoria" (Ed. Il Saggiatore), e' un libro toccante, ma rigorosamente scientifico e logico: d'altra parte e' proprio sulla logica, e sul senso di giustizia che ciascuno di noi dovrebbe avere dentro, che si fonda la considerazione che tutti gli animali sono uguali, senzienti, e che non c'e' alcuna giustificazione a tenerli prigionieri e ucciderli per i piaceri del nostro palato.



    Il libro esamina approfonditamente i comportamenti, la "storia", le abitudini delle varie specie animali che vengono normalmente allevate al fine di essere macellate (o di produrre latte e uova, e poi essere comunque macellate). E fa capire, ai tanti che ancora non l'hanno capito, come ciascuno di questi animali sia un essere sensibile, intelligente, la cui specie ha maturato nel corso dell'evoluzione comportamenti e modi di gestire la propria "societa'".

    La posizione del libro, come l'autore stesso sostiene, e' "radicale", nel senso che egli non ammette giustificazioni di sorta all'uccisione degli animali, giustificazioni che tanti cercano, pronti ad arrampicarsi sugli specchi e a sostenere tesi assolutamente illogiche e ben poco oneste, pur di potersi mangiare un panino al prosciutto "con la coscienza a posto".



    L'autore afferma infatti nell'introduzione:

    E' sbagliato che un animale da fattoria viva bene, che la sua esistenza si concluda con una morte indolore e che venga poi usato per nutrire degli esseri umani? Molte persone risponderebbero che non lo e'. Io invece ritengo che valga la pena di chiedersi, per prima cosa, con che criterio si stabilisce che cosa significhi vivere bene per un animale da fattoria. Naturalmente abbiamo tutti una certa idea di che cosa potrebbe significare. Tuttavia, a parte i difensori dell'industria, pochi sarebbero pronti a sostenere che una comune mucca da latte conduca una vita felice. Pensiamo a una mucca a cui sono sotratti i vitelli alla nascita, e che poi viene munta intensivamente per alcuni anni. E' mantenuta costantemente gravida per garantire una produzione continua di latte, ma non le viene permesso di tenere il suo vitellino. Alla fine, invecchiata prima del tempo, quando la sua utilita' e' in declino, viene uccisa, ben prima di aver raggiunto il termine naturale della sua esistenza. Si puo' dire che questa mucca ha condotto una vita felice?".



    L'esempio della mucca e' particolarmente toccante, perche' va a colpire un aspetto primario del mondo emotivo degli animali: l'amore, l'attaccamento di un animale, di qualsiasi specie sia, per il suo cucciolo.



    Aggiunge infatti l'autore:

    Se credete che una mucca non ripensi mai al proprio vitello, chiedete a qualsiasi allevatore per quanto tempo un vitellino appena nato e sua madre si chiamano a vicenda. Un allevatore mi ha detto che finche' possono vedersi gridano fino a perdere la voce, senza sosta.

    Altra riflessione importante e' quella sull'animale considerato come "merce" e sul fatto che far "vivere bene" gli animali sia solo una scusa che accampa chi antepone le sue papille gustative all'etica e al senso di giustizia.



    Egli scrive infatti:

    Sono convinto che sia sbagliato allevare animali per mangiarli. Credo che non interessi a nessuno far "vivere bene" un animale se l'obiettivo finale e' farlo finire in tavola come pietanza. E' troppo facile barare, e' troppo invitante fingere di ignorare che cosa determini il benessere di ciascun animale.

    Altre riflessioni, che troviamo sempre nell'introduzione, riguardano il rispetto verso la sofferenza di esseri senzienti che quasi tutti si ostinano a non riconoscere che sono proprio "come noi" sotto questo aspetto, e anzi, non riconoscono nemmeno che siano come il cane o il gatto che hanno in casa. A tanto puo' arrivare l'illogicita' e la cecita' di chi non vuole guardare la realta' dei fatti ma vuole solo continuare imperterrito con le proprie abitudini e fare "come fanno tutti".



    Scrive l'autore:

    Ho constatato che, a tavola, quando dico che sto scrivendo un libro sulla vita emotiva degli animali d'allevamento, i miei commensali mi guardano con un sorriso strano, come se avessi detto qualcosa di ridicolo. [...] La questione non e' "che cosa", ma "chi" state mangiando. Una sofferenza su cosi' vasta scala puo' essere forse considerata un argomento ridicolo? [...] Perche' in genere si considera ridicolo sottolineare che ognuno di questi animali uccisi ha avuto una madre, presumibilmente dei fratelli e, di certo, alcuni sono stati compianti da un genitore, oppure un amico che ne ha sentito la mancanza? Anche se erano stati allevati per essere uccisi, questo non ha modificato la loro capacita' emotiva. Avevano ricordi, soffrivano e provavano dolore. Non ha alcun senso fare una graduatoria comparata della sofferenza dando molto peso all'"essere umano" e poco agli animali. Preoccuparsi di un tipo di sofferenza non significa che non si debba avere alcun interesse per le altre, o che una sia piu' significativa e terribile di un'altra.


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    Nella foto Jeffrey Masson
    Un altro punto interessante e' quello in cui si fa l'immancabile e dovuto confronto della prigionia degli animali con la schiavitu' umana. Interessante il confronto con le parole di Aristotele, che considerava la schiavitu' umana una cosa normale e opportuna, e con lui molti suoi contemporanei, cosi' come oggi molti - quasi tutti - considerano normale e opportuna la schiavitu' degli animali.


    Fa notare l'autore:

    L'analogia tra schiavitu' e addomesticamento animale non e' una novita'. Risale come buona parte del pensiero occidentale, ad Aristotele, che nella "Politica" scrisse:
    "[...] gli animali domestici sono per natura migliori dei selvatici e a questi tutti e' giovevole essere soggetti all'uomo, perche' in tal modo hanno la loro sicurezza. [...] ed e' necessario che tra tutti gli uomini sia proprio in questo modo [...] costoro sono per natura schiavi, e il meglio per essi e' star soggetti a questa forma di autorita', proprio come nei casi citati."

    L'autore risponde poi anche alla domanda ricorrente "ma se noi non li allevassimo per mangiarli, questi animali non esisterebbero" che sembra, per motivi misteriosi, essere per molti una giustificazione al massacro:



    E' opinione comune che gli animali da fattoria non esisterebbero neppure, se noi non li allevassimo: quindi per loro e' meglio condurre una vita da reclusi piuttosto che non vivere affatto. Spesso si afferma che animali come mucche, maiali, pecore, capre, polli, anatre e oche traggono vantaggio dal semplice fatto che gli e' permesso di esistere. Roger Scruton, filosofo britannico e appassionato di caccia alla volpe, fa, per esempio, una curiosa constatazione: "Gli animali giovani vengono macellati senza alcun rimorso fin dalle origini della storia", come se la schiavitu', il razzismo e i maltrattamenti sulle donne non risalissero anch'essi alle origini della storia. Da quando il protrarsi nel tempo di una pratica le conferisce dignita' morale?



    "Gran parte degli animali che pascolano nei nostri campi" prosegue Scruton "sono li' perche' noi li mangiamo". Potrebbero essere li' comunque, a pascolare nei campi di un rifugio, se non li mangiassimo; soltanto, sarebbero molti meno. Da un punto di vista filosofico, non puo' essere valido affermare che qualcuno o qualcosa deve la propria esistenza alla nostra brama di sfruttamento, come se questo ci conferisse uno speciale diritto morale.



    Infine, sulla questione della nostra grande generosita' umana che consente di far nascere cosi' tanti animali che altrimenti non nascerebbero affatto, l'autore scrive: Quando pensiamo agli animali da fattoria, e' importante ricordare che lo scopo della loro esistenza e' quasi interamente determinato dalla loro morte o dallo sfruttamento. Esistono per morire o per essere usati. Li alleviamo per ucciderli o per trarne vantaggio, non per dargli la possibilita' di condurre la vita felice cui sarebbero destinati. Nessuna chiacchiera filosofica puo' fraci superare questo scoglio inamovibile: possiamo chiamarla slealta' umana?



    Per concludere: un libro assolutamente consigliato, perche' l'autore e' davvero "dalla nostra parte" - cioe' da quella degli animali - senza se e senza ma. Senza dubbi. Un libro consigliato a chi e' ancora convinto che gli animali non sono tutti uguali (o che alcuni "sono piu' uguali di altri"...), per mettersi alla prova - se siete sicuri della vostra posizione, se siete convinti che le cose stiano come dite voi, leggetelo, mettetevi alla prova! E un libro consigliato anche a tutti noi che sappiamo che gli animali sono tutti uguali, perche' ricco di informazioni, dati e fonti utilissime nel nostro attivismo di tutti i giorni.



    fonte www.peacelink.it/animali/a/20088.html


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    Tutta la verità passa attraverso tre stadi: primo, è ridicolizzata; secondo, è violentemente opposta e terzo, è accettata perché evidente in se per se.
    -- Arthur Schopenhauer





     
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  10. renzo
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    Scelta salutistica

    I pericoli per la salute umana che derivano dal consumo di alimenti di origine animale (carne, pesce, uova, latte e latticini) sono molti, non tutti evidenti e non tutti noti alla maggior parte delle persone, anche se negli ultimi tempi si è iniziato a parlarne.

    Varie epidemie sono scoppiate, in tempi remoti e recenti, tra gli animali d'allevamento, portando con sé il serio pericolo (in alcuni casi diventato realtà) di contagio animale-uomo.

    Gli animali negli allevamenti intensivi sono imbottiti di antibiotici e farmaci di vario genere, e i pesci pescati nei mari sono un concentrato delle sostanze tossiche di cui le acque sono oggi "ricche".

    Anche tralasciando tutti questi pericoli, rimane comunque il fatto che una dieta a base di alimenti di origine animale è inadatta all'organismo umano, e porta a tutte quelle malattie degenerative che costituiscono le prime cause di morte nei paesi ricchi.

    Visita il sito www.InfoLatte.it, per conoscere davvero il latte e i latticini e i loro effetti negativi su salute, animali, ambiente.




    <b>http://www.saicosamangi.info/

    Infezioni trasmissibili dagli animali all'uomo

    Molte persone sono estremamente preoccupate dalle possibili infezioni da animali a uomo, e sostengono che "gli animali portano malattie", sempre riferendosi ad animali vivi, che danno loro fastidio, come i piccioni, o anche cani e gatti. Questa credenza è del tutto infondata, è solo un preconcetto, perché è praticamente impossibile contrarre malattie dal contatto con questi animali, quando si rispettano le normali norme igieniche. Sono molto rare (e mai gravi, tranne nel caso della rabbia, ormai praticamente assente in Italia) le malattie che si possono trasmettere da animali vivi a uomini, è molto più probabile contrarre le stesse infezioni per altre vie (da oggetti, o, più facilmente, da altri esseri umani).

    Le stesse persone non si preoccupano invece di una forma di contagio molto più pericolosa e probabile, quella che può aver luogo cibandosi di animali. In questo caso non è più vero, secondo loro, che "gli animali portano malattie": toccarli, o vivere nel loro stesso ambiente, è pericoloso, mangiarli no!

    In realtà, la quasi totalità delle infezioni che si contraggono dagli animali sono proprio quelle derivanti dal consumo di cibi di origine animale.
    Si va dalla comune salmonella, che nella stragrande maggioranza dei casi si contrae in seguito al consumo di uova infette, a malattie molto più pericolose, anche ad esito letale, come il morbo di Creutzfeld-Jacob, con ogni probabilità la variante umana della BSE, l'encefalopatia spongiforme bovina, comunemente detta "morbo della mucca pazza".
    In quest'ultimo caso, un'infezione che colpisce gli animali salta la barriera di specie e colpisce anche gli esseri umani.

    Un altro esempio di questo genere è costituito dall'influenza aviaria, che periodicamente colpisce polli e tacchini negli allevamenti intensivi. Questi vengono abbattuti in massa, per non rischiare un contagio all'uomo a causa di una possibile mutazione del virus in grado di saltare la barriera di specie e colpire anche gli esseri umani. Infatti questa malattia è molto vicina al ceppo virale H5NI che qualche anno fa a Hong Kong uccise alcune persone.

    Anche la tubercolosi bovina è trasmissibile all'uomo (anche se nell'uomo assume una forma molto blanda), e da tempo si sospetta che il virus della leucemia bovina, il Blv, che infetta il 20% delle vacche negli USA, possa avere dei legami con alcune forme di leucemia umana.

    Le ispezioni compiute nell'ambito dei controlli sulla BSE hanno portato alla luce un fiorente mercato clandestino: animali importati illegalmente da paesi in cui i controlli veterinari sono meno stringenti, bovini macellati senza autorizzazione, allevamenti di animali per carni "alternative" che usano mangimi proibiti, anche contenenti diossina

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    Farmaci e sostanze tossiche presenti negli animali d'allevamento

    Negli animali si concentrano i pesticidi usati per la coltivazione dei vegetali che formano il loro mangime: si è stimato che negli USA l'80% dei pesticidi e fertilizzanti viene utilizzato per la coltivazione dei vegetali (cereali, semi oleosi e proteaginose) destinati all'alimentazione degli animali d'allevamento.

    Se l'uomo consumasse direttamente gli stessi vegetali, coltivati nello stesso modo, ne mangerebbe molti meno: per incamerare la stessa quantità di proteine, da alimenti vegetali e dalla carne degli animali che consumano cibi vegetali, il rapporto è di circa 1 a 16 (nel caso di carne bovina). Infatti, per un grammo di proteine che l'animale "produce", esso deve mangiare 16 grammi di proteine vegetali (perché ovviamente, la maggior parte delle sostanze nutritive viene usata nei processi metabolici dell'animale).

    Questo implica che i pesticidi e i fertilizzanti si ritrovino "concentrati" nella carne degli animali, e quindi chi si ciba di carne è costretto a ingerirne molti di più rispetto a quanto accadrebbe se consumasse direttamente i vegetali.

    Quando i mangimi contengono panelli di olii esausti, o sostanze ancora più tossiche, il rischio è maggiore, come è accaduto, ad esempio, nella vicenda dei polli alla diossina, in cui questa sostanza era contenuta nei mangimi degli animali.

    Inoltre, negli allevamenti intensivi gli animali vengono imbottiti di farmaci, per cercare di scongiurare le malattie causate dallo stress da sovraffollamento e dalla debolezza congenita di questi animali, frutto di manipolazioni genetiche che danno luogo ad animali "iperproduttivi", ma che si ammalano molto facilmente.

    Ad esempio, negli allevamenti di maiali, quando gli animali sono mantenuti sul grigliato, l'aria dei capannoni è caratterizzata da un eccesso di ammoniaca ed altri gas, che rappresenta un fattore irritante per le mucose delle vie respiratorie, che determina uno stato di continua irritazione e a volte porta a forme polmonari o bronchiali più gravi, per cui la somministrazione di farmaci deve essere continua.

    In Europa vengono consumate 5000 tonnellate di antibiotici LEGALI, di cui 1500 per favorire la crescita artificiale di polli, suini, tacchini e vitelli. A queste vanno aggiunte tutte le sostanza illegali largamente impiegate, che molto difficilmente vengono scoperte nei controlli veterinari (che sono comunque pochissimi, viene controllato un animale ogni 7000), perché sono sempre diverse e se non si conosce a priori la sostanza cercata non si possono eseguire test per scoprirne la presenza.

    L'abuso di antibiotici è pericoloso perché è all'origine del fenomeno della resistenza dei batteri a un numero sempre maggiore di antibiotici, cosa che preoccupa molto gli scienziati di tutto il mondo. Viene infatti in questo modo favorito lo sviluppo di batteri, che, "allenati" da questa continua esposizione agli antibiotici, si adattano, diventando resistenti a questi farmaci, che su di essi non hanno più effetto.

    L'altro pericolo legato all'ingestione di farmaci dalle carni degli animali è quello di cancerogenicità: in Gran Bretagna un pollo su cinque e un uovo su dieci contengono tracce di farmaci che possono far aumentare nell'uomo il rischio di cancro.

    La sindrome di "mucca pazza" ha scatenato nei consumatori la corsa ad altri tipi di carne, nella speranza di una maggior "sicurezza", mentre invece si verifica il contrario: se contrarre il morbo di "mucca pazza" è comunque ad oggi piuttosto improbabile, subire dei danni alla salute per il consumo di carni ancora più "a rischio", come quelle di vitelli, maiali, pollame conigli e pesci, è praticamente certo, dato che per questi animali le condizioni di allevamento sono ancora peggiori e i farmaci usati, di conseguenza, sono molti di più.

    Gli estrogeni sempre presenti in ogni tipo di carne provocano anche diverse disfunzioni a livello ormonale negli esseri umani. Ad esempio, nel Centro di ginecologia dell'infanzia e dell'adolescenza dell'Università di Torino è stato verificato un aumento dei casi di telarca (sviluppo delle ghiandole mammarie prima della pubertà) nelle bambine, e come terapia è stata consigliata l'esclusione dalla dieta di ogni genere di carne.

    E' del luglio 2002 la notizia che gli allevatori olandesi hanno voluto distruggere 50 mila maiali perché i test per controllare se i mangimi sono stati contaminati da un ormone vietato sarebbero costati troppo. Molti allevamenti olandesi hanno ricevuto partite di carne contaminata con medrossi-progesterone-acetato (Mpa), un ormone che mette a rischio la fertilità dell'uomo e che in Europa viene usato solo a scopi terapeutici. Questa volta le sostanze illegali sono state scoperte (e chi ne fa le spese sono sempre gli animali), quante altre volte invece non si scoprono (e ne fanno quindi le spese gli animali, e i consumatori)?

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    Sostanze tossiche nei pesci

    Molti pensano che "il pesce" sia un alimento più salutare della carne, ma non è così.

    I pesci allevati nelle vasche d'acquacoltura (e sono sempre di più) soffrono degli stessi problemi degli altri animali degli allevamenti intensivi, e anche nei loro mangimi si trova ogni genere di sostanza chimica.

    Per i pesci che prima di essere pescati vivono liberi nei mari si pone invece il problema dell'inquinamento delle acque: questi animali sono veri e propri concentrati di sostenze tossiche, soprattutto di diossina. L'80% della diossina assorbita dai finlandesi, ad esempio, deriva dal pesce di cui si nutrono abbondantemente.

    I risultati di uno studio dell'aprile 2001 commissionato dal Parlamento Europeo dimostrano che il mar Baltico è particolarmente inquinato, in quanto in esso si riversano le scorie di varie industrie. Sul mar Mediterraneo non si hanno dati specifici, anche se si sa, per esempio, che la laguna di Venezia è particolarmente ricca di metalli pesanti e diossina.

    Il 60% del pesce consumato in Italia proviene dall'estero, soprattutto da paesi extraeuropei, in cui non viene rispettata alcuna regola e non vi è alcun controllo sul pescato.

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    Patologie causate dai cibi di origine animale

    Anche tralasciando tutti i pericoli elencati nelle sezioni precedenti, e supponendo per assurdo che gli animali non possano trasmetterci alcuna infezione e non siano infarciti di farmaci, anabolizzanti e sostanze tossiche, rimane comunque il fatto che una dieta a base di alimenti di origine animale è inadatta all'organismo umano.

    Il complesso degli studi nutrizionali dimostra che per prevenire e curare le più comuni e gravi patologie degenerative tipiche dei paesi industrializzati occorre cambiare dieta, limitando di molto, o escludendo del tutto, i prodotti di origine animale.

    Secondo un rapporto del Surgeon General degli Stati Uniti, più di 1,5 dei 2,1 milioni di decessi riscontrati nel 1987 possono essere messi in relazione a fattori alimentari, soprattutto al consumo di grassi saturi e colesterolo.


    Non a caso, l'associazione dei nutrizionisti americani (ADA) promuove un'alimentazione che esclude i prodotti animali, oggi largamente consumati, per uomini, donne, donne incinte, donne che allattano, bambini e sportivi. Negli ultimi anni il mito delle proteine animali è stato abbandonato anche dai nutrizionisti che in passato lo sostenevano.

    E' stato ampiamente dimostrato che molti vegetali possiedono il medesimo contenuto proteico delle carni e che possono soddisfare il nostro fabbisogno di aminoacidi essenziali e non essenziali: legumi, cereali integrali, verdure, semi e noci contengono tutti gli aminoacidi; non è neppure necessario combinare questi alimenti in un unico pasto, come anni fa consigliava erroneamente la teoria della complementarità delle proteine. Le proteine di soia, inoltre, equivalgono nutrizionalmente a quelle animali e, se lo si desidera, possono costituire quasi l'unica fonte di assunzione proteica.

    Le patologie cardiovascolari, neoplastiche e l'obesità sono in diretta relazione con l'eccessivo consumo di grassi, in particolare di grassi saturi, che fanno depositare il colesterolo nei vasi arteriosi, causando danni irreparabili all'organismo umano. I prodotti di origine animale sono ricchi di questi grassi, mentre i vegetali ne sono poverissimi. Un cospicuo numero di studi epidemiologici dimostra che un'alimentazione priva di alimenti di origine animale è la più confacente alle esigenze dell'organismo umano e numerose pubblicazioni hanno accertato come - grazie all'abbondante introduzione di vitamine, minerali, fibre, carboidrati complessi, oligoelementi, biostimoline e molte altre sostanze sinergiche - nelle persone che si alimentano in questo modo sia considerevolmente minore l'incidenza di gravi patologie quali tumori, ipertensione, arteriosclerosi, infarto, ictus, diabete, obesità, osteoporosi, calcoli e altre patologie che costituiscono le principali cause di malattia e mortalità nei paesi industrializzati.

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    I controlli sanitari nei macelli degli Stati Uniti

    Fonte: "Ecocidio", J. Rifkin; Ed. Mondadori, 2001

    Negli Stati Uniti, l'agenzia federale che si occupa dei controlli sanitari nei macelli è lo USDA. Negli ultimi anni, è stato messo a punto un nuovo sistema di controllo, chiamato Streamlined Inspection System (SIS), che in pratica esonera gli agenti federali dello USDA dai controlli sulle carni di manzo destinate al commercio interstatale e all'esportazione. L'obiettivo è quello di permettere alle industrie un aumento di produttività del 40%.

    In questo progetto pilota, già attivo in diverse aziende degli USA, gli agenti federali non controllano più tutte le carcasse che passano sulla linea di produzione, come avveniva nel passato, ma il controllo è affidato ai dipendenti stessi dell'industria, e viene effettuato a campione. La frequenza di campionamento è molto bassa, può arrivare anche a sole 3 carcasse su 1000. E' chiaro come questo sistema non possa essere efficace. L'ispettore federale Stephen Cockerman, in un suo rapporto allo USDA ha affermato che: "Il settore della macellazione ha a che fare con animali ognuno diverso dall'altro, ognuno potenzialmente affetto da una malattia. Non stiamo parlando di componenti meccaniche prodotte in serie da sottoporre a controlli di conformità".

    Gli ispettori federali non hanno più l'autorità di effettuare controlli sulla sterilità delle attrezzature, sulle condizioni igieniche dei locali e delle celle frigorifere, né di far eliminare le carcasse in cui abbiano individuato i segni di una malattia. E' comunque per loro difficile anche solo notare questi segni, dato che non possono più eseguire controlli presso la linea di produzione.

    Inoltre, sono stati abbassati gli standard, per cui un animale che prima veniva eliminato dalla linea di produzione in quanto il numero e la gravità dei "difetti" che presentava non erano conformi allo standard, ora può essere utilizzato. Michael Beacom, ispettore federale delle carni, afferma: "L'obiettivo del SIS è rendere l'azienda e i suoi dipendenti responsabili dell'integrità della carne e dei suoi derivati. Ma i dipendenti prendono ordini e sono pagati a fine mese dall'azienda, il cui obiettivo è realizzare il massimo profitto. Perché lo USDA vuole scaricare la responsabilità dei controlli sulla carne ... sui proprietari dei macelli, la cui preoccupazione primaria è il profitto?"

    Oltretutto, gli operai preposti ai controlli sono assolutamente privi di competenza, si tratta di immigrati che sanno appena esprimersi in inglese, e non rimangono a lavorare nell'azienda abbastanza da imparare anche solo le procedure più semplici. Un ispettore dello USDA afferma che "la gente viene assunta per la strada e dichiarata idonea appena riesce a tenere in mano un coltello senza farsi male".

    Le imprese sono state più volte scoperte a falsificare rapporti e registri, e condannate per occultamento di dati e deliberata immissione sul mercato di carni infette. Spesso gli animali infetti vengono mescolati a quelli sani per ridurre la probabilità che vengano scoperti, in altri casi una carcassa contaminata viene semplicemente lavata, ma questo aggiunge solo acqua e copre lo sporco, che continua a rimanere, annidato nel grasso ancora più profondamente.

    Carcasse che prima sarebbero state eliminate dalla linea di produzione, con il nuovo metodo vengono approvate e finiscono sul mercato per l'alimentazione umana. Gli ispettori raccontano di casi di animali affetti da ritenzione urinaria con "l'equivalente di un sacco di urina nella cavità addominale, che, quando la bestia viene macellata, si sparge ovunque".

    E' stata anche autorizzata la macellazione di "bestie piene di cibo rigurgitato, poi fuoriuscito durante lo squartamento". Rimangono così sulla linea di produzione residui fecali, peli, larve, aderenze, fasciola epatica e residui alimentari. Non è quindi strano che questo aumento del livello di contaminazione da feci abbia provocato un aumento nei casi registrati di salmonella, che negli ultimi sedici anni, negli Stati Uniti, è raddoppiata.

    In definitiva, se già i rischi sanitari legati al consumo di carne erano alti in passato, oggi e nel futuro la situazione sta peggiorando, preoccupando i consumatori e facendo la gioia dell'industria.

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    Malattie trasmesse dal cibo

    (Fonte: PCRM, Foodborne Illness)

    Le malattie (infettive, NdT) trasmesse dal cibo sono un problema serio ed in aumento. La letteratura sull'incidenza annuale di queste malattie riporta casistiche che variano dai 6.5 agli 81 milioni di persone colpite. I costi per i pazienti, per i produttori di alimenti e per l'economia nazionale sono stimati essere tra i 7.7 e gli 8.4 miliardi di dollari per anno [1]. La stragrande maggioranza dei casi, comunque, non viene segnalata.

    Dal 1973 al 1987, sono state riportate al Center for Disease Control and Prevention (CDC) 7.458 epidemie, comprendenti 237.545 casi di infezioni di origine alimentare. I batteri patogeni sono risultati responsabili del 66% delle epidemie, dell'87% dei casi, e del 90% degli esiti fatali. Circa il 50% delle epidemie sono state causate dalla Salmonella, per lo più proveniente da manzo e tacchino [1].

    Durante questo periodo di tempo sono comparsi tre microrganismi patogeni veicolati dagli alimenti in precedenza sconosciuti, il Campylobacter jejuni (associato al pollame), l'Escherichia coli 0157:H7 (manzo macinato), e la Listeria monocytogenes (prodotti caseari). Altri patogeni meno comuni includono Bacillus cereus, Clostridium botulinum, Clostridium perfringens (trovato nel manzo), Shigella, e Staphylococcus aureus (nel maiale) [1]. Nel 1998, secondo le stime del CDC si sarebbero verificati 8 milioni di casi di malattie trasmesse dal cibo.
    Epidemie da Escherichia coli 0157:H7

    All'inizio degli anni '80, l'Escherichía coli 0157:H7 ha iniziato a causare gravi epidemie di infezioni alimentari. Prima di allora, si pensava che l'E. coli fosse un innocuo ospite del tubo digerente di uomini ed animali. Oggi, il CDC calcola che ogni anno si verifichino in U.S.A. 20.000 casi di infezione da E. coli 0157:H7, legate al consumo di manzo contaminato, latte non bollito ed acqua. [2]. Le infezioni sono caratterizzate da crampi addominali e diarrea sanguinolenta, e possono condurre alla sindrome emolitica uremica (HUS), che può progredire sino all'insufficienza renale e talora alla cecità [3]. La percentuale di morte da HUS varia tra il 5 ed il 10%, ma può essere molto più elevata negli anziani e nei bambini [4].

    L'infezione può anche portare a danni neurologici con conseguenti crisi epilettiche, coma e trombosi cerebrale, e può danneggiare in modo così severo la mucosa del colon da poterne rendere necessaria l'asportazione chirurgica al fine di salvare la vita al paziente [2]. L'E. coli 0157:H7 è una delle principali cause di HUS negli U.S.A. [5], e l'HUS è la più comune causa di insufficienza renale acuta nei bambini [3].

    Il trend complessivo delle infezioni da E. coli è difficile da determinare, a causa della sottostima da parte dei medici, ma si ritiene essere in crescita. L'incidenza di HUS, che può venire usata come marker per le infezioni da E. coli, è in sicuro aumento negli U.S.A. [6]. Nel gennaio 1993, tra i residenti dello stato di Washington ci furono più di 230 casi di infezioni da E. coli confermate da coltura, di cui quattro mortali. Le infezioni vennero fatte risalire all'assunzione di hamburger poco cotti [2].

    Uno studio del 1987 ha testato la presenza di E. coli 0157:H7 nella carne venduta al supermercato. Il batterio è stato isolato nei campioni analizzati nella percentuale del 3.7% nel manzo, 1.5% nel maiale, 1.5% in pollo e tacchino, e 2.0% nell'agnello.

    I ricercatori conclusero che "il microrganismo non è un contaminante raro per carne e pollame freschi" [7]. Dal 1987 al 1990, la Food Safety and Inspection Service (FSIS) ha isolato l'E. coli 0157:H7 in un rapporto di 2/1.668 campioni di manzo tritato e punta di petto, e di 8/6.950 rognoni di vitello. Questi prodotti erano in vendita al pubblico.

    L'E. coli appare essere un ospite comune del tratto digerente dei bovini. Studi a partire dal 1993 hanno isolato questo microrganismo in 12/50 mandrie testate. Tuttavia, non sono disponibili sistemi di marcatura che consentano di risalire a ritroso sino all'origine delle carni infette, ed i test di routine per riconoscere la presenza del batterio non vengono eseguiti nei macelli o negli impianti di lavorazione della carne.
    Epidemie da Salmonella

    La proporzione di epidemie riconducibili alla Salmonella è aumentata del 130% tra i due bienni di studio 1973-75 e 1985-87 [1]. Attualmente vengono segnalati al CDC circa 45.000 casi l'anno di isolamento di Salmonella (da colture prelevate da pazienti malati). Questi sono associati a circa 20.000 ospedalizzazioni, 500 decessi, e spese mediche per almeno 50 milioni di dollari. Ma Il CDC calcola che solo dall'1 al 5% delle infezioni da Salmonella, che rappresentano da uno a cinque milioni di casi, siano segnalate [3].

    Le operazioni di macellazione possono diffondere la contaminazione da una carcassa all'altra. Dopo la spiumatura, le carcasse dei polli vengono messe in contenitori refrigerati, che possono diventare molto sporchi al termine della giornata. Un articolo pubblicato nel 1990 su The Atlantic Monthly sottolinea che le scorie accumulate sul fondo del contenitore possono raggiungere lo spessore di 30 cm, e riferisce le parole di un ispettore che si lamenta che "All'inizio della giornata l'acqua del contenitore è pulita e limpida, ma con lo scorrere della giornata diventa sporca, color marrone e sanguinolenta" [8].

    Dal 1982 al 1984, uno Studio ha riscontrato un'incidenza del 35.2% di Salmonella nelle carcasse dei polli [9]. Dal 1990 al 1992, la FSIS ha isolato la salmonella nel 25% del pollame da arrosto analizzato. La FSIS ha pure esaminato dei campioni da 25 grammi di manzo crudo (risultato positivo alla Salmonella in percentuale del'1.4%), maiale (4.8%), pollo (15.7%), e tacchino (8.5%). Questi campioni infetti erano stati prelevati da prodotti in vendita ai consumatori.
    Altri patogeni trasmessi dal cibo

    Nel 1992, la FSIS ha condotto un'indagine su prodotti cotti e pronti al consumo, per la presenza di Salmonella e Listeria monocytogenes. I prodotti provenienti da 75 stabilimenti risultarono contenere o Salmonella o L. monocytogenes. La maggior parte dei prodotti infetti è stata mantenuta in commercio, mentre il resto è stato ritirato.

    Il Campylobacter è stato il principale responsabile di malattie infettive causate dal cibo nel 1998, secondo il CDC. Questi organismi colonizzano velocemente il tratto intestinale degli uccelli ma in genere non sono patogeni per questa specie [10]. Ciò significa che è improbabile che gli animali infetti vengano identificati con i metodi correnti di ispezione in un macello.

    La FSIS di recente ha effettuato delle ispezioni a sorpresa per dimostrare quanto siano seri i problemi delle ispezioni oggigiorno. Nel maggio 1993, 90 macelli bovini nelle campagne vennero ispezionati senza preavviso, e di questi impianti 30 vennero chiusi temporaneamente a causa di non osservanza dei regolamenti federali sulle ispezioni, suggerendo come non servano nuove procedure se non si aumentano i controlli.
    Ispezione dei macelli

    Sin dal 1906, le ispezioni sulla carne si sono limitate all'utilizzo di metodi organolettici, che si basano sul rilievo di modificazioni nell'aspetto, odore o consistenza al tatto dei tessuti. Ma questo approccio non è in grado di riconoscere i microrganismi presenti nel cibo. Nel passato, la National Academy of Sciences ha raccomandato che fosse istituita una forma di ispezione più completa, che comprendesse un monitoraggio microbiologico, poiché molti patogeni possono essere presenti in numero abbastanza elevato da causare malattia senza per questo alterare l'aspetto, l'odore o la consistenza della carcassa, o persino senza causare malattie evidenti nel bestiame in vivo (bovini, suini, pollame).

    La FSIS ha risposto alla comparsa delle epidemie veicolate dal cibo istituendo l'Hazard Analysis and Critical Control Point program (HACCP), ed ha intrapreso uno Studio microbiologico di base dei prodotti carnei denominato Microbiological Baseline Data Collection Program. HACCP è un metodo di analisi che serve ad identificare aree all'interno della catena di lavorazione del cibo dove possano verificarsi contaminazioni chimiche o microbiche.

    Sono state adottate misure per modificare le procedure di lavorazione in tappe chiave, denominate punti di controllo critici, in modo da ridurre la possibilità di malattie dovute a contaminazione o deterioramento del cibo. Il monitoraggio dei punti di controllo è effettuato da test fisici, chimici o microbiologici. Ad ogni modo il programma è inutile se il Governo non intende effettuare dei cambiamenti nelle operazioni di lavorazione degli impianti. La velocità delle linee di produzione dei macelli, ad esempio, contribuisce alla contaminazione e rende le ispezioni più difficoltose. Tuttavia i produttori e i regolamenti del Governo continuano ad eludere questo problema, in quanto un rallentamento della linea di produzione del macello ridurrebbe i profitti.

    In definitiva, la contaminazione microbica della carne e del pollame è un grande problema, e sta diventando sempre più importante. E con la presenza di prodotti contaminati nelle nostre cucine e ristoranti, la contaminazione crociata ed il contagio costituiranno un problema di crescente importanza.
    Contaminazione crociata e contagio: pericoli permanenti

    La contaminazione crociata è un problema serio per il consumatore, e la sua valutazione è un punto cruciale in ogni discussione sulla sicurezza della carne. Tre sono le modalità con le quali gli individui sono esposti ai batteri patogeni (causa di malattie). La prima è attraverso l'ingestione di prodotti contaminati; la seconda attraverso il contatto con persone già infettate dal batterio, che può costituire un problema particolare per le comunità, come le case di cura o le scuole materne; infine, tramite l'ingestione di cibi contaminati dal contatto con carni infette o utensili o superfici di cucina contaminate.

    I dati pubblicati sul numero di Febbraio 1993 del Journal of the American Medical Association forniscono prove evidenti della trasmissione dell'E. coli 0157:H7 da un bambino all'altro nelle scuole materne, e suggeriscono che possa verificarsi anche una trasmissione al nucleo familiare [11].

    Poiché sia l'E. coli che la Shigella necessitano solo di un basso numero di microrganismi per causare malattia, e la dose infettante di Salmonella è spesso bassa [12], la contaminazione crociata diventa un problema importante, ed estende il raggio di suscettibilità all'infezione a persone diverse da quelle che direttamente mangiano macinato di manzo poco cotto o bevono latte non pastorizzato.

    Anche se la contaminazione batterica potesse essere eliminata, la carne non può comunque essere considerata un cibo sano, a causa dei rischi a lungo termine riconducibili al suo contenuto in colesterolo e grassi, ed alla assenza di fibre e carboidrati complessi. Questa composizione della carne è coinvolta in malattie cardiache, vari tipi di cancro, obesità, malattie renali, diabete, ipertensione, ed altre serie patologie. Ciononostante, i rischi a breve termine per la salute riferibili alla contaminazione batterica sono seri e spesso potenzialmente letali, e non sono stati adeguatamente gestiti dal Dipartimento dell'Agricoltura Statunitense.
    Raccomandazioni del PCRM
    Le Autorità Federali devono stabilire dei tempi e degli obiettivi precisi per controllare i contaminanti del cibo. Gli sforzi del Governo ad oggi non sono stati adeguati.
    Il sigillo USDA di approvazione, che recita "Ispezionato per integrità, USDA" dovrebbe venire eliminato finché le Autorità Federali competenti per l'ispezione alimentare non abbiano sviluppato e reso applicabile un metodo affidabile di rilevamento dei contaminanti microbici.
    Le operazioni nei macelli devono avere più ispettori, velocità di produzione ridotte, e sistemi di tracciabilità comprensibili che permettano di identificare a ritroso le fonti della carne contaminata. Le Autorità Federali dovrebbero iniziare ad applicare le altre raccomandazioni già proposte dai gruppi di consumatori per migliorare le procedure di ispezione.
    Il Governo Federale deve richiedere ai produttori di carne di ritirare la carne infetta dal mercato. Diversamente, l'ispezione risulta inutile per il consumatore.
    Devono essere fatti sforzi a livello di educazione alimentare pubblica per informare i consumatori sui rischi provocati dalla carne poco cotta, dalla contaminazione crociata, e dal contagio. Altre misure a tutela del consumatore, quali semplici norme di cottura sulle confezioni di carne e pollame, dovrebbero venire prese in considerazione.
    Dovrebbero essere rese note al pubblico le informazioni su livelli di contaminazione, aderenza alle normative, violazioni, e su eventuali provvedimenti disciplinari per ogni impianto di lavorazione di carne.
    Poiché l'USDA ha dimostrato di non essere in grado e di non volere occuparsi dei problemi correlati alla contaminazione del cibo, la responsabilità per la sicurezza alimentare dovrebbe venirle revocata.
    I medici dovrebbero conoscere l'E. coli 0157:H7 e le malattie che può causare, e dovrebbero ricercarlo in tutti i pazienti affetti da diarrea acuta sanguinolenta.
    I regolamenti Statali e Federali dovrebbero richiedere che le infezioni da E. coli 0157:H7 e la sindrome emolitica uremica (HUS) vengano riferite ai pubblici Ufficiali Sanitari.
    La carne importata dovrebbe venire sottoposta agli stessi tipi di ispezione della carne prodotta in loco.
    Riferimenti
    Bean NH, Griffin PM Foodborne disease outbreaks in the United States, 1973-1987: pathogenesis, vehicles and trends, J Food Protection 1990;53:804-817.
    Spencer L Escherichia coli 0157:H7 infection forces awareness of food production and handling, J Am Vet Med Assoc 1993 Apr 1;202(7):1043-7.
    Potter ME The changing face of foodborne disease, J Am Vet Med Assoc 1992 Jul 15;201(2):250-3.
    Siegler RL Management of hemolytic-uremic syndrome, J Pediatr 1988 Jun;112(6):1014-20.
    Besser RE, Lett SM, Weber JT, Doyle MP, Barrett TJ, Wells JG, Griffin PM An outbreak of diarrhea and hemolytic uremic syndrome from Escherichia coli O157:H7 in fresh-pressed apple cider, JAMA 1993 May 5;269(17):2217-20.
    Martin DL, MacDonald KL, White KE, Soler JT, Osterholm MT The epidemiology and clinical aspects of the hemolytic uremic syndrome in Minnesota, N Engl J Med 1990 Oct 25;323(17):1161-7.
    Doyle MP, Schoeni JL Isolation of Escherichia coli O157:H7 from retail fresh meats and poultry, Appl Environ Microbiol 1987 Oct;53(10):2394-6.
    Dirty Chicken, The Atlantic Monthly 1990; Nov 266(5):32.
    Green SS Results of a national survey: salmonella in broilers and overflow chill tank water, 1982-1984, USDA, FSIS, 1987.
    Hooper BE Overview, JAVMA 1992;201(2):259-62.
    Belongia EA, Osterholm MT, Soler JT, Ammend DA, Braun JE, MacDonald KL Transmission of Escherichia coli 0157:H7 infection in Minnesota child day-care facilities, JAMA 1993 Feb 17;269(7):883-8.
    Blaser MJ, Newman LS A review of human salmonellosis: I. Infective dose, Rev Infect Dis 1982 Nov-Dec;4(6):1096-106.


    Published Online: 13 Mar 2001
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    Ricerca sulle maggiori cause di morte degli americani

    Fonte: PCRM, The Major Killers of Americans: Research and Prevention

    La Ricerca medica si trova ad un punto cruciale. I vecchi metodi sperimentali non sono in grado di risolvere il problema creato dalle principali malattie responsabili di morte. Allo scopo di cercare di vincere le principali patologie, i Ricercatori stanno rivolgendo la loro attenzione alle nuove tecnologie, mentre i Medici sono costretti ad imparare nuovi approcci clinici.
    Cardiopatia - il killer numero uno

    Il maggior contributo alla comprensione della cardiopatia è stata la scoperta che questa malattia può essere praticamente eliminata attraverso il controllo di tre fattori: il Colesterolo, il Fumo e la Pressione Arteriosa. Questo straordinario risultato deriva da Studi molto accurati condotti sull'uomo.

    Nel corso degli ultimi 40 anni a Framingham, cittadina del Massachussetts, migliaia di individui appartenenti a due generazioni sono stati studiati con attenzione per individuare i fattori responsabili di cardiopatia. Il Framingham Heart Study ha rivelato che se i livelli di Colesterolo rimangono al di sotto dei 150 (mg/dl) è estremamente improbabile che si verifichi un infarto miocardico. Ogni punto percentuale di aumento dei livelli di Colesterolo comporterebbe un aumento percentuale di circa il 2% del rischio coronarico. Altri Studi come il Lipid Research Clinic's Trial e il Multiple Risk Factor Intervention Trial hanno confermato l'importanza di mantenere controllati i livelli di Colesterolo.

    Il Dr. Dean Ornish, M.D. dell'Università di California, San Francisco, ha dimostrato che se i pazienti affetti da grave coronaropatia adottano una dieta vegetariana povera di grassi, smettono di fumare, riducono i fattori di stress e svolgono giornalmente un'attività fisica moderata, le placche nelle loro arterie iniziano gradualmente a regredire.

    I by-pass arteriosi coronarici ed i trapianti di cuore, pur utili in alcuni pazienti, non sono in grado di sostituire l'efficacia delle misure igieniche riguardanti l'alimentazione ed altre modificazioni dello stile di vita. I by-pass e gli organi trapiantati possono pure diventare oggetto di lesioni arteriosclerotiche aggressive se non viene adottato uno stile dietetico molto rigido. Sicuramente, la miglior strategia in campo medico è quella di rivolgersi a tali provvedimenti finché il paziente è ancora sano (c.d. Prevenzione Primaria).

    Sono auspicabili ulteriori Ricerche: sono necessari in modo particolare Studi comportamentali sull'uomo per trovare come sia possibile aiutare la gente a modificare inveterate abitudini di vita relativamente a fumo ed alimentazione. Sono inoltre di fondamentale importanza Studi economici e politici che permettano di convertire la produzione industriale di tabacco e di bestiame, dirottandola verso la produzione di cereali, legumi e verdura.
    Cancro - il killer numero due

    Nel 1971 il presidente Nixon dichiarava la nuova, aggressiva "Guerra al Cancro". Nonostante tutti gli sforzi, il tasso di mortalità riferibile al Cancro continua a crescere.

    Una tecnica standard utilizzata per la ricerca di nuovi farmaci antitumorali consiste nel somministrare le sostanze da sperimentare a topi di laboratorio affetti da leucemia. Si tratta di una procedura lenta e costosa. Questa metodica ha permesso la scoperta di pochi agenti chemioterapici efficaci a fronte di una spesa di milioni di dollari e della morte di non meno di un milione di animali ogni anno.

    Una nuova metodica, messa a punto da Michael Boyd, Robert Shoemaker ed altri Ricercatori presso il National Cancer Institute, testa i farmaci oggetto di studio su cellule tumorali umane isolate [1]. La capacità di una sostanza di sopprimere le cellule tumorali viene testata all'interno di un sistema automatizzato, dove i dati ottenuti vengono elaborati da un computer. Farmaci già presi in esame e che potrebbero essere stati scartati con il sistema di studio sul topo, potrebbero rivelarsi efficaci quando valutati con il nuovo metodo di esame che utilizza cellule umane.

    Invece di accanirsi, spesso con risultati fallimentari, per cercare di curare la malattia tumorale, una vasta mole di dati oggi supporta la possibilità di prevenire questa malattia. Secondo le stime del National Cancer Institute, ben l'80% dei casi di cancro potrebbero essere prevenuti.

    Il 30% dei casi di tumore è causato dal tabacco. L'astensione dal fumo riduce moltissimo la probabilità di contrarre il cancro del polmone. Almeno il 35% dei casi di cancro è riconducibile a fattori alimentari.

    Nel 1982 il National Research Council ha pubblicato uno Studio intitolato Diet, Nutrition, and Cancer (Dieta, Alimentazione e Cancro) [2], che dimostra come la dieta sia probabilmente il fattore di rischio indipendente più importante nell'epidemiologia del cancro. Da allora sono stati individuati molti fattori di rischio alimentari specifici implicati nella genesi di vari tipi di cancro. I cibi ricchi di grassi ed olii aumentano il rischio di cancro a carico degli organi appartenenti al sistema digerente (es. colon, retto) e degli organi bersaglio degli ormoni sessuali (es. mammella, prostata) [3].

    Inoltre, i costituenti di alcuni alimenti risultano protettivi nei confronti del cancro. Le fibre alimentari, presenti principalmente nei cereali e nei legumi integrali, aiutano a prevenire il cancro di colon e retto. Le fibre sembrano inoltre ridurre il rischio di cancro della mammella, probabilmente attraverso la riduzione dei livelli di Colesterolo ed ormoni sessuali. Parecchie Vitamine hanno dimostrato di possedere attività protettive nei confronti dei tumori: il beta-carotene (la forma in cui la Vitamina A è presente nella verdura e nella frutta verde scuro e gialla) le Vitamine C e E, ed il Selenio (un oligoelemento) possono contribuire alla prevenzione del cancro.

    Una misura fondamentale nella prevenzione del cancro alla pelle consiste nell'evitare prolungate esposizioni alla luce solare. Inoltre, il Radon, un gas radioattivo naturale che viene emesso da alcune rocce sotterranee e risale fino ai serbatoi d'acqua sotterranei, è stato implicato in alcuni tipi di cancro. Migliori sistemi di ventilazione possono evitare che il Radon si accumuli in aree chiuse.

    La prevenzione è la luce in fondo al tunnel imboccato da tutte le persone alla ricerca di un modo per arginare la diffusione del cancro. Eliminare i fattori di rischio di tumore e introdurre nella dieta alimenti che aumentano le difese del nostro organismo nei confronti di questa malattia costituiscono misure che permettono con buona probabilità di controllare il rischio di contrarre questa malattia.Percentuali stimate di casi di cancro dovuti a fattori di rischio specifici*
    Dieta 35-60%
    Tabacco 30%
    Alcool 3%
    Radiazioni 3%
    Inquinamento ambientale 1-5%
    Farmaci 2%
    *Questi dati sono stime approssimative basate su dati forniti da: Cancer Rates and Risks, National Cancer Institute (Washington, DC: 1985), e R. Doll e R. Peto, Journal of the National Cancer Institute 1981;66(6):1191-1308. Altri fattori, non inclusi in questa tabella, possono giocare un ruolo significativo in certe forme di cancro. Le differenti categorie possono sovrapporsi. Per esempio, sia il tabacco che l'alcool contribuiscono al cancro all'esofago.

    Test su cellule per la valutazione della carcinogenicità di sostanze chimiche

    Mentre gli inaffidabili e costosi test su animali necessitano di anni per fornire una risposta sulla potenziale dannosità di sostanze chimiche, test rapidi non condotti su animali sono in grado di fornire risultati nell'arco di ore o giorni. Il test di Ames, il più noto di questi, utilizza metodi batteriologici che sono significativamente meno costosi e più veloci dei test sugli animali. Il test valuta se la sostanza in esame è in grado di provocare danni genetici sul batterio Salmonella. Se questo si verifica, è molto probabile che la sostanza sia cancerogena. Un testo sul cancro afferma: "La progressiva diffusione sulla scena del test di Ames sulla mutazione della Salmonella, culminato nella sua versione definitiva del 1975, ha senza dubbio determinato un grosso cambiamento nell'approccio alla carcinogenesi. Esso costituisce un radicale salto di qualità nei nostri progressi verso la comprensione di questo difficile settore " [4].
    Ictus cerebrale - il killer numero tre

    Nell'Ictus, una parte del cervello viene distrutta, con conseguente paralisi motoria, perdita della funzione sensitiva e frequentemente morte. Studi clinici ed epidemiologici hanno individuato le cause dell'Ictus e le misure di prevenzione. Appare ormai chiaro come gli stessi fattori di rischio di cardiopatia ischemica - ipertensione, elevati livelli ematici di colesterolo e fumo- possono essere causa anche di Ictus cerebrale. L'Ictus può quindi essere prevenuto con il controllo di questi fattori. Per ridurne l'incidenza è fondamentale mettere in atto misure adeguate per aiutare la popolazione a modificare le proprie abitudini alimentari e smettere di fumare.
    Riferimenti
    Boyd MR, Shoemaker RH Thoracic Oncology, WB Saunders 1986;ch. 51.
    National Research Council Diet, Nutrition and Cancer, Washington 1982; National Academy Press.
    Armstrong B Doll R Environmental factors and cancer incidence and mortality in different countries with special reference to dietary practices, Int J Cancer 1975 Apr;15(4):617-31.
    Bridges BA Environmental Carcinogenesis, Emmelot P, Kriek E eds:319.

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    Biotecnologie, alimenti transgenici e consumo consapevole

    Articolo del dott. Lorenzo Corsi

    Con il termine generico di biotecnologie possiamo indicare una scienza interdisciplinare che attinge da molti campi della ricerca (microbiologia, biochimica, biologia molecolare, biologia cellulare, immunologia, ingegneria delle proteine, enzimologia, tecnologie dei bioprocessi) e che può essere applicata in molti settori (alimentare, agricoltura, ambiente, diagnostico ed altro ancora).

    Sulla base dei metodi impiegati per la realizzazione dei prodotti possiamo distinguere le biotecnologie in tradizionali e nuove. Sono biotecnologie tradizionali quelle che comprendono le metodiche per la produzione di vino, birra, formaggio, yogurt, pane ed altri generi alimentari, mentre le biotecnologie moderne abbracciano i metodi di modificazione genetica degli organismi viventi (tecnologia del DNA ricombinante) e della fusione nucleare. Le innovazioni in questo settore possono però essere utilizzate anche nei processi tradizionali come quelli per la produzione di vino, birra, pane ed altri prodotti in cui è possibile impiegare ceppi di microrganismi geneticamente modificati. In questa sezione discuteremo quindi prevalentemente l'uso della tecnologia del DNA ricombinante in agricoltura e nell'alimentazione (umana e animale) e quali rischi ad essa possono essere associati.

    Nonostante il mercato offra già prodotti da piante geneticamente modificate, da più parti sono stati posti dubbi e interrogativi sulle possibili conseguenze al rilascio deliberato di organismi geneticamente modificati (ogm) nell'ambiente e la reale possibilità di compromettere seriamente la stabilità degli equilibri ecologici lascia dubbiosi e perplessi molti scienziati. Notevoli sono anche i rapporti fra biotecnologie e realtà socioeconomica: la possibilità di brevetto allargata ai viventi e l'appropriazione, mediante clonazione, di geni potrebbero compromettere pesantemente le fragili economie dei paesi più poveri. Per ovvie ragioni ci occuperemo prevalentemente dell'aspetto salutistico sollevato dagli ogm ma anche le implicazioni ecologiche, economiche ed etiche avranno modo di trovare il loro spazio.

    Nel 1996 gli ettari coltivati in tutto il globo con colture geneticamente modificate erano meno di 3 milioni. Nel 1998 hanno raggiunto i 28 milioni e per il 2000 erano previsti circa 60 milioni di ettari coltivati con piante geneticamente modificate. Il massimo produttore è l'America settentrionale, negli Stati Uniti nel 1999 sono stati coltivati 29 milioni di ettari di terreno con piante transgeniche.

    Anche se le multinazionali rassicurano sui rischi degli ogm in questo momento mancano certezze sulla loro innocuità, tant'è che Hartwig de Haen, numero tre della FAO, ha dichiarato che "Esistono rischi potenziali, sia per la salute umana che per l'ambiente, legati agli organismi geneticamente modificati" (CNNItalia 13 aprile 2000). Rischi certi per la salute umana (allergie e tossicità dovuta a prodotti secondari del tutto imprevisti) sono già stati dimostrati e si nutrono forti sospetti che gli ogm possano contribuire a diffondere la resistenza agli antibiotici.

    Secondo l'OMS la resistenza agli antibiotici è uno dei più gravi rischi sanitari emergenti e le iniziative in corso per combatterla in alcuni paesi come la Danimarca e la Svezia rientrano in una strategia integrata. In Svezia è operativo un programma strategico per l'uso razionale degli antibiotici e per la sorveglianza della resistenze (STRAMA).

    Una insidia molto grave, associata alle speranze probabilmente eccessive che l'opinione pubblica manifesta nei confronti delle nuove biotecnologie e della ricerca genetica, è rappresentata dalla modificazione dell'evoluzione culturale del pensiero biologico. La percezione culturalmente diffusa che tutto sia nei geni ha spinto alcuni a sostenere che noi siamo solo i contenitori che consentono ai geni di riprodursi e che la nostra esistenza è finalizzata alla loro conservazione. La pericolosità di tali affermazioni è ovvia, se si afferma che i geni sono gli unici e veri responsabili dei nostri comportamenti, delle malattie di cui soffriamo e di tutto ciò di cui siamo capaci saremo esonerati dalle nostre responsabilità e potremo così ridare vigore a concetti filosofici che spiegano la diseguaglianza razziale e sociale grazie a riferimenti organici.

    La risoluzione dei problemi che ci affliggono non potranno essere ricondotti alla clonazione o alla manipolazione di organismi, gli uomini, nonostante geni manipolati e clonati, continueranno a morire di fame e di cancro e a vivere nella miseria più assoluta, così come la terra, l'acqua e l'aria saranno sempre più inquinate se non metteremo in discussione la nostra responsabilità individuale e sociale per il modo che abbiamo di produrre, distribuire e consumare la merce.

    Pertanto, vista la elevata velocità dei progressi in campo biotecnologico è necessario che oltre alle riflessioni di scienziati e imprese del settore ci sia un adeguamento altrettanto profondo del bagaglio culturale ed etico, delle popolazioni. Una corretta e capillare informazione ed un sufficiente approfondimento non possono perciò essere rimandati e si rendono indispensabili per la comprensione e la discussione delle questioni sollevate dagli ogm.

    Considerando quanto suddetto ci siamo posti l'obiettivo di tradurre in un linguaggio comprensibile a tutti argomenti particolarmente complessi con l'intenzione di fornire gli strumenti conoscitivi necessari ad intervenire nel nascente dibattito sull'ingegneria genetica e sulle biotecnologie in generale.

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    Cosa c'è di sbagliato nell'assumere derivati del latte?

    Fonte: PCRM, Health Concerns about Dairy Products

    Molti americani, alcuni vegetariani inclusi, continuano ad assumere grandi quantità di derivati del latte. Di seguito elenchiamo otto importanti motivi per eliminare i latticini dalla propria dieta.
    Osteoporosi

    L'assunzione del latte è reclamizzata per la prevenzione dell'osteoporosi, sebbene la ricerca clinica pervenga a conclusioni differenti. L'Harvard Nurses' Health Study [1], che ha seguito clinicamente oltre 75.000 donne per dodici anni, ha mostrato che l'aumentato consumo di latte non avrebbe alcun effetto protettivo sul rischio di fratture. Infatti, l'aumentata introduzione di Calcio attraverso latticini era associato con un rischio di fratture più elevato. Uno Studio Australiano [2] è pervenuto al medesimo risultato. Inoltre altri Studi [3, 4] non hanno evidenziato alcun effetto protettivo sull'osso da parte del Calcio proveniente dai derivati del latte. Per ridurre il rischio di osteoporosi, va ridotta l'assunzione con la dieta di Sodio e di Proteine animali [5, 6], aumentato il consumo di frutta e verdura [8], l'attività fisica [9], e va assicurato un adeguato introito di Calcio da fonti vegetali, come ad esempio la verdura a foglia verde ed i fagioli, come pure prodotti addizionati di Calcio tipo i cereali per la colazione ed i succhi.
    Malattie Cardiovascolari

    I latticini - ivi inclusi formaggio, gelati, latte, burro e yogurt - contribuiscono significativamente ad elevare il contenuto di colesterolo e grassi nella dieta [10]. Le diete ad elevato contenuto di grassi, soprattutto grassi saturi, possono aumentare il rischio di parecchie malattie croniche, comprese le malattie cardiovascolari. Una dieta a base di prodotti vegetali, povera di grassi e che elimini i derivati del latte, in combinazione con attività fisica, abolizione del fumo e controllo dello stress, può non solamente prevenire le malattie cardiache, ma addirittura renderne reversibile il decorso [11]. I derivati dalla frazione non grassa del latte possono essere utilizzati, seppure siano responsabili di altri rischi per la salute, come descritto oltre.
    Cancro

    Alcuni tumori, come ad esempio quello dell'ovaio, sono stati messi in stretta relazione con il consumo di latticini. Lo zucchero contenuto nel latte, il lattosio, viene scisso nell'organismo ottenendo un altro zucchero, il galattosio. A sua volta il galattosio viene ulteriormente catabolizzato da enzimi. Secondo uno Studio del dr. Daniel Cramer e collaboratori a Harvard [12], quando il consumo di latticini eccede quantitativamente la possibilità enzimatica di catabolizzare il galattosio, questo può accumularsi nel sangue, e può danneggiare le ovaie femminili. Alcune donne possederebbero inoltre livelli di questi enzimi particolarmente bassi, ed il consumo regolare di derivati del latte può triplicare in loro il rischio di sviluppare cancro ovarico.

    I tumori della mammella e della prostata sono pure stati messi in relazione con il consumo di derivati del latte, correlazione presumibilmente riferibile, almeno in parte, ad aumentati livelli plasmatici di un composto denominato Insulin-like Growth Factor (IGF-I) [13, 14, 15]. Questo fattore, isolato nel latte vaccino, è stato ritrovato a livelli plasmatici elevati nei soggetti che consumino regolarmente latticini [16]. Altri principi nutritivi che aumenterebbero i livelli di IGF-I sono pure presenti nel latte vaccino. Uno Studio recente mostra come soggetti maschili che presentino elevati livelli di IGF-I avrebbero un rischio quattro volte maggiore di sviluppare cancro prostatico, quando confrontati con i soggetti nei quali i livelli di questo fattore siano bassi [14].
    Diabete

    Il Diabete Insulino-dipendente (tipo I o Diabete Giovanile) è correlato al consumo di latticini. Studi epidemiologici in diversi Paesi dimostrano la presenza di una forte correlazione tra l'uso di latticini e l'incidenza di Diabete Insulino-dipendente [17, 18]. Alcuni Ricercatori nel 1992 [18] hanno individuato una proteina specifica del latte che innescherebbe una reazione autoimmunitaria, che si pensa sia in grado di distruggere le cellule pancreatiche deputate alla produzione di Insulina.
    Intolleranza al Lattosio

    L'intolleranza al Lattosio è un fenomeno comune in molte popolazioni, e negli USA colpisce circa il 95% dei soggetti di origine Asiatica, il 74% dei Nativi, il 70% dei soggetti di origine Africana, il 53% dei soggetti di origine Messicana, mentre colpisce il 15% dei soggetti di razza Caucasica [19]. La sintomatologia, che include problemi gastrointestinali, diarrea e flatulenza, compare perché l'organismo di questi individui non possiede gli enzimi deputati alla digestione dello zucchero presente nel latte, il Lattosio, appunto. In più oltre ad essere vittime di questi problemi, coloro che bevono latte rischiano di diventare soggetti a rischio di sviluppare altre malattie croniche ed altri disturbi.
    Tossicità da Vitamina D

    Il consumo di latte non fornisce una fonte valida ed affidabile di Vitamina D nella dieta. Differenti campioni di latte sono stati trovati contenere quantità molto variabili di Vitamina D, in alcuni campioni era presente una quantità di Vitamina D cinquecento volte superiore a quella indicata, mentre altri campioni di latte ne contenevano quantità insufficienti o questa Vitamina era addirittura assente [20, 21]. Un eccesso di Vitamina D può essere tossico e può essere responsabile di un eccessivo aumento dei livelli di Calcio in sangue ed urine, di aumentato assorbimento di Alluminio e di depositi di Calcio nei tessuti molli (calcificazioni ectopiche, NdT).
    Contaminazione

    Ormoni sintetici come ad esempio il ricombinante dell'ormone della crescita bovino (rBGH), sono comunemente usati nelle mucche da latte per aumentare la produzione di latte [13]. Visto che le mucche producono quantità di latte in eccesso rispetto a quanto previsto dalla Natura, sono vittime di mastiti od infiammazioni delle mammelle. Il trattamento di queste patologie richiede l'uso di antibiotici, e tracce di questi farmaci e di ormoni sono stati rilevati in campioni di latte e di latticini. Altre sostanze che contaminano frequentemente il latte sono i pesticidi ed altri farmaci.
    Problemi per la salute dei bambini

    Proteine del latte, Zuccheri del latte, grassi e grassi saturi presenti nei latticini possono essere causa di rischi per la salute nei bambini, portando allo sviluppo di malattie croniche quali obesità, diabete e formazione di placche arteriosclerotiche, causa in seguito di patologia cardiaca.

    L'American Academy of Pediatrics raccomanda che ai bambini al di sotto dell'anno di vita non venga somministrato latte vaccino intero, poiché la carenza di Ferro è più probabile quando la dieta sia ricca di latticini. I prodotti del latte sono molto poveri di Ferro. Se dovessero costituire una grossa parte della dieta, è più probabile si sviluppi una carenza di Ferro [10]. Le coliche addominali sono un ulteriore problema correlato al consumo di latte. Un bambino su cinque soffre di coliche. I pediatri ne hanno individuato da tempo la causa nel latte vaccino. Sappiamo ora che quando la madre che allatta al seno il bimbo consumi latte vaccino, il bambino può andare incontro a coliche addominali. Gli anticorpi della mucca possono passare, attraverso il circolo ematico materno, nel latte materno stesso e da qui al bimbo [22]. Inoltre le allergie alimentari appaiono essere comunemente causate dal consumo di latte, soprattutto nei bambini. Uno Studio recente [23] mette anche in correlazione il consumo di latte vaccino con la stipsi cronica del bambino. I ricercatori suggeriscono che il consumo di latte provochi ragadi od altre lesioni perianali e severo dolore alla defecazione, provocando così stipsi.

    Il latte ed i suoi derivati non sono necessari nella dieta e possono, in effetti, essere dannosi per la salute. Consumate una sana dieta a base di granaglie, frutta, verdura, legumi, cibi fortificati quali i cereali ed i succhi. Questi cibi, carichi di principi nutritivi, possono aiutarvi a soddisfare le esigenze individuali di Calcio, Potassio, Riboflavina e Vitamina D con facilità e senza rischi per la salute.
    Riferimenti
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    Chan JM, Stampfer MJ, Giovannucci E, Gann PH, Ma J, Wilkinson P, Hennekens CH, Pollak M Plasma insulin-like growth factor-I and prostate cancer risk: a prospective study, Science 1998 Jan 23;279(5350):563-6. (e-mail: [email protected])
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    Colesterolo e cardiopatia

    Fonte: PCRM, Cholesterol and Heart Disease

    Ogni giorno più di 4.000 americani vengono colpiti da infarto miocardico. Gli individui che sopravvivono spesso vanno incontro ad un altro infarto successivamente. Tutto questo può essere evitato. Le abitudini dietetiche e gli altri aspetti del nostro stile di vita giocano un ruolo importante nel determinare il rischio di sviluppare cardiopatia. Fortunatamente, le cardiopatie possono ormai essere prevenute ed è anche possibile invertirne il decorso clinico.
    L'Arteriosclerosi

    L'Arteriosclerosi (coronarica, NdT) è la forma in assoluto più comune di cardiopatia, nella quale placche di Colesterolo e di altre sostanze, disseminate come tanti piccoli tumori, si formano a carico delle pareti arteriose. E' quindi possibile che ne conseguano ostacoli di natura emodinamica al flusso della circolazione sanguigna. Una riduzione di flusso ematico significa un minor apporto di Ossigeno al muscolo cardiaco. Compare allora dolore toracico (Angina - pectoris, NdT), solitamente in seguito ad esercizio fisico od emozione. Quando il flusso ematico è completamente interrotto, una parte del muscolo cardiaco va incontro a morte - condizione clinica denominata infarto miocardico.

    L'Arteriosclerosi non è causata dall'età avanzata. Quando le vittime cadute sul campo di battaglia durante le guerre in Corea e Vietnam furono sottoposte ad autopsia, venne riscontrato che i soldati americani presentavano lesioni arteriosclerotiche rilevanti ad un'età di soli 18-20 anni. I loro avversari Asiatici, cresciuti con una dieta essenzialmente costituita da riso e verdura, presentavano per contro delle arterie molto più sane.

    La ragione principale per cui soggetti anziani hanno maggiore probabilità di sviluppare problemi cardiaci, rispetto a soggetti più giovani, è che essi hanno avuto più tempo per subire le conseguenze di abitudini non salutari. Inoltre, la maggior parte degli individui non presenta una predisposizione ereditaria nei confronti della malattia coronarica. Nella maggioranza dei casi il problema non è di solito riconducibile a fattori genetici, ma alle abitudini alimentari ed al fumo. Il vostro medico è in grado di dirvi se appartenete a quel 5% di soggetti nella popolazione generale che presentano una reale predisposizione genetica a sviluppare malattie coronariche.

    Molti Studi hanno dimostrato la presenza di una associazione tra livelli ematici di Colesterolo e cardiopatia. Con inizio nel 1949, sotto la direzione del Dr. William Castelli, la popolazione di Framingham (The Framingham Study, NdT), cittadina del Massachusetts, è stata monitorata per cercare di individuare quali fattori influenzassero la frequenza di cardiopatia [1].

    Lo Studio di Castelli ha dimostrato che c'è un livello di Colesterolo al di sotto del quale, essenzialmente, non si verifica infarto del miocardio.

    "Non abbiamo mai avuto un infarto a Framingham in 35 anni di follow-up in alcun individuo che presentava livelli ematici di Colesterolo al di sotto dei 150 (mg/dl, NdT)", sosteneva Castelli. "I tre quarti degli individui che vivono sulla faccia della Terra non ha mai presentato un infarto cardiaco. Tali individui sono le popolazioni che vivono in Asia, Africa, e Sud America, e che presentano livelli di Colesterolo ematico intorno ai 150 (mg/dl, NdT)".
    Che cosa è il Colesterolo?

    Il termine "Colesterolo" non è sinonimo di "grasso". Se voi aveste un po' di Colesterolo sulla punta di un dito, assomiglierebbe a cera. Il fegato sintetizza Colesterolo e lo immette in circolo perché possa venire utilizzato dall'organismo nella produzione di ormoni e membrane cellulari, oltre che in altre strutture dell'organismo. I livelli di Colesterolo sono espressi in milligrammi (mg) di Colesterolo per decilitro (dl) sierici. Sulla scorta dei risultati del Framingham Heart Study e di altre ricerche, livelli ematici ottimali appaiono essere al di sotto dei 150 mg/dl. Per tali valori, l'evenienza di un infarto appare molto improbabile.

    Sfortunatamente, il livello ematico medio di Colesterolo in America è 205 (mg/dl), che è molto prossimo al livello medio riscontrato nei soggetti vittime di infarto: 244 (mg/dl). Sorprendentemente, il livello massimo ancora raccomandato dal Governo Federale è di circa 200 (mg/dl).
    Differenti tipi di Colesterolo

    Il Colesterolo trasportato nel flusso sanguigno (essendo non-idrosolubile, NdT) è inglobato nelle lipoproteine a bassa densità (LDL), denominate anche "Colesterolo cattivo" (Colesterolo-LDL). Nonostante il Colesterolo-LDL sia realmente necessario all'organismo in quantità limitate, elevati livelli possono aumentare drammaticamente il rischio di infarto cardiaco.

    Le LDL cedono il loro contenuto di Colesterolo a varie parti dell'organismo. Quando invece il Colesterolo viene ceduto da cellule morte, è inglobato all'interno di un altro tipo di lipoproteine, denominate lipoproteine ad alta densità (HDL), note come "Colesterolo buono" (Colesterolo-HDL).

    Quando i medici vi sottopongono all'analisi dei livelli ematici di Colesterolo, prima prendono in considerazione i livelli di Colesterolo totale come un generico e rapido indicatore del rischio individuale. Per ottenere più precise informazioni, considerano il rapporto tra livelli di Colesterolo totale e livelli di Colesterolo-HDL (Colesterolo totale/Colesterolo-HDL, NdT). Tanto più basso è il livello di Colesterolo totale e tanto più alto è la frazione di Colesterolo-HDL in esso contenuta, tanto più basso sarà il rischio di andare incontro ad infarto cardiaco.

    Il rapporto tra Colesterolo totale e Colesterolo-HDL dovrebbe, idealmente, essere intorno 3:1 (=3, NdT). Purtroppo, il valore medio di questo rapporto nel maschio americano è di gran lunga superiore, circa 5.1:1 (=5.1, NdT). I vegetariani, per contro presentano un valore medio di circa 2.9:1 (=2.9).

    Il fumo e l'obesità sembrano diminuire i livelli di Colesterolo-HDL, che però possono essere in qualche modo innalzati dalla pratica di esercizio fisico intenso e dall'assunzione di cibi ricchi in vitamina C [2].
    Come ridurre i livelli del vostro Colesterolo

    Dal momento che il nostro organismo è in grado di produrre tutto il Colesterolo necessario per il proprio fabbisogno, noi non abbiamo bisogno di aggiungerlo alla nostra dieta. Il Colesterolo è presente in tutti i cibi di derivazione animale: carne rossa, pollame, pesce, uova, latte, formaggio, yogurt e ogni altra carne e derivato del latte. Questi cibi devono quindi essere evitati. Nessun alimento di derivazione vegetale, per contro, contiene Colesterolo.

    La popolazione può quindi ridurre drammaticamente i livelli ematici di Colesterolo modificando il tipo di cibi assunti. E per ogni riduzione dei livelli ematici di Colesterolo pari all'1%, il rischio di infarto viene ridotto del 2% [3]. Per esempio, la riduzione della Colesterolemia da 300 mg/dl a 200 mg/dl (pari ad 1/3) porterà alla riduzione del rischio di infarto miocardico pari a 2/3. Per qualche individuo, i benefici possono essere ancora superiori.

    Ogni 100 mg di Colesterolo nella vostra dieta giornaliera fa salire di circa 5 punti i vostri livelli di Colesterolo, seppure esista una variabilità da persona a persona. In termini pratici, 100 mg di Colesterolo sono contenuti in 4 once di carne di manzo o pollo, mezzo uovo, o 3 tazze di latte. Carne di manzo e di pollo hanno lo stesso contenuto di Colesterolo, pari a 25 mg per oncia [4]. A differenza degli altri grassi, il Colesterolo è localizzato principalmente nella parte magra della carne.

    I prodotti animali contengono anche grassi saturi, a partire dai quali il fegato sintetizza ulteriore Colesterolo. I grassi insaturi non hanno invece questo effetto. I grassi saturi sono facili da identificare perché sono solidi a temperatura ambiente, mentre quelli insaturi sono liquidi. Carne di manzo, pollo, e molti altri prodotti animali contengono rilevanti quantità di grassi saturi. Questa è un'ulteriore buona ragione per evitare tali prodotti.

    Purtroppo, l'industria alimentare spesso presenta il contenuto in grassi di certi prodotti in modo ingannevole. Riportando il contenuto di grasso in unità di peso, spesso viene esclusa dalla misura il contenuto di acqua facendo apparire questi prodotti meno pericolosi per la salute di quello che sono realmente. La parte importante dell'informazione è la percentuale di calorie che derivano dalle materie grasse contenute nel prodotto.

    Nelle parti più magre della carne di manzo, circa il 30% delle calorie deriva dai grassi. Il pollo senza la pelle è quasi equivalente, con un 23%. Persino senza la pelle, il pollo non è mai realmente un cibo a basso contenuto di grasso. Granaglie, fagioli, verdura e frutta, comunque, hanno realisticamente meno del 10% delle loro calorie totali derivanti dai grassi.
    Olii Vegetali Saturi

    Alcuni olii vegetali sono ricchi anche di grassi saturi. Questi olii sono conosciuti come olii tropicali: olio di palma, olio di cuore di palma, e olio di noce di cocco. Gli olii idrogenati sono pure ad elevato contenuto di grassi saturi.

    Mentre gli olii vegetali liquidi sono di gran lunga da preferire ai grassi animali ed agli olii tropicali, tutti i grassi e gli olii sono misture naturali di grassi saturi e insaturi. Quindi, nessuno farà del bene alle vostre arterie coronariche, e la loro assunzione dovrebbe comunque essere ridotta al minimo.

    La seguente tabella mostra le percentuali di grassi saturi in differenti qualità di grassi:Grassi Animali Olii Vegetali Olii Tropicali
    Manzo grasso 50% Olio di Canola 12% Olio di Cocco 87%
    Grasso di Pollo 30% Olio di grano 13% Olio di Palma 49%
    Grasso di Maiale (Lardo) 39% Olio di semi di Cotone 26% Olio di cuore di palma 82%
    Olio d'oliva 13%
    Olio di Arachidi 17%
    Olio di Cartamo 9%
    Olio di Sesamo 14%
    Olio di Soia 15%
    Olio di Girasole 10%


    Mentre la parte satura dell'olio è quella responsabile dell'aumento dei livelli ematici di Colesterolo, le parti insature sono responsabili di peculiari conseguenze sullo stato di salute. Queste includono una tendenza ad aumentare la produzione di radicali liberi, interferenze con la funzionalità del sistema immunitario, e aumento del peso corporeo.
    La pressione arteriosa

    Anche la pressione del sangue è un fattore di rischio per cardiopatia, e può inoltre predisporre ad ictus cerebrali e altri problemi seri per la salute. Fortunatamente, questa è un'altra variabile che possiamo mantenere controllata facendo attenzione ai cibi che mangiamo.

    Il sale da cucina influenza pressione arteriosa, e dovrebbe essere ridotto al minimo. Ma questo è solo l'inizio. Numerosi Studi hanno dimostrato che i vegetariani hanno una pressione sanguigna più bassa dei non-vegetariani. Una dieta vegetariana a basso contenuto di grassi e ad alto contenuto di fibre, anche senza ridurre l'assunzione di sale, può abbassare del 10% la pressione arteriosa. La spiegazione biologica di questo fenomeno non è mai stata chiara. Le diete vegetariane sono più basse in grassi e sodio, ma è presente un effetto di riduzione dei valori pressori che prescinde da questi due fattori. Un ulteriore effetto benefico sullo stato di salute è costituito da una riduzione dei depositi tissutali di ferro nei vegetariani. Alcuni Studi hanno dimostrato la presenza di uno stretto legame tra ferro e cardiopatia ed anche tra ferro ed ipertensione [5].
    Altri fattori

    Non è molto utile consumare un pasto salutare se questo è seguito da una sigaretta. Esistono altri fattori che possono avere le stesse influenze della dieta sul cuore.

    I fumatori presentano un rischio molto più elevato di cardiopatia rispetto ai non-fumatori. Limitare il consumo di sigarette non è abbastanza - è essenziale smettere.

    L'attività fisica è anche importante. Un regolare esercizio fisico leggero, come una camminata giornaliera di 30 minuti, può ridurre drammaticamente i tassi di mortalità.

    Ecco alcuni comuni tipi di attività fisica e la relativa quantità di calorie che consumano in un'ora rapportata ad un adulto di 150 libbre (circa 70 Kg):Attività Calorie consumate
    all'ora
    Correre in bicicletta 400
    Vogare in canoa 180
    Cucinare 180
    Ballare 240
    Fare giardinaggio 480
    Giocare a golf 345
    Saltare con la fune 570
    Giocare a Ping-Pong 285
    Suonare il pianoforte 165
    Giocare a racket 615
    Nuotare 525
    Giocare a Tennis, doppio 270
    Giocare a Tennis, singolo 435
    Giocare a Pallavolo 330
    Camminare, spedito 360


    Per finire, anche lo stress esige un tributo dal cuore. La vita quotidiana è piena di eventi che aumentano la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa [6]. Ridurre lo stress significa mantenere gli impegni in un intervallo "gestibile". Prendersi un periodo di riposo adeguato ed apprendere tecniche per la riduzione dello stress, meditazione, o yoga, può essere molto di aiuto.

    Come è stato detto, il controllo degli altri fattori non può annullare gli effetti di una cattiva dieta. Il solo modo di mantenere il cuore in buona salute è quello di condurre uno stile di vita sano che comprenda una dieta vegetariana variata e con pochi grassi, attività fisica giornaliera, e riduzione dello stress.

    E ora le buone notizie: La malattia coronarica può essere fatta regredire.

    Il 21 luglio 1990 The Lancet ha pubblicato i risultati degli Studi del Dr. Dean Ornish, che dimostrano come il decorso clinico della cardiopatia (ischemica, NdT) può realisticamente essere invertito senza ricorrere a farmaci [7]. Fino ad allora, la maggior parte dei medici non aveva mai tentando di invertire il decorso della cardiopatia, sebbene fosse, come è tuttora, la più comune causa di morte. In molti reputavano che le placche di Colesterolo e di altre sostanze che ostruiscono le arterie fino al cuore non potessero regredire. Il metodo tradizionale di rimuoverle era quello di attenderne la progressione fino al punto in cui esse diventavano abbastanza gravi da giustificare un intervento chirurgico di by-pass o di angioplastica.

    All'Università della California, San Francisco, il Dr. Ornish verificò clinicamente la teoria che una dieta efficace, associata con altre modificazioni dello stile di vita, poteva realisticamente essere responsabile di una regressione clinica della cardiopatia. Lo Studioso selezionò pazienti portatori di placche chiaramente visualizzabili angiograficamente, e divise i pazienti in 2 gruppi. La metà dei pazienti costituiva il gruppo di controllo che riceveva il trattamento standard prescritto dai medici ai soggetti cardiopatici. L'altra metà incominciò a seguire una dieta vegetariana nella quale meno del 10% delle calorie totali era fornito dai grassi. A questo secondo gruppo fu anche richiesto di iniziare un programma di esercizio fisico moderato, e fu insegnato a gestire lo stress attraverso varie semplici tecniche. Naturalmente, il fumo non era permesso.

    I pazienti del Dr. Ornish incominciarono a sentirsi meglio quasi subito, e continuarono a migliorare nel corso dell'anno. Prima essi erano costretti a cimentarsi con il dolore toracico lancinante della coronaropatia, ma poi "la maggior parte di loro diventò essenzialmente asintomatica", riporta il Dr. Ornish, "sebbene essi espletassero molte attività, fossero ritornarti a lavorare, e facessero cose che non erano stati in grado di fare, in qualche caso, per anni".

    Non solo i loro livelli di Colesterolo plasmatico apparivano drammaticamente ridotti, ma, dopo un anno, l'82% dei pazienti appartenenti al gruppo che seguiva il programma del Dr. Ornish mostrò un'inversione quantificabile delle ostruzioni arteriose coronariche. Le placche avevano iniziato a dissolversi senza alcun farmaco, alcuna chirurgia, ed alcun effetto collaterale.

    Il gruppo di controllo, che aveva seguito il trattamento medico tradizionale, non mostrò risultati altrettanto buoni. Per la maggior parte dei pazienti, il dolore toracico non era regredito, ma continuava a peggiorare, e le loro placche continuavano a crescere, riducendo il flusso arterioso al cuore mano a mano che i giorni trascorrevano.

    Il lavoro del Dr. Ornish e collaboratori ha reso obsolete le precedenti prescrizioni mediche.

    Molti medici ancora raccomandano le diete a base di "pollo e pesce", sebbene molti Studi abbiano dimostrato che, in generale, i pazienti cardiopatici che seguono cambiamenti dietetici così moderati tendano a peggiorare clinicamente con il tempo. Coloro i quali adottano una dieta vegetariana a basso contenuto di grassi, praticano attività fisica quotidiana, evitano il tabacco, e controllano lo stress, hanno a disposizione le migliori opportunità di invertire il decorso della malattia cardiaca.

    Noi ora abbiamo a disposizione mezzi più potenti per tenere sotto controllo la salute del nostro cuore.
    Riferimenti
    Castelli WP Epidemiology of coronary heart disease: the Framingham study, Am J Med 1984 Feb 27;76(2A):4-12.
    Trout DL Vitamin C and cardiovascular risk factors, Am J Clin Nutr 1991 Jan;53(1 Suppl):322S-325S.
    The Lipid Research Clinics Coronary Primary Prevention Trial The Lipid Research Clinics Coronary Primary Prevention Trial results. II. The relationship of reduction in incidence of coronary heart disease to cholesterol lowering., JAMA 1984 Jan 20;251(3):365-74.
    Pennington JAT Bowes and Church's Food Values of Portions Commonly Used, Harper & Row 1989;New York.
    Salonen JT, Salonen R, Nyyssonen K, Korpela H Iron sufficiency is associated with hypertension and excess risk of myocardial infarction: The Kuopio Ischaemic Heart Disease Risk Factor Study (KIHD), Circulation 1992;85:759-64.
    Schnall PL, Pieper C, Schwartz JE, Karasek RA, Schlussel Y, Devereux RB, Ganau A, Alderman M, Warren K, Pickering TG The relationship between 'job strain,' workplace diastolic blood pressure, and left ventricular mass index. Results of a case-control study, JAMA 1990 Apr 11;263(14):1929-35 Published erratum appears in JAMA 1992 Mar 4;267(9):1209.
    Ornish D, Brown SE, Scherwitz LW, Billings JH, Armstrong WT, Ports TA, McLanahan SM, Kirkeeide RL, Brand RJ, Gould KL Can lifestyle changes reverse coronary heart disease? The Lifestyle Heart Trial, Lancet 1990 Jul;336(8708):129-33.
    Letture Consigliate

    Per avere ulteriori informazioni sulla riduzione del Colesterolo e altri benefici di una dieta vegetariana povera di grassi, PCRM consiglia:
    Foods That Fight Pain by Neal Barnard, MD.
    Eat Right, Live Longer by Neal Barnard, M.D.
    Food for Life by Neal Barnard, MD.
    Dr. Dean Ornish’s Program for Reversing Heart Disease by Dean Ornish, MD.
    The McDougall Plan by John McDougall, MD.

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    Carne per tutti? Il pianeta non regge

    Gli sprechi dovuti alla trasformazione vegetale-animale che rendono gli animali d'allevamento fabbriche di proteine alla rovescia non hanno solo un impatto sull'ambiente, ma anche un grave impatto sociale, sul problema della fame nel mondo.

    Secondo gli ultimi dati della FAO, quelli del 2009, il numero di persone che soffrono la fame, nel mondo, è in costante aumento, e ha superato il miliardo.

    Ma il problema non è semplicemente una scarsa quantità di cibo totale disponibile. Consideriamo alcuni dati.

    L'Etiopia, anche durante la sua peggiore carestia, produceva semi oleosi che esportava per il consumo animale.

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    Il Brasile conta 16 milioni di persone malnutrite. Ed esporta 16 milioni di tonnellate di soia per mangimi animali - 1000 kg di soia l'anno per ogni individuo malnutrito! (Fonte: Database FAO 2001)

    L'economista Frances Moore Lappé, ha calcolato che in un anno, nei soli Stati Uniti, sono state prodotte 145 milioni di tonnellate di cereali e soia. Per contro, sono stati ricavati 21 miloni di tonnellate di carne, latte, uova. Facendo la differenza, si ottengono 124 milioni di tonnellate di cibo sprecato: questo cibo, avrebbe assicurato un pasto completo al giorno a tutti gli abitanti della Terra. Con il solo spreco degli USA! (Fonte: Frances Moore Lappé, "Diet for a small planet", New York, Ballantine Books, 1982, pp.69-71)


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    Se consideriamo le proteine anziché le calorie: un ettaro di terra destinata ad allevamento bovino produce in un anno 66 kg di proteine. Destinando lo stesso terreno alla coltivazione della soia otterremmo nello stesso tempo 1848 kg di proteine, cioè 28 volte di più. (Fonte: J. Andrè, Sette miliardi di vegetariani, Giannone Ed.)

    L'Europa è in grado di produrre abbastanza vegetali da nutrire tutti i suoi abitanti, ma non i suoi animali. Solo il 20% delle proteine vegetali destinati agli animali d'allevamento proviene dall'interno, il resto viene importato dai paesi del sud del mondo, impoverendoli ulteriormente, e sfruttando le loro risorse ambientali. (Fonte: Commissione Europea)
    Oltretutto i prodotti animali che il sud del mondo esporta verso il nord provengono sempre da allevamenti intensivi di pochi ricchi proprietari, o da allevamenti estensivi dei grandi latifondisti, che arricchiscono poche persone, impoveriscono l'ambiente naturale e affamano la popolazione locale.

    I paesi ricchi oggi possono consumare così tanta carne solo perché sfruttano suolo e risorse dei paesi poveri in cui il consumo di carne è minimo.


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    A pagare il costo degli allevamenti intensivi sono innanzi tutto gli animali allevati, ai quali sono imposte situazioni di estrema sofferenza. Negli attuali allevamenti industrializzati, miliardi di animali destinati al macello sono costretti a vivere incatenati o chiusi in gabbie sovraffollate, incompatibili con le loro esigenze fisiologiche, privati della minima libertà di movimento, impediti nella pratica di istinti affettivi e sessuali, mutilati, sottoposti a costanti terapie antibiotiche ed ormonali (sia per prevenire l'esplosione di epidemie che per velocizzare la loro crescita), ad un'illuminazione ininterrotta che impedisce loro di dormire, nutriti con alimenti inadeguati, chimici e innaturali (fino ai casi delle mucche costrette al cannibalismo), costretti a respirare un'aria satura di anidride carbonica, idrogeno solforato, vapori ammoniacali, polveri varie e povera d'ossigeno.
    Gli animali sfruttati in questo modo, oltre a manifestare gravi patologie organiche e psicologiche (galline che si uccidono beccandosi fra loro, cannibalismo della madre verso i piccoli fra i conigli, suini che si divorano la coda), subiscono menomazioni e manipolazioni genetiche.

    Si tenta a volte di arginare l'aggressività degli animali, ad esempio dei maiali, mettendo dei "giocattoli" all'interno dei box, come vecchi copertoni, sui quali gli animali si possono sfogare. Così, anziché rimuovere la causa di stress si "cura" solo il sintomo, l'aggressività.

    Le pecore sono, per ora, le uniche a vivere per lo più all'aperto, ma sono tosate in maniera brutale in pieno inverno, e sono costrette a sopportare i rigori dell'inverno senza la protezione naturale del loro mantello.
    Gli agnellini maschi sono uccisi a poche settimane di vita, specialmente in occasione delle festività pasquali. Inoltre, le pecore sono costrette a figliare continuamente, e non appena sono meno "produttive" vengono macellate.

    Un momento di grande sofferenza per le pecore è quello della tosatura, durante il quale vengono maneggiate molto rudemente dai tosatori, e spesso rimangono ferite durante l'operazione. Nelle razze più pregiate viene procurata una ferita circolare attorno all'ano, in modo che con la cicatrizzazione si crei una zona che separa la lana dall'ano, e la lana non si sporchi.

    L'Italia è uno dei pochi paesi al mondo che consuma carne di cavallo. I cavalli arrivano dai paesi dell'est dopo una vita di duro lavoro, con viaggi estenuanti in condizioni infernali, per venire infine ammazzati nei nostri macelli.

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    Le mucche "da latte" sono selezionate geneticamente ed inseminate artificialmente per produrre quanto più latte possibile. Dall'età di circa due anni, trascorrono in gravidanza nove mesi ogni anno. Poco dopo la nascita, i vitelli sono strappati alle madri (provocando in entrambi un trauma), perché non ne bevano il latte, e rinchiusi in minuscoli box larghi poche decine di cm, in cui non hanno nemmeno lo spazio per coricarsi, e quindi neanche la possibilità di dormire profondamente. Sono alimentati con una dieta inadeguata apposta per renderli anemici e far sì che la loro carne sia bianca e tenera (come piace ai consumatori) e infine sono mandati al macello. La mucca verrà quindi munta per mesi, durante i quali sarà costretta a produrre una quantità di latte pari a 10 volte l'ammontare di quello che sarebbe stato necessario, in natura, per nutrire il vitello. Non sorprende che ogni anno un terzo delle mucche sfruttate nei caseifici soffra di mastite (una dolorosa infiammazione delle mammelle).

    Per aumentare la produzione di latte, la mucca è alimentata con proteine molto concentrate, ma neppure queste spesso sono sufficienti, tanto da provocare lacerazione dei tessuti per soddisfare la continua richiesta di latte (in Inghilterra hanno coniato un termine per definire questa pratica: "milking off the cow's back", ossia mungitura del posteriore della mucca). Ciò provoca una condizione chiamata acidosi, che può rendere zoppo l'animale e ciò ogni anno al 25% delle mucche sfruttate nei caseifici. A circa cinque o sei anni d'età, ormai esausta e sfruttata al massimo, la mucca verrà macellata. La durata della sua vita, in natura, sarebbe stata di circa 20 anni, e può arrivare anche a 40.

    Negli ultimi anni, le cose sono andate peggiorando, e una mucca viene "consumata", nel vero senso della parola, in soli 2-3 anni. A volte succede che le mucche sfruttate per il latte, al momento della macellazione siano così esauste che non riescono nemmeno a stare in piedi, e vengono portate al macello trascinadole di peso e causando loro una sofferenza estrema che si aggiunge a quanto già patito negli anni precedenti. Queste sono le cosiddette "mucche a terra", animali talmente sfruttati da non essere più in grado di stare sulle proprie zampe.

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    Per la produzione di uova, le galline sono costrette a vivere (fino a gruppi di quattro) in gabbie delle dimensioni di un foglio A3. Le loro ali si atrofizzano a causa dell'immobilità forzata; crescendo a contatto della griglia di ferro della pavimentazione, le loro zampe crescono deformi. Per aumentare il profitto, molti allevatori usano razze manipolate geneticamente, destinate a soffrire ulteriormente, a causa di dolorosi disturbi ossei e difetti della spina dorsale.

    Negli allevamenti che producono galline ovaiole, i pulcini maschi (inutili al mercato in quanto non in grado di produrre uova, né adatti alla produzione di carne di pollo) sono gettati vivi in un tritacarne, o soffocati in buste di plastica, o schiacciati in apposite macchine per diventare mangime, mentre a quelli femmina viene tagliato il becco per impedire loro di beccare a morte le compagne. Questa procedura, che comporta il taglio di tessuti teneri simili alla carne che gli umani hanno sotto le unghie, è così dolorosa che molti pulcini muoiono per lo shock. Inoltre, questa operazione lascia spesso scoperti i terminali nervosi presenti nel becco, determinando così un dolore continuo per tutta la vita dell'animale.

    Non appena la produttività delle galline diminuisce sotto il livello fissato, di solito dopo 2 anni, sono sgozzate per diventare carne di seconda scelta.
    I polli "da carne" non godono certo di un trattamento migliore: sono allevati in capannoni affollatissimi, fino a 10-15 polli per metro quadrato, sotto la luce sempre accesa, perché crescano in fretta. A 45 giorni vengono ammazzati, mentre in natura potrebbero vivere fino a 7 anni.

    La stessa sorte tocca ai tacchini. Le oche sono ancora più sfortunate, perché vengono sottoposte al "gavage": immobilizzate, vengono ingozzate con un imbuto fino a che il loro fegato si spappola, per produrre così il famoso "paté de foie gras". Anche i fagiani sono allevati in batteria, per poi essere liberati e poter servire da bersaglio ai cacciatori, o, nella migliore delle ipotesi, ai predatori che si trovano nelle riserve di caccia. Se non uccisi da cacciatori o predatori, muoiono ugualmente dopo pochi giorni perché non sanno procurarsi il cibo da soli.


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    I pesci spesso non sono nemmeno considerati "animali", occupano un gradino ancora più basso nella scala dell'umana compassione. La prova di tale bassa considerazione è che non si dice mai "i pesci", ma "il pesce". Un nome collettivo, a indicare la mancanza di una minima considerazione per la loro individualità e sofferenza.

    Eppure, i pesci provano dolore, molti di loro hanno sistemi nervosi complessi, alcuni, come il polpo, sono particolarmente intelligenti e capaci di compiere attività elaborate.

    Un terzo dei pesci pescati in tutto il mondo viene ributtato in mare dopo morto, perché "di scarto", in quanto appartiene a specie considerate non commestibili, ma, si sa, le reti rastrellano tutto.

    Oltre ai pesci pescati in mare, si va diffondendo sempre di più l'acquacoltura, cioè l'allevamento intensivo di pesci, in cui questi animali vengono tenuti in spazi ristrettissimi, dove soffrono per lo stress e l'infelicità.

    Anche le aragoste vengono allevate in batteria, per finire poi bollite vive nelle pentole dei consumatori.

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    Accade molto frequentemente che gli animali non vengano macellati nel macello più prossimo all'allevamento, ma siano sottoposti a viaggi massacranti, a volte tanto lunghi da attraversare nazioni diverse.

    Gli animali sono stipati negli autocarri, senza alcuna possibilità di riposo, senza bere, senza mangiare, compresi i cuccioli. Molti di loro arrivano a destinazione in pessime condizioni, alcuni muoiono durate il viaggio.

    Nel camion, se un animale cade, spesso non riesce a rialzarsi, viene calpestato e subisce fratture alle zampe o al bacino. Questi animali, se possibile ancora più sfortunati degli altri, mentre tutti vengono spinti verso il mattatoio, rimangono sul veicolo in preda a dolori lancinanti, per poi essere agganciati agli arti fratturati e trascinati fuori. Non vengono sottoposti a eutanasia - gli allevatori non vogliono perdere soldi - ma aspettano il loro turno di macellazione.

    Gli animali che muoiono lungo il viaggio vengono invece buttati in un mucchio, in quella che viene chiamata la "pila dei morti".

    Il trasporto è particolarmente duro per i cavalli poiché, dato che in Italia non ne vengono "prodotti" abbastanza, i macellai si riforniscono nell'Est europeo, dove i cavalli sono ancora usati, e, dopo una vita di lavoro, vengono a concludere la loro esistenza nei mattatoi e sulle tavole del nostro Paese. Per motivi di profitto, gli animali vengono stipati all'inverosimile, mescolando tra loro individui ammalati, debilitati e molto giovani.

    I polli, essendo di poco valore, subiscono un trattamento ancora peggiore, perché se qualcuno muore durante il tragitto, la perdita è minima. Gli autocarri vengono caricati di notte, gli operai devono caricare 25.000 animali nel minor tempo possibile, e quindi gli animali vengono trattati rudemente, lanciati di mano in mano come fossero palloni fino a essere stipati nelle gabbie.

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    La morte degli animali allevati è preceduta da trasporti lunghi ed estenuanti verso i mattatoi. Stipati nei camion, senza potersi muovere per molte ore e spesso molti giorni, senza poter bere o mangiare, soffrendo il caldo o le intemperie, arrivano al macello in gravi condizioni di stress, spesso così debilitati da non riuscire nemmeno ad alzarsi. Qui, a causa della rapidità delle linee di macellazione (talvolta fino a 400 animali l'ora ognuna) spesso non sono storditi in maniera corretta e sono quindi coscienti quando viene loro tagliata la gola, quando sono scuoiati, decapitati, squartati, o quando giungono nell'acqua bollente delle vasche di scottatura. Un operaio di un macello americano, nel corso di un'intervista, ha dichiarato che almeno il 15% degli animali muore ogni giorno "pezzo dopo pezzo", roteando gli occhi e muovendo la testa (alcuni suoi colleghi usano protezioni da hockey per non subire gravi lesioni dagli animali agonizzanti).

    Per i suini il momento del macello è particolarmente penoso, perché il numero delle uccisioni è altissimo, anche 1000 animali in una mattinata. In queste situazioni lo stordimento molte volte non viene ben applicato, e quindi gli animali vengono sgozzati, e poi gettati nelle vasche di acqua bollente, ancora coscienti. Infatti, quando se ne esaminano i polmoni, molto spesso si vede che contengono sia sangue che acqua, il che dimostra che gli animali erano ancora vivi e hanno respirato acqua bollente quando sono stati gettati nelle vasche.

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    L'unica morte davvero indolore renderebbe necessario narcotizzare l'animale, ma questo non è possibile, perché le sue carni devono poi essere mangiate. Ma anche se esistesse un tipo di macellazione senza sofferenza, è chiaro che non sarebbe comunque accettabile, perché è l'idea stessa di uccidere un animale, come se potessimo disporre della sua vita a nostro piacimento, che è totalmente inaccettabile da un punto di vista etico.

    Per quanto riguarda i pesci, la loro morte è ancora peggiore: muoiono asfissiati, in una lenta agonia, muta, perché non siamo in grado di sentire i suoni che emettono. A volte arrivano nei banchi delle pescherie ancora vivi a terminare la loro agonia tra il ghiaccio. I crostacei e i molluschi finiscono bolliti vivi.

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    Biotecnologie e animali

    Le nuove biotecnologie applicate agli animali d'allevamento per l'alimentazione umana creano animali transgenici a cui è stato modificato il patrimonio genetico affinché producano di più, più carne, più latte, o si ammalino di meno.

    Per produrre di più si usa l'ormone somatropo, ottenendo così un ingigantimento degli animali. Le conseguenze negative per gli animali sono sostanzialmente quattro:

    1. l'inserzione di geni estranei nei cromosomi degli animali è del tutto casuale e sovente crea individui non vitali o con malformazioni che causano sofferenza.

    2. Il gene impiantato (transgene) può distruggere parte dei geni naturali dell'animale ospite, e dare di nuovo origine a esseri non vitali. Ad esempio, in un esperimento sono nati dei topi con gravi anomalie, quali la mancanza degli arti posteriori, spaccature nel muso, ed enormi difetti cerebrali.

    3. Non sempre si riesce a fissare la trasformazione voluta, e quindi occorre ripetere centinaia di volte la stessa manipolazione su altri animali, fino a sviluppare con successo la linea desiderata, causando così sofferenze e morte a un numero elevatissimo di animali.

    4. I transgeni potrebbero avere effetti mutanti sui vari organi dell'animale. Per esempio, introducendo il fattore di crescita umano nel codice genetico di un maiale, si sono ottenuti maiali con gravi anomalie, eccessivamente pesanti e non in grado di reggere il proprio peso, oppure artritici, strabici, letargici.

    Vi sono conseguenze anche sulla salute umana: per anni si è lottato contro la somministrazione di ormoni di tipo sessuale agli animali, e questa pratica continua illegalmente tuttora. Con l'introduzione di ormoni attraverso l'ingegneria genetica, si ricade nello stesso problema, e si pongono rischi analoghi a quelli derivanti dall'uso di ormoni in altre forme.

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    Responsabilità dei veterinari negli allevamenti

    (Brano tratto, con il consenso dell'autore e dell'editore, dal libro: "Le fabbriche degli animali: 'mucca pazza' e dintorni", E. Moriconi; Ed. Cosmopolis, 2001 - pagg. 32-33)

    Al processo di "oggettivazione" dell'animale hanno partecipato a pieno titolo i medici veterinari, la cui formazione professionale è stata sempre e solo centrata sullo sviluppo della zootecnia. Gli insegnamenti di base collegano infatti le conoscenze fisiologiche ed etologiche semplicemente al miglioramento delle performances produttive.

    Anche le trasformazioni dell'anatomia degli animali, verificatesi in questi anni, testimoniano come la professione veterinaria abbia avuto un ruolo centrale nella proposizione di sistemi di allevamento più produttivi sulla base del criterio industriale, senza riflettere sulle condizioni fisiologiche ed etologiche degli animali e alle ricadute per questi.

    Come la ricerca medica procede senza soste sul cammino della bioingegneria e lascia ad una riflessione collaterale le questioni bioetiche, così la medicina veterinaria non ha mai considerato importanti le indagini relative al benessere degli animali negli allevamenti intensivi, valutando forse prioritario il raggiungimento di elevati standard produttivi piuttosto che la considerazione del loro stato psico-fisico.

    Così, le ricerche relative all'etologia, cioè alla possibilità di valutare scientificamente il benessere e quindi la sua mancanza, il malessere, non hanno mai trovato applicazione pratica se non nel senso di correggere quelle problematiche che potevano causare danni produttivi.

    Ad esempio, quando negli allevamenti di galline ovaiole si è visto che le condizioni innaturali scatenavano episodi di aggressività tra gli individui, la soluzione proposta dai veterinari è stata quella di mettere agli animali una specie di occhiale che impediva la vista dei vicini riducendo gli episodi di aggressione.

    Solo la ribellione di chi pensa che agli animali vada garantito un minimo rispetto, ha poi imposto l'abolizione di tale apparato, a dimostrazione però che i professionisti si occupano più del guadagno dell'allevatore che del benessere degli animali. Questo non è che un esempio, si potrebbe continuare citando i copertoni introdotti nei box dei suini perché vi sfogassero lo stress accumulato, e via dicendo.

    Le valutazioni etologiche erano lasciate ad un altro ramo della ricerca, per cui da un lato si studiavano le situazioni che inducevano dolore agli animali senza far nulla per ridurlo e dall'altro si continuava a proporre sistemi che servissero ad accumulare guadagno senza nessun altro tipo di considerazione.

    Solo negli ultimi anni, la corrente di pensiero filosofico che chiede un maggior rispetto del diritto degli animali alla non sofferenza sta influenzando una parte di medici veterinari che non accettano più di considerare gli animali come macchine da sfruttare senza tener conto della loro complessità e della loro capacità di provare dolore non solo fisico ma anche psicologico.

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    L'etologia, giudizio oggettivo sul benessere animale

    (Sintesi tratta, con il consenso dell'autore e dell'editore, dal libro: "Le fabbriche degli animali: 'mucca pazza' e dintorni", E. Moriconi; Ed. Cosmopolis, 2001 - pagg. 37-44)

    Nel 1965, il Brambell Report elencava, con particolare riferimento agli animali allevati, le cosiddette "cinque libertà" necessarie per evitare disturbi al "benessere". Agli animali in allevamento si devono cioè concedere le libertà:
    1) dalla sete, dalla fame e dalla cattiva nutrizione;
    2) di avere un ambiente fisico adeguato;
    3) dal dolore, dalle ferite, dalle malattie;
    4) di manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifici normali;
    5) dal timore.
    Come si può notare le "cinque libertà" ricordano bene che il benessere degli animali dipende dal rispetto sia delle esigenze fisiologiche (mangiare, bere, ecc.) sia di quelle etologiche (le caratteristiche comportamentali).

    Le indicazioni più autorevoli, per capire se un animale è in stato di sofferenza, ci sono state fornite dal "Congresso internazionale sul benessere dell'animale industriale" tenutosi in Gran Bretagna nel 1992; in quella sede il "Farm Animal Welfare Council" ha ampliato i concetti del Brambell Report. Purtroppo però, la realtà è ben lontana dal garantire le "5 libertà", come si può vedere confrontando le situazioni reali con i principi espressi.

    La libertà dalla fame e dalla sete, con un facile accesso all'acqua e una dieta che mantenga piena salute e vigore, è totalmente in contrasto con il trattamento cui sono sottoposti i vitelli a carne bianca o le oche destinate alla produzione del paté di fegato.

    Così lo spazio, che negli allevamenti industriali è sempre molto esiguo, mal si concilia con la libertà dal disagio e col diritto a un ambiente appropriato che includa un riparo e una confortevole area di riposo.

    La libertà dal dolore, dalle ferite e dalle malattie attraverso la prevenzione, rapide diagnosi e trattamenti, si scontra con il rifiuto della prevenzione che è scomoda e costosa ad ogni livello così come l'intervento medico-veterinario qualificato: in molte stalle moderne gli animali sono abbandonati per lunghe ore da soli.

    La libertà di esprimere un comportamento normale, mettendo a disposizione spazio sufficiente, attrezzature appropriate e la compagnia di animali della stessa specie, è la libertà più violata negli allevamenti intensivi: i suini sul cemento non possono grufolare, le ovaiole in gabbia non possono razzolare e le vacche da latte non allattano il proprio vitello.

    La libertà dalla paura e dall'angoscia, assicurando condizioni e trattamenti che evitino la sofferenza mentale, è negata dagli spazi di allevamento che rendono impossibile assecondare l'istinto alla fuga e dai ripetuti trasferimenti e trasporti molto stressanti (gli animali come primo istinto di fronte ad un pericolo, qual è per loro la presenza umana, cercano di allontanarsi di uno spazio sufficiente a dar loro sicurezza. Ad esempio: per i cani la distanza di sicurezza è di 6 metri mentre per i bovini è di 12).

    Con l'osservazione si può rilevare che quando l'animale non sta "bene", secondo l'accezione citata, manifesta tutta una serie di comportamenti che si allontanano più o meno dalla norma, così, in relazione alla gravità della situazione in cui si trova, possiamo vedere atteggiamenti e gesti ripetuti, in maniera ossessiva, anche per ore, quali ben noti sono il girare in tondo nelle gabbie o il dilungarsi per molto tempo nella toelettatura, oppure comportamenti ridiretti, ovvero indirizzati in maniera diversa rispetto alla norma. Tra questi si possono rilevare ad esempio il leccare a lungo oggetti presenti nelle gabbie, oppure nel giocare con le sbarre o con altri oggetti che si trovano alla portata dell'animale, oppure vi può essere un aumento dell'aggressività e dell'eccitabilità, o ancora uno stato di abulia e di indifferenza all'ambiente circostante. L'insieme di questi atteggiamenti variati rispetto alla norma dice quanto l'animale sia stressato e quindi soffra della situazione in cui lo si costringe.

    Determinato che l'etologia è lo strumento che ci fornisce il modo per giudicare del benessere e del malessere, occorre discutere su quali siano le professionalità che possono aspirare a farsi "giudici".

    Finora si è sempre lasciata questa incombenza ai medici veterinari perché, conoscendo le condizioni di vita degli animali, erano stati identificati come coloro che potevano preoccuparsi anche del loro rispetto. In verità, la visione prevalente di questi professionisti era quella produttiva, per cui il veterinario interveniva a garantire la salute dell'animale, per salvare la resa produttiva, ma non il benessere. Con la terapia, infatti, si possono risolvere i problemi creati dal malessere, ad esempio lo stress da sovraffollamento, che viene risolto con somministrazione di presidi chimici; questi però curano le conseguenze, cercando di evitare i danni al produttore, non eliminano lo stress, e quindi il malessere dell'animale. Eliminare lo stress sarebbe possibile agendo sulle cause (e non sugli effetti), che discendono direttamente dai sistemi di allevamento; per migliorare veramente e alla radice il benessere sarebbe quindi necessario un intervento per migliorare le condizioni di vita.

    Purtroppo, la specie umana è poco propensa ad accettare le esigenze altrui quando sono in contrasto con i propri interessi economici.

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    Le "regole" della macellazione

    (Brano tratto, con il consenso dell'autore e dell'editore, dal libro: "Le fabbriche degli animali: 'mucca pazza' e dintorni", E. Moriconi; Ed. Cosmopolis, 2001 - pagg. 44-46)

    Si può parlare di benessere degli animali al momento della macellazione?

    Anche se può sembrare un controsenso, o un non senso, è proprio così, per legge. Il decreto legislativo 333/98 recepimento della Direttiva Europea 93/119/Ce recita proprio "Tutela del benessere degli animali durante la macellazione".

    Lo scopo è quello di determinare condizioni minime in un momento così particolare in modo da evitare loro sofferenze "inutili", dice il decreto, chiaramente in un'ottica nella quale la macellazione a scopo alimentare è una sofferenza "utile".

    Le norme prevedono una serie di garanzie legate all'obbligo, per gli addetti ai lavori, di rispettare condizioni minime nel condurre gli animali dai trasporti ai recinti di attesa e fino all'interno del macello, in maniera da evitare loro le sofferenze che potrebbero derivare da comportamenti scorretti, violenti o crudeli. Si cerca in particolare di realizzare dei percorsi all'interno delle strutture nei quali gli animali possano muoversi senza troppe costrizioni in modo tale da escludere percosse o violenze. Arrivano così al luogo dove vengono "storditi", cioè uccisi prima del dissanguamento, senza subire troppe violenze.

    Il problema, riguardo a questo decreto, è il fatto che esso lascia sussistere alcuni particolari metodi di macellazione che inducono dolore e sofferenza. Esso, infatti, benché si ponga il fine di garantire agli animali un trattamento rispettoso nei macelli, lascia persistere comportamenti che significano dolore ed in particolare in tre casi:
    1) la possibilità di effettuare macellazioni senza preventivo stordimento (nelle macellazioni effettuate secondo riti religiosi):
    - negli stabilimenti che hanno il permesso di derogare ad un decreto precedente il numero 286 del 1996, riguardante il controllo sanitario della macellazione,
    - nelle macellazioni familiari presso il domicilio degli allevatori (per le specie avicola e cunicole);
    2) il permanere di sistemi di macellazione oltremodo cruenta quali l'elettrocuzione con elettrodi nell'ano e nella bocca (soprattutto per gli animali da pelliccia);
    3) la possibile utilizzazione di sistemi meccanici per l'uccisione dei pulcini (questo significa la possibilità di usare delle centrifughe meccaniche che "tritano" il pulcino vivo).

    Come si vede il punto delicato è che si permette l'utilizzo di sistemi che, non prevedendo l'uccisione dell'animale prima del dissanguamento, lasciano la possibilità che l'animale muoia dissanguato in piena coscienza e quindi soffra. Chiedere una morte indolore non sembra un obiettivo inutile. Se infatti sappiamo che moltissimi cittadini, la maggioranza, ancora si nutre di alimenti di origine animale ed ha, fondamentalmente, un approccio antropocentrico che porta a considerare gli altri esseri come entità a disposizione degli umani, pure è indubbio che, anche all'interno di queste posizioni, il diritto alla non sofferenza viene unanimemente riconosciuto.

    Sempre più numerose sono le persone che non accettano un comportamento che induca volontariamente dolore agli altri esseri viventi, il rispetto per il dolore è diventato una valenza riconosciuta e deve essere un obiettivo morale per tutti gli esseri umani, non solo per quella parte della popolazione che ha già fatto la scelta più avanzata di alimentarsi senza l'uccisione degli animali. Questa conquista morale dei nostri tempi, che ha valore in sé e impronta tutti i rapporti con gli altri viventi, è un confine raggiunto da cui non sarà più possibile tornare indietro e che pertanto dovrà essere rispettata nell'affrontare qualsiasi problematica relativa ai rapporti con gli animali. Il valore etico del concedere una morte senza sofferenza non può dipendere da altri tipi di considerazioni; pertanto si devono risolvere al più presto le problematiche collegate a quelle macellazioni che inducono dolore e sofferenza per gli animali.

    Il decreto, esaminando i punti sopra citati, lascia la possibilità agli stabilimenti che non abbiano ancora adeguato ed ammodernato le proprie strutture di derogare, cioè di non procedere alle operazioni di stordimento degli animali per i volatili da cortile, i conigli, i suini, gli ovini e i caprini.

    Questo permette comportamenti che significano dolore, angoscia, terrore per gli animali: per chi avesse rimosso il significato reale di tale concessione significa macellazioni condotte su animali ancora vivi e senzienti che si dibattono, gridano, urlano.

    Inoltre si lasciano così in attività strutture obsolete, pericolose per la stessa igienicità delle carni, situazioni dove il degrado delle strutture si accompagna a quello della situazione ambientale, situazioni dove non ci si può certo aspettare un corretto comportamento nei confronti degli animali.

    Un altro punto che indica una scarsa preoccupazione del benessere degli animali è la concessione, nelle macellazioni familiari, di non effettuare lo stordimento ai polli, galline e conigli. Rimane il sospetto che in un'ottica antropocentrica vi siano ancora animali più vicini e più lontani dall'uomo e che per questo i volatili e i conigli siano quelli di cui meno ci si preoccupa. Il dolore e la sofferenza però sono sensazioni comuni a tutti i viventi. Quando si dibattono per sfuggire al dolore, quando gridano e urlano, tutti gli animali manifestano la loro sofferenza allo stesso modo e solo l'insensibilità umana può fare gradazioni in questa scala del dolore.

    Un altro punto critico è rappresentato dal persistere di alcuni sistemi di macellazione, quali l'elettrocuzione con elettrodi introdotti nell'ano o nella bocca, sistema molto utilizzato per gli animali da pelliccia, che possono essere eseguiti senza preventivo stordimento ed espongono gli animali ad acute sofferenze.

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    La macellazione rituale

    (Brano tratto, con il consenso dell'autore e dell'editore, dal libro: "Le fabbriche degli animali: 'mucca pazza' e dintorni", E. Moriconi; Ed. Cosmopolis, 2001 - pagg. 46-52)

    La questione delle macellazioni rituali ha destato in questi ultimi anni molte discussioni e pertanto merita un particolare approfondimento.

    Una realtà dei nostri tempi e del nostro paese, è la commistione sempre più avanzata tra etnie e tra culture di popoli diversi che, essenzialmente per motivi di immigrazione, si sono trovati a vivere insieme. La mescolanza richiede, e richiederà sempre di più, voglia di superare le reciproche diversità per cercare un avvicinamento socio culturale e favorire la convivenza pacifica.

    Nel caso specifico, va però considerato che il confronto chiama in causa un terzo soggetto, gli animali, che non hanno forza per esprimere le loro richieste. Si può ricordare come una conquista basilare dell'uomo occidentale contemporaneo sia stata quella di riconoscere la propria responsabilità, in quanto garante dei diritti degli esseri "senza diritti". Questa posizione chiede che siano rispettati con rigore e con costanza proprio i punti qualificanti di questa nuova visione etica: il diritto degli animali alla non sofferenza.

    Non è questione di dequalificare i principi delle altre culture, perché non si tratta di instaurare paragoni o dar vita ad una gara su quali siano i valori morali più importanti.

    Se il fine è la pacifica coesistenza, non dovrebbe essere così assurdo chiedere la rinuncia a quei comportamenti che contrastano con la morale corrente del paese ospite. Del resto, lo Stato Italiano, relativamente ad altre pratiche culturali, quali la poligamia o l'infibulazione, inaccettabili per la morale corrente, pone un deciso veto.

    Ebbene i diritti degli animali devono essere considerati a tutti gli effetti come una conquista culturale di tutto il mondo occidentale, e il loro diritto alla non sofferenza un confine invalicabile.

    Invece, il decreto 333/98 (vedi articolo Le "regole" della macellazione) permette che le macellazioni, secondo le ritualità religiose, possano avvenire senza preventivo stordimento dell'animale. Anche se questa norma non costituisce una novità, in quanto era già permessa antecedentemente al decreto, pure l'aspettativa di una larghissima parte della cittadinanza era per un cambiamento che tenesse in considerazione le nuove frontiere della sensibilità.

    E' utile ricordare che il Codice alimentare islamico, nel dettare le norme per la macellazione al fine di ottenere carne "Halal", non indica solamente la regola del dissanguamento ma detta varie regole:

    1) il macellatore deve essere musulmano;

    2) la bestia deve essere orientata fisicamente in direzione della Mecca;

    3) il taglio alla gola deve essere eseguito:
    - con una lama affilatissima, che non deve intaccare la spina dorsale e non deve essere ritirata finché non siano stati recisi le arterie carotidi, le vene giugulari, la trachea e l'esofago;
    - con un solo colpo;
    - alla base del collo, se il collo è lungo (cammello, giraffa, struzzo, oca... mentre nella parte più alta del collo se il collo non è lungo (bovini, ovini, caprini...);
    - con la mano destra, mentre la sinistra tiene ferma la testa della
    bestia;

    4) il taglio non deve essere preceduto dallo stordimento della bestia;

    5) la bestia deve essere trattata con rispetto, accarezzata, tranquillizzata, fatta adagiare sul fianco sinistro, in un luogo dove non ci siano tracce di sangue o bestie macellate in precedenza, onde evitare che l'odore del sangue terrorizzi la bestia;

    6) le gambe della bestia vanno legate, ad eccezione di quella posteriore, che deve essere lasciata libera per dare alla bestia la possibilità di muovere l'arto, attività che la tranquillizza;

    7) il taglio deve essere preceduto dalla formula: "Bismillàhi Allàhuàkbar!".

    Dalla semplice analisi di queste regole si evidenzia come almeno alcuni punti prescritti del Codice non potranno in ogni caso essere rispettati.
    Si deve considerare che la iugulazione senza stordimento, così come viene permessa attualmente, si attua in caso di macellazioni che si svolgono in un normale macello.
    Nel macello industriale vengono uccisi molti animali e, pertanto, e inevitabilmente, non sono rispettate le prescrizioni del punto 5 del Codice alimentare islamico, in quanto l'animale, condotto al macello insieme agli altri, non sarà trattato con rispetto superiore ai compagni e soprattutto non potrà essere accarezzato, tranquillizzato e fatto adagiare sul fianco sinistro. Inoltre, quando la struttura è appositamente attrezzata, essa è dotata di una gabbia di ferro che imprigiona l'animale e che, bloccandone i movimenti, contribuisce a terrorizzarlo piuttosto che a tranquillizzarlo. Ugualmente, nel corso delle macellazioni che si susseguono a ritmo elevato, può essere trasgredito anche il punto riguardante il taglio, che deve avvenire con un colpo solo, in quanto si deve considerare che, con la stanchezza dell'operatore, cresce inevitabilmente la possibilità di errori.

    Se il problema è il rispetto della tradizione, allora occorre stabilire se sia necessario rispettarla nella sua totalità o se ad alcune parti si può derogare, in quanto sembra innegabile che oggi, e ancor più nel futuro se si utilizzeranno le gabbie metalliche di contenzione, vengono meno alcuni punti prescritti dal Codice alimentare islamico.

    Quel che oggi succede è che, in pratica, si accetta di derogare al rituale per le parti che hanno lo scopo di arrecare meno sofferenza all'animale, e non si accetta di derogare a quelle che gli provocano sofferenza.

    Le valutazioni sono uguali anche per quanto concerne la macellazione rituale ebraica, che è condotta dall'autorità religiosa e per le quali valgono le stesse perplessità, legate ad una metodica che espone gli animali ad un trattamento doloroso.

    Si sostiene che il rito ebraico e quello islamico rappresenterebbero un sistema di dissanguamento più completo dell'animale, a cuore battente.

    In realtà l'esame di una normale macellazione presenta una situazione diversa e, per quanto concerne il dissanguamento, molto simile nei diversi sistemi. Nella macellazione con stordimento, infatti, l'animale perde la coscienza di sé, e quindi non è più in grado di sentire dolore, ma il cuore continua a battere. Questo fatto determina un completo dissanguamento, come si può rilevare dall'osservazione degli animali durante la macellazione, che si completa nel giro di circa un minuto e mezzo, due minuti, ed il cuore continua a battere quasi fino al termine della fuoriuscita del sangue.

    Gli stessi testi non stabiliscono una netta differenza tra il dissanguamento nei diversi metodi, in quanto le differenze sono impercettibili. Questo sottolinea, ove fosse necessario, il movente puramente simbolico rappresentato dalla macellazione rituale senza stordimento e fa venir meno, quand'anche fosse presentata, la giustificazione di una maggiore igienicità delle carni dovuta alla minore presenza di sangue, perché è un'affermazione priva di fondamento scientifico.

    La pratica, invece, introduce elementi di estrema preoccupazione per tutte quelle persone che hanno a cuore la sofferenza degli animali, in quanto nel momento del taglio della gola si raggiunge uno stato di stress e di sofferenza per gli animali veramente molto intenso. Inoltre, se l'animale è imprigionato nella gabbia, lo stato di tensione aumenta considerevolmente per l'impossibilità di fuggire.

    Se invece l'animale è contenuto in maniera provvisoria può dare luogo a movimenti inarticolati e violenti per contrastare il dolore dovuto al taglio e alla fuoruscita del sangue. In questi casi si può verificare la conseguenza più negativa e impressionante: l'animale può liberarsi, con movimenti convulsi, e deambulare disordinatamente per l'ambiente, perdendo sangue.

    Se il taglio non viene effettuato in modo preciso, come succede quando le macellazioni si susseguono ad un ritmo elevato, e si possono sommare gli sbagli per stanchezza o per necessità di affrettare le operazioni, la morte può essere particolarmente lunga, e può giungere fino ad una decina o più di minuti. Questi due ultimi eventi purtroppo sono piuttosto frequenti.

    In conclusione, la pratica della iugulazione senza stordimento non trova giustificazioni anatomiche o patologhe o anche sanitarie ma si configura essenzialmente come una scelta di tipo rituale.

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    Allevamenti per la produzione di latte

    (Brano tratto, con il consenso dell'autore e dell'editore, dal libro: "Le fabbriche degli animali: 'mucca pazza' e dintorni", E. Moriconi; Ed. Cosmopolis, 2001 - pagg. 52-57)

    Nelle stalle odierne, alle vacche da latte è riservata una condizione leggermente migliore che ad altri animali o ad altre tipologie di allevamento bovino. Le stalle industriali sono solitamente concepite secondo il principio di lasciare libertà agli animali, i quali non sono legati ad un posto fisso. Le stalle sono quindi realizzate per aree: vi è una zona per l'alimentazione, un'altra per la notte formata da giacigli individuali, una zona esterna e infine la sala di mungitura che viene utilizzata quando devono essere munte. All'interno di queste aree, gli animali sono liberi di muoversi.

    Naturalmente si tratta pur sempre di spazi non illimitati ma che consentono comunque una certa possibilità di movimento. Così le bovine possono permanere nei luoghi di volta in volta da loro preferiti, cioè possono stare coricate all'interno dello stabile nelle cuccette, come vengono chiamate le zone per il riposo, oppure nelle aree comuni situate all'esterno (paddock) o all'interno.

    Questo trattamento non è dovuto ad una particolare benevolenza verso gli animali, ma nasce dall'interesse umano. Si è visto infatti che con questi sistemi è possibile allevare anche numeri elevatissimi di animali, oltre i 300, con pochissimo ricorso alla mano d'opera.

    Per l'alimentazione si usano carri distributori automatici, condotti da una sola persona, per le pulizie ugualmente si ricorre a metodi meccanici cosicché le presenze umane sono ridotte al minimo. Le razze utilizzate poi, le frisone, (ovvero le vacche bianche e nere) di ceppo olandese, francese, tedesco, americana, canadese e italiano, sono animali che richiedono poche cure anche al momento del parto. Vi sono infatti alcune razze da carne, segnatamente la piemontese, che anche per la scarsa selezione genetica effettuata, richiedeva molta assistenza al momento del parto, che solitamente avveniva di notte con tutte le conseguenze indotte di necessità di presenza umana. Invece questa razza riesce a partorire da sola richiedendo veramente poche attenzioni da parte dell'uomo.

    Le lattifere sono sfruttate molto intensamente per cui la loro vita produttiva diventa corta; usurata dalla superproduzione di latte, vivono 7 o 8 anni, mentre in natura potrebbero vivere fino a 40 anni. La brevità della vita rende anche meno facile l'insorgere di malattie.

    Lo sfruttamento intensissimo configura uno stato di stress continuo per gli animali: sono sottoposte a super alimentazione perché producano più latte, le mammelle sono spropositatamente gonfie e per questo sono sensibili alle infezioni mastitiche, cosa che richiede il ricorso ad un'attenta prevenzione, che si espleta anche attraverso la somministrazione di farmaci al momento dell'asciutta, cioè quando la mammella non produce più latte alla fine della lattazione e prima del parto successivo. La stessa struttura degli animali è caratteristica: il corpo è di fatto tutto al servizio della mammella, che è enorme, mentre i muscoli degli arti, solitamente molto sviluppati in tutti i bovini sono anormalmente sottosviluppati, proprio perché nella selezione non interessava questo particolare.

    Le mammelle smisuratamente dimensionate, quando sono in piena attività, possono arrivare a dare più di 40 litri di latte al giorno, sono gonfie, tese e pesanti, sicuramente dolenti. Sono il segno evidente di quale sia il ruolo di questi animali: macchine da latte, e nei libri su cui si formano i veterinari, giustamente, un capitolo è dedicato alla valutazione dei parametri di efficienza produttiva, cioè come imparare a distinguere a colpo d'occhio quale sia l'animale che produce di più, mettendo in luce il primo compito di questi animali: dare la maggior quantità di latte possibile. Naturalmente, in quest'ottica, la perdita di naturalità è totale e il bovino diventa veramente una macchina riproduttiva di vitelli che sono indispensabili perché le mammelle producano il latte, dal momento che non si è ancora riusciti a creare una vacca che faccia montagne di latte senza prima partorire un vitello. Forse nel futuro ciò sarà possibile, e potrebbe anche realizzarsi un mito degli zootecnici, riuscire a sostituire totalmente la bovina con una macchina, che, a fronte dell'introduzione di una qualche fonte di energia, produca latte in abbondanza. Questa potrebbe essere una soluzione quasi ideale, perché almeno si giungerebbe al superamento della sofferenza animale, in quanto una macchina, per definizione, non dovrebbe provare dolore.

    Purtroppo la situazione è ben diversa, anzi opposta, e tutto quello che si riesce a fare è trattare gli animali come macchine, negando la loro sofferenza e la loro identità di esseri viventi. Essi vengono considerati oggetti che a fronte di un certo investimento debbono produrre ricavi e guadagni certi. Così le eventuali malattie, quali le mastiti, l'infiammazione della mammella, molto frequenti poiché si tratta di un organo intensamente sfruttato, o anche l'infiammazione del piede, altro evento patologico comune in queste tipologie di allevamento, non sono valutate per la sofferenza che inducono, ma solo per una possibile perdita di rendimento, per il calo della produzione lattea e per i costi da affrontare per le cure.

    Ormai queste bovine non allattano più il proprio vitello e sono tutte sottoposte alla mungitura meccanica, che deve essere controllata solo perché, se qualcosa non funziona bene, può indurre mastite causando la perdita di guadagno. Poco importa se la mungitura sia più o meno dolorosa, è solo importante che non si creino le condizioni per una diminuzione della resa lattea.

    Nelle stalle industriali si verifica sovente una condizione ambientale negativa, dovuta alla struttura stessa e alla cattiva manutenzione. Nel reparto dove gli animali sono liberi di circolare, definito, con un termine discendente dagli allevamenti di cavalli, "paddock", si possono verificare dei ristagni di acqua mescolata alle deiezioni. Questi reparti infatti o sono cementificati o sono di semplice terra. Detto che la terra è senz'altro più confacente alla struttura del piede rispetto al cemento, si deve ricordare che la pulizia di questo reparto avviene meccanicamente, nel caso del cemento con dei raschiatori metallici che due volte al giorno percorrono tutta la superficie asportando le deiezioni e le urine, nel caso del semplice terreno queste sono asportate periodicamente con l'ausilio di trattori. Il punto critico è dovuto al fatto che in caso di pioggia eccessiva e di scarsa manutenzione, cioè di intervalli troppo lunghi nelle pulizie, si forma un vero e proprio lago, profondo anche alcune decine di centimetri nel quale le vacche sono obbligate a stazionare con le zampe a bagno anche fino allo stinco. Si tratta di una situazione che non è certo favorevole perché, il lungo contatto con l'acqua, può indurre delle malattie ad esempio l'infezione all'unghia del piede.

    Sempre e solo per motivi di maggior guadagno, i bovini sono stati i primi animali ad essere interessati dall'ingegneria genetica. Essi infatti hanno conosciuto per primi l'applicazione della tecnica del trapianto embrionale. In pratica, quando con la selezione normale si riusciva a far nascere una bovina di particolare pregio, questa veniva inseminata da un toro di altrettanto pregio, non prima però di aver provocato lo sviluppo di un numero elevato di cellule uovo: in questo modo con una sola fecondazione si dava inizio ad un alto numero di embrioni, anche più di dieci. Dopo pochi giorni gli embrioni venivano prelevati e introdotti in altre femmine che portavano a termine la gravidanza facendo nascere vitelli che non erano propriamente loro figli. Un allontanamento dalla natura che solo la visione sempre più meccanicistica degli uomini porta a non considerare come importante.

    In verità, la riduzione ad oggetti di esseri viventi comporta dei cambiamenti nell'etologia degli animali che comporterà delle conseguenze difficilmente prevedibili. Nel campo dei bovini, ad esempio, un certo tipo di selezione ha già fatto sì che alcune razze partoriscano con maggiori difficoltà di altre, e la fecondazione artificiale ha cambiato i cicli sessuali di molte bovine che non manifestano più, come avviene in natura o al pascolo, i segni dell'estro ma sono sempre più frequenti i casi di "calori silenti" cioè senza i segni fisiologici.

    Un altro elemento che determina una perdita di naturalità è legato all'alimentazione. I bovini si erano sviluppati come erbivori e mangiavano essenzialmente erbe. Tra l'altro, questa loro caratteristica e la scarsa adattabilità a cibarsi di altri elementi, come le foglie degli alberi, è stata probabilmente causa del ritardo del loro addomesticamento, avvenuto molto tempo dopo quello delle pecore e delle capre, che, più rustiche, si adattavano a cibarsi di alimenti di minor valore. Gli erbivori oggi, sono stati obbligati ad alimentarsi in maniera del tutto innaturale. Negli allevamenti industriali, le "macchine da latte" non possono più nutrirsi di erba o di fieno, bensì sono costrette ad accettare quello che viene loro offerto: attualmente il cibo più comune è "Unifeed", che tradotto dall'inglese significherebbe "piatto unico".

    Gli "zootecnici" hanno deciso cioè, che il modo migliore perché gli animali crescano e costino poco è quello di mescolare tutto insieme l'alimento: l'insilato (cioè il mais tritato e conservato in silos), il mangime, e gli integratori vari. Quest'unica poltiglia alimenta oggi le bovine lattifere. In questo modo è anche più facile somministrare qualsiasi materia, dai grassi alle proteine animali. L'alimentazione è causa di grandi problemi: si pensi al caso di "mucca pazza" che è nata proprio dagli alimenti che sono stati somministrati, cioè le pecore morte di Scrapie. Il fatto che i bovini siano "di bocca buona", cioè capaci di consumare qualsiasi tipo di alimenti, fa di loro degli spazzini perfetti. Questa caratteristica, collegata al bisogno di somministrare con la dieta sostanze in grado di sostenere il contenuto proteico e di grassi necessari perch&ecute; il latte non perda le sue caratteristiche ne fa degli ipotetici riciclatori delle sostanze più eterogenee.

    Tutto nasce dalle super produzioni: per sostenere il grasso e le proteine necessarie alle grandi produzioni di latte, occorre integrare la dieta. Se però, invece di materie prime di qualità si usano scarti di poco valore, il guadagno diventa maggiore. Nascono così le "idee" di cibare gli erbivori con le carcasse delle pecore morte per dare più proteine oppure di dare grassi "alla diossina" perché economici e rispondenti allo scopo di "grassare" il mangime. Oggi anche illustri professori magnificano le doti dei bovini come riciclatori di rifiuti, come se la soluzione del problema principale delle odierne società consumistiche, i rifiuti, si potesse risolvere in questo modo. Naturalmente, come sempre, tutto questo significa una violenza agli animali che, nati erbivori, sono obbligati ad una dieta carnivora.

    Una violenza ancora maggiore è quella riservata ai vitelli, ai figli cioè delle bovine lattifere. Appena nati, sono già un peso, in quanto si nutrono del prezioso latte che deve essere venduto per procurare il guadagno ai conduttori, così, dopo pochissimi giorni, sono allontanati dalla madre e rinchiusi in una piccola gabbia, sovente all'aperto e quindi al freddo in inverno e al caldo in estate. Nella gabbia sono alimentati con latte in polvere, costituito solo in minima parte da siero di latte, quello che avanza dalle lavorazioni casearie che danno origine al formaggio, integrato da grassi e proteine di vario tipo, costituiti da cereali o da materie di scarto.

    Il fatto di essere allontanati subito dalla madre procura certamente una sofferenza, sia a loro sia alla madre, dopo pochi giorni faranno un altro viaggio per andare in un allevamento da ingrasso dove vivranno sei mesi in uno stretto box in cui non potranno nemmeno coricarsi. Solo pochi fortunati scappano a questa sorte. Sono alcune delle figlie che dovranno formare la rimonta, cioè la parte destinata a diventare manza e poi vacca, ad essere ingravidata per dare latte e altri vitelli. Certamente faranno le riproduttrici le figlie di alta genealogia, nate dal trasferimento di embrioni, perché tante spese si possono recuperare solo se esse diventeranno delle madri in grado di continuare il ciclo. Questi vitelli, dopo il primo allontanamento dalla madre, vengono spostati nei box all'interno delle stalle dove incominceranno la vita che le porterà ad essere delle riproduttrici di valore. Vivranno, dopo i primi mesi, insieme a tutte le altre bovine adulte: una specie di gineceo. Quando andranno per la prima volta in calore, saranno inseminate artificialmente ed inizierà la loro carriera produttiva, e vivranno con le altre vacche lattifere.

    Tutta la vita delle vacche da latte rappresenta una continua violenza da parte dei conduttori che non si curano troppo delle loro esigenze. Certo si tratta di violenze subdole, non apparenti. Nei capannoni luminosi e quasi asettici, con ampi volumi e superfici a disposizione non è facile capire dove si cela la violenza, perché si è abituati a vederla solo sotto forma di maltrattamento manifestato da percosse o ferite. Invece oggi la sofferenza è mistificata, nascosta dalle strutture moderne ed efficienti.

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    I pesci: la loro vita e la loro morte nel mare e negli allevamenti


    (Articolo tradotto dall'inglese tratto da: www.FishingHurts.com)

    "Ora posso guardarti in pace; ora che non ti mangio più"
    -- Franz Kafka ad un pesce
    I pesci sono animali affascinanti

    Anche se sembrano molto diversi da noi, i pesci in realtà sono animali comunicativi e sensibili. Senza l'aiuto di un equipaggiamento sofisticato, tuttavia, è facile lasciarsi sfuggire la complessità di questi animali acquatici.

    Jacques Cousteau una volta ha chiamato gli oceani "il mondo silenzioso" e, per anni, molti scienziati hanno concordato con lui. Ma quando un ricercatore del Marine Biological Laboratory di Woods Hole, Massachussets, ha portato con sé durante un'immersione un microfono appositamente modificato, è stato "travolto dai suoni". Per esempio, le cernie abbaiano quando scorgono un predatore, i ciclidi emettono dei grugniti quando si accoppiano e i pesci hamlet emettono persino dei gridolini durante l'orgasmo.

    Altri, come i pesci "elettrici" dell'Africa o del Sud-Americacomunicano trasmettendo dei segnali elettrici.

    I pesci hanno vibrisse sulla schiena che registrano vibrazioni e campi elettrici, ed hanno papille gustative nella gola, così come nel naso e nelle labbra. Usano la bocca più o meno come noi usiamo le dita, per afferrare ed esplorare gli oggetti, per raccogliere cibo, costruire rifugi e prendersi cura dei piccoli (quando avvertono un pericolo vicino, alcuni pesci aprono la bocca per permettere ai piccoli di nascondersi all'interno). Di fatto, la bocca dei pesci è così sensibile agli stimoli che il dolore che provano è particolarmente acuto.

    I pesci provano dolore

    Da: Fox, Michael W., D.V.M., Ph.D., "Do Fish Have Feelings?," The Animals' Agenda, luglio/agosto 1987, pagg. 24-29.

    Anche se non urlano quando provano dolore ed angoscia, il loro comportamento di per sé è sufficiente a dimostrare la sofferenza che provano quando sono presi all'amo od intrappolati in una rete. Lottano, nel tentativo di scappare, e, così facendo, dimostrano di avere la volontà di sopravvivere.

    E' stato dimostrato che i pesci (come gli altri animali vertebrati, inclusi gli esseri umani) hanno un sistema molto sviluppato che li aiuta a proteggersi dal dolore intenso - dolore che può mettere a rischio la loro vita se, in seguito a qualche ferita, quale, ad esempio, quella che può essere causata da un grosso predatore, fossero del tutto impossibilitati a muoversi. Questo sistema rilascia delle sostanze naturali simili agli oppiacei (encefaline ed endorfine) quando l'animale è ferito. Proprio la presenza di questo sistema dimostra la loro capacità di provare dolore, altrimenti non avrebbe ragione di esistere.

    Secondo il ricercatore olandese John Verheijen ed i suoi collaboratori, il dolore che risulta da una ferita causata da un amo, è dovuto più alla paura che alla ferita. Questa conclusione deriva da studi sul comportamento delle carpe prese all'amo. Alcuni dei pesci allamati sono stati trattenuti con una lenza senza ardiglione, altri con una lenza con ardiglione. Negli esperimenti descritti nel numero di New Scientist del 2 aprile 1987, si osserva che i pesci catturati con una lenza senza ardiglione hanno ricominciato a mangiare poco dopo essere stati liberati, mentre quelli catturati con l'ardiglione hanno in seguito rifiutato il cibo per un notevole periodo di tempo.

    Dopo essere stati presi all'amo i pesci scattavano in avanti, si tuffavano, sputavano e scuotevano la testa come se stessero cercando di sputare del cibo. Dopo alcuni minuti dalla cattura, la carpe hanno cominciato a mostrare un tipo di comportamento chiamato "spitgas" (sputa gas), il prolungato sputare gas dalla vescica natatoria, che ha causato, dopo la loro liberazione dall'amo, un improvviso affondamento.

    In altri esperimenti sono stati usati stimoli elettrici per produrre stimoli dolorosi più precisi; dopo alcuni minuti di esposizione le carpe cominciavano a sputare gas ed affondare. Verheijen ha affermato: "Il ritardo che intercorre tra lo stimolo doloroso e le risposte di spitgas ed affondamento indicano una serie di processi biochimici e fisiologici in atto associati alla paura."

    NdT: Nonostante questi esperimenti siano del tutto condannabili dal punto di vista etico, e le azioni dei ricercatori (o meglio, torturatori) ingiustificabili, essi dimostrano senza dubbio che i pesci provano dolore e paura, come tutti gli altri animali.



    Da: Lord Medway, et. al., "Report of the Panel of Enquiry Into Shooting and Angling," sponsorizzato dalla Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals, 1979.

    Forse ci sono ancora persone che sostengono che non possiamo provare con certezza assoluta che gli altri vertebrati, a parte l'uomo, provino dolore. Noi, comunque, concludiamo che, se alcuni di essi provano dolore, questo suggerisce che tutti i vertebrati (inclusi i pesci), attraverso la mediazione di processi neurofarmacologici simili tra loro, possano provare sensazioni simili a un dolore più o meno intenso in risposta a stimoli nocivi.

    L'apparente universalità, nei vertebrati, delle basi neurofarmacologiche per la percezione degli stimoli dolorosi (e piacevoli) non ci permette di concordare con coloro che riconoscono una differenza in questa funzione tra organismi "a sangue caldo" e "a sangue freddo".

    Tutti i generi di amo causano danni ai tessuti quando si agganciano alle carni e, parlando in termini medici, provocano una ferita.

    Le regole della pesca sportiva o pesca al colpo spesso richiedono che il pesce venga trattenuto (in acqua) per un prolungato periodo di tempo in una nassa ed in seguito esaminato, pesato e spesso fotografato (in aria) prima di essere finalmente liberato. Tutte queste procedure aumentano le probabilità di provocare ferite al pesce.

    I tessuti di un pesce, quando viene tolto dall'acqua, sono soggetti, in aria, ad una pressione fortemente ridotta e di natura diversa da quella a cui sono soggetti in acqua. Di conseguenza vi sono delle gravi alterazioni nei vari sistemi periferici che regolano la pressione linfatica e sanguigna, e la respirazione. La perdita di sangue tende ad avvenire dalle branchie e, anziché disperdersi, il sangue coagula e riduce l'effettiva superficie respiratoria.

    Più significativi sono gli effetti dell'essiccazione, in particolare della manipolazione della pelle e delle branchie. La superficie esterna del pesce non consiste di scaglie, come comunemente si crede. Le scaglie sono localizzate all'interno del derma, o strato medio della pelle. In superficie c'è l'epidermide, con la sua copertura di muco.

    L'epidermide è un tessuto trasparente molto delicato che provvede all'impermeabilizzazione, una parte essenziale del controllo fisiologico dell'equilibrio tra il pesce ed il proprio ambiente. Costituisce anche la barriera tra il pesce e l'ampia varietà di microrganismi che causano malattie che si trovano nell'acqua. Manipolare un pesce, tenendolo in mano o in una nassa per rimuovere l'amo, provocherà quasi certamente dei danni a questa delicata pellicola. Inoltre, il tenere un pesce avvolto strettamente in un panno asciutto causa gravi danni all'animale, poiché rimuove l'epidermide da ampie parti del corpo.

    "Giocare" per un tempo prolungato con un pesce, specialmente se poi viene rimesso in acqua, è riprovevole. Quando i pesci teleostei vengono tormentati e costretti a lottare fino all'esaurimento, fanno un ampio uso del loro sistema muscolare "bianco", che differisce dal muscolo scheletrico rosso dei vertebrati più grandi per il fatto che è anaerobico e, anche se molto efficiente sui tempi brevi, quando esausto provoca un grande accumulo di acido lattico, per il cui smaltimento il sistema muscolare è costretto a rimanere in uno stato di affaticamento prolungato. Un pesce completamente esausto sarà perciò incapace di muoversi per diverse ore dopo la cattura e il rilascio. Durante questo periodo di tempo sarà a rischio di attacchi di predatori o di ferite provocate da oggetti inanimati presenti nell'ambiente.



    Da: Dunayer, Joan, "Fish: Sensitivity Beyond the Captor's Grasp," The Animals' Agenda, luglio/agosto 1991, pp. 12-18.

    I pesci gridano sia per il dolore che per la paura. Secondo il biologo marino Michael Fine, la maggior parte dei pesci che producono suoni "vocalizzano" quando vengono colpiti, intrappolati o inseguiti. Durante esperimenti condotti da William Tavolga si è scoperto che i pesci rospo brontolano quando subiscono uno shock elettrico. Di più, essi cominciano molto presto a brontolare alla sola vista di un elettrodo.
    Bulldozer del mare: come il pesce arriva dall'alto mare al vostro supermercato.

    L'industria della pesca a strascico sta spazzando dagli oceani la vita marina ad un ritmo allarmante. 13 tra le 17 maggiori zone di pesca mondiali sono impoverite o si stanno velocemente svuotando. Le restanti 4 sono sovrasfruttate o sfruttate completamente.

    Oggigiorno l'industria commerciale del pesce utilizza enormi pescherecci "industriali" dalle dimensioni più grandi di un campo da calcio, ed impiega sofisticati strumenti elettronici e comunicazioni via satellite per localizzare i banchi di pesce (le società più grandi fanno uso addirittura di aerei ed elicotteri!). Reti enormi, a volte estese per miglia, si dipanano nell'oceano, inghiottendo tutto e tutti, incluse tartarughe e uccelli marini.

    Un tipo di rete è la rete ad aggiramento, che viene issata e chiusa come un sacco. La caccia con questo tipo di reti al tonno dalle pinne gialle ha sollevato l'opinione pubblica in difesa dei delfini intrappolati assieme ai tonni che nuotavano sotto di loro. E i tonni? Sebbene il tonno non abbia il sorriso di Flipper, soffre nello stesso modo. Gli esplosivi subacquei utilizzati per ammassare i delfini provocano terrore e dolore anche ai tonni e le onde d'urto provocate dalle detonazioni possono lesionare la vescica natatoria dei pesci.

    I pescherecci trainano enormi reti nell'acqua, costringendo tutti i pesci sulla loro strada ad ammassarsi verso le estremità chiuse. Per ore, i pesci intrappolati sono strizzati e scossi, assieme a rocce intrappolate nella rete e a detriti oceanici. Lo scrittore William Warner, descrivendo una retata da lui osservata, ha detto: "Il rotolamento prolungato ed il trascinamento all'interno della rete avevano portato i pesci a cozzare l'uno contro l'altro e a desquamarsi reciprocamente. I loro fianchi infatti erano completamente graffiati e grattati."

    Quando vengono issati dalle profondità marine, i pesci subiscono una dolorosa decompressione. Spesso, l'elevata pressione interna rompe la vescica natatoria, causa la fuoriuscita dei bulbi oculari e spinge l'esofago e lo stomaco fuori dalla bocca.

    I pesci più piccoli, come la passera di mare, sono normalmente gettati su letti di ghiaccio tritato: la maggior parte di questi pesci soffoca o viene schiacciata a morte da quelli che li seguono. I pesci più grandi, come il merluzzo, vengono gettati direttamente sul ponte. Il testimone oculare William MacLeish descrive così la suddivisione del pescato: l'equipaggio colpisce il pesce con corti bastoni acuminati chiamati pickers, "gettando merluzzi da una parte e tonni dall'altra". Successivamente la gola e il ventre dei pesci vengono aperti. Nel frattempo il pesce non desiderato (bycatch), che a volte costituisce la maggior parte del pescato, viene scagliato fuori bordo spesso per mezzo di forconi.

    Ogni giorno i pescatori possono deporre fino a 60.000 chilometri di reti nell'alto Pacifico, e reti ancorate nelle acque costiere.

    Reti di plastica appesantite sembrano appese come tende, fino ad una profondità di 10 metri. Impossibilitati a vedere la rete, i pesci vi nuotano dritti dentro. A meno che non siano molto più piccoli delle maglie, i pesci riescono ad infilare solo la testa. Quando tentano di uscire dalla rete rimangono intrappolati con le branchie o le pinne. Molti dei pesci soffocano; altri lottano talmente disperatamente da morire dissanguati.

    Dal momento che questo particolare tipo di rete viene lasciato incustodito a lungo, i pesci intrappolati possono soffrire per giorni. Alcune industrie di pesca cacciano ancora i grandi pesci di valore (pesce spada, tonno, squalo) per mezzo di arpioni o li agganciano individualmente. I pesci di grandi dimensioni sono catturati per mezzo di palamiti con centinaia di migliaia di ami innescati, che vengono srotolati dalle navi fino a 40 chilometri di lunghezza.

    E non è tutto! Nel processo di macellazione di miliardi di animali marini, i pescherecci scaricano negli oceani anche:
    450.000 contenitori di plastica,
    25 milioni di chili di materiale plastico per imballaggi, e
    150 milioni di chili di reti da pesca di plastica.
    Le fabbriche di pesce

    "Non ci piace quello che Madre Natura ci passa. Questa è una fabbrica di pesce." --Bill Evans, vice presidente di Mariculture Systems Inc., una azienda produttrice di salmoni (Citazione tratta dal The New York Times del 1 Marzo 1997)

    L'Acquacoltura (l'allevamento di pesci in un ambiente controllato) è diventata un'industria da svariati milioni di dollari. Quasi metà dei salmoni, il 40% dei molluschi ed il 65% dei pesci di acqua dolce consumati al giorno d'oggi, trascorrono la maggior parte della loro vita in cattività. Il National Fisheries Institute (Istituto Nazionale delle Industrie della Pesca) definisce l'acquacoltura "uno dei settori dell'industria della produzione di cibo con la più rapida crescita a livello mondiale".

    Strappati via dal loro ambiente naturale, i pesci allevati nelle "acquafattorie" vengono rinchiusi in vasche poste all'interno di costruzioni in acciaio. Sistemi ad elevata portata ed alta tecnologia controllano l'afflusso di cibo, luce e la stimolazione della crescita. Farmaci, ormoni e le tecniche dell'ingegneria genetica vengono utilizzati per accelerare la crescita e modificare il comportamento riproduttivo degli esemplari.

    Per dimostrarsi redditizie, le acquafattorie devono allevare un numero elevatissimo di animali in ambienti ristretti. Questo sovraffollamento provoca danni alla testa ed alle pinne dei pesci e causa un anomalo accumulo di stress negli animali che risultano così facili prede di malattie epidemiche. Di conseguenza, per mantenere sotto controllo la proliferazione dei parassiti, le infezioni di epidermide e branchie, ed altre malattie tipiche dei pesci di allevamento, i tecnici delle acquafattorie pompano massicce dosi di antibiotici e sostanze chimiche nell'acqua delle vasche. Una delle sostanze chimiche utilizzate per eliminare i pidocchi di mare, i Dichlorvos, è altamente tossico per tutte le forme di vita marina e può provocare l'infarto nei salmoni.

    L'acquacoltura stravolge il comportamento naturale e l'istinto dei pesci. In natura, la migrazione dei salmoni dall'acqua dolce all'acqua di mare avviene gradualmente, mentre nelle acquafattorie il brusco e violento cambio di habitat provoca un trauma tale da causare la morte di quasi il 50% per cento degli esemplari. Molti pesci mostrano segni evidenti di frustrazione e stress, come, ad esempio, il saltare continuamente fuori dall'acqua.

    Il momento della macellazione porta ulteriori traumi. I pesci vengono spesso privati del cibo nei giorni o addirittura nelle settimane che precedono la macellazione, allo scopo di ridurre la contaminazione dell'acqua durante il trasporto. Alcuni pesci vengono uccisi senza essere nemmeno storditi; le loro arcate branchiali vengono tagliate e vengono lasciati sanguinare fino alla morte, in preda a convulsioni ed altri evidenti segni di sofferenza. In altri casi gli animali vengono uccisi semplicemente prosciugando l'acqua dalla vasca mandandoli incontro ad un lento soffocamento.
    Il disastroso impatto sull'ambiente dell'acquacoltura

    L'allevamento di una tonnellata di pesce richiede otto tonnellate d'acqua. La produzione intensiva di gamberi richiede una quantità d'acqua fino a 10 volte superiore.

    Secondo la rivista Science, un allevamento di salmoni di un ettaro produce una quantità di rifiuti paragonabile ad una città di 10.000 persone. Si è constatato che gli allevamenti di salmone della Colombia Britannica producono la stessa quantità di rifiuti prodotta da una città di mezzo milione di persone.

    Le fattorie di acquacoltura scaricano i rifiuti, pesticidi ed altre sostanze chimiche direttamente nelle acque costiere, ecologicamente fragili, distruggendo così l'ecosistema locale. Inoltre, gli allevamenti di Acquacoltura che allevano i pesci direttamente in zone di acque libere opportunamente recintate, distruggono fiorenti habitat naturali sovraccaricandoli ben al di là della loro capacità. I rifiuti organici prodotti dai pesci possono formare enormi strati di fanghiglia verde sulla superficie dell'acqua, impoverendo così di ossigeno le acque stesse ed uccidendo gran parte delle forme di vita in esse contenute.

    In Brasile la devastazione provocata dall'Acquacoltura ha modificato il clima locale a tal punto che alcuni allevamenti sono stati costretti a chiudere i battenti.

    Inoltre, nonostante i pescicoltori amino descrivere l'acquacoltura come un'alternativa all'impoverimento della popolazione ittica, molte delle specie allevate, sono in effetti predatrici, come ad esempio il salmone ed il gambero, e devono pertanto essere alimentate con pesci oceanici. Sono necessari 2.5 chili di pesce oceanico per produrre solo mezzo chilo di pesce allevato.
    L'acquacoltura danneggia anche gli uccelli

    Gli uccelli che si nutrono di pesci sono attirati verso gli specchi d'acqua dell'acquacoltura che rappresentano una fonte di cibo. Piuttosto che utilizzare misure incruente per mantenere gli uccelli lontano dai pesci, come ad esempio coprire gli specchi d'acqua con delle reti, molti pescicoltori semplicemente uccidono gli uccelli.

    Lo U.S. Fish & Wildlife Service (USFWS), che rilascia le licenze che consentono l'uccisione degli uccelli, non ha messo in atto alcun meccanismo per assicurarsi che i pescicoltori rispettino effettivamente i limiti stabiliti dalle licenze per quanto riguarda numero e specie degli uccelli che possono essere cacciati.

    Quando la National Audubon Society ha ispezionato i siti di acquacoltura, sono state individuate estese fosse comuni contenenti cadaveri di uccelli in numero molto superiore a quanto consentito dalle licenze dell'USFWS.

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    Scelta economica

    Nel mondo, in media, il 50% della forza lavoro è impiegata in agricoltura, con grandi variazioni da un paese all'altro: il 64% in Africa, il 61% in Asia, il 24% in Sud America, il 15% nell'Europa orientale e negli stati ex URSS, il 7% in Europa occidentale e meno del 4% in Canada e USA.

    Lo sviluppo tecnologico fa diminuire la forza lavoro necessaria ed il prezzo delle materie prime, ma solo per economie di scala. I piccoli proprietari non possono permettersi i grossi investimenti richiesti da questo genere di agricoltura, e si assiste quindi alla continua diminuzione delle aziende agricole a conduzione familiare e all'affermarsi di poche grandi imprese.

    Mentre nel passato vi era una simbiosi tra la coltivazione della terra e l'allevamento di animali, a partire dagli anni '50-'60 si è sviluppata in Europa (sulla scia di quanto avveniva negli Stati Uniti) la zootecnia intensiva, in cui gli animali vivono in grandi capannoni senza più alcun legame con la terra, e i mangimi vengono acquistati all'esterno, spesso anche da altri continenti.

    Le tecnologie che hanno consentito questa trasformazione in allevamenti "senza terra" sono state: l'introduzione dei mangimi complessi e integrati, un'unica miscela di sostanze nutritive e farmaci; la realizzazione di strutture più razionali e igieniche; l'uso della chimica negli allevamenti, sotto forma di farmaci, vaccini, antiparassitari, che vengono somministrati agli animali non quando necessari, ma costantemente, come forma di prevenzione.

    I prodotti della zootecnia costano poco sul mercato, ma se la produzione avvenisse in modo sostenibile (dal punto di vista ambientale, della salute del consumatore, e del benessere degli animali), i costi sarebbero almeno triplicati. Va considerato che l'attuale sistema non sopravvive senza le sovvenzioni pubbliche: quello che il consumatore non spende al momento dell'acquisto, lo spende quando paga le tasse, in forma di sovvenzioni agli allevatori.

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    I numeri: quanti animali allevati

    In Italia i lavoratori del settore della zootecnia sono 700.000, considerando allevamenti, macelli, industrie di trasformazione, concerie, a cui vanno aggiunti 15.000 addetti alla pesca.

    Più l'allevamento è intensivo e causa di sofferenza per gli animali, meno addetti richiede: per i polli industriali, ad esempio, è sufficiente un addetto ogni 100.000 animali. Gli allevamenti si concentrano soprattutto in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto.

    In Italia si allevano 9 milioni di bovini, 9 milioni di suini, quasi 13 milioni tra ovini e caprini, 500 milioni di polli "da carne", 50 milioni di galline ovaiole, 100 milioni di conigli e centinaia di milioni di altro pollame (galline faraone, tacchini, quaglie, ecc.).

    In Europa, i numeri ovviamente crescono: 90 milioni di bovini (di cui 30 milioni di vacche), 118 milioni di suini, 250 milioni di galline ovaiole.

    In tutto il mondo: 1 miliardo e 300 milioni di bovini, 2 miliardi e 700 milioni di ovini e caprini, 1 miliardo di suini, 12 miliardi di polli e galline e altro pollame.

    Per rendere meglio l'idea: il 24% della superficie terrestre è occupato, direttamente o indirettamente, da bovini. In Australia, la popolazione bovina supera quella umana del 40%. In Sudamerica ci sono mediamente nove vacche ogni dieci persone.

    Ogni anno in Italia si macellano circa 4.700.000 bovini di cui la metà italiani e la metà importati.

    Nord, Centro e Sudamerica producono il 43% di tutta la carne bovina del mondo. L'Europa occidentale il 17%, la Russia il 18%.

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    L'accentramento della proprietà

    Spesso, quando si chiede una riforma nel campo dell'allevamento, o si chiede ai cittadini di consumare meno carne, ci si sente rispondere col ricatto dei "posti di lavoro" a rischio. In realtà la vera minaccia per l'occupazione proviene proprio dal sistema di allevamento intensivo, che riduce il numero delle piccole imprese a favore di quelle più grandi, che richiedono meno manodopera.

    In Italia, solo alcuni allevamenti di razze bovine o ovine autoctone, o di vacche da latte, è di proprietà degli allevatori stessi.

    La maggior parte degli allevatori lavora in soccida (non possiede cioè gli animali che alleva). Il 90% dei maiali sono allevati in questo modo e il pollame è di proprietà di pochi grandi industriali che sono anche proprietari di tutta la filiera produttiva.

    Dato che il guadagno con questo genere di lavoro non è molto elevato, spesso gli allevatori hanno un secondo lavoro, e questo fa sì che il tempo che dedicano alla cura degli animali sia troppo esiguo, e gli animali vengano spesso lasciati sporchi e senza cure.

    L'accentramento della proprietà si verifica perché, in questa forma di allevamento industrializzato, i costi dei macchinari e della loro manutenzione sono molto alti, e quindi i piccoli proprietari sono costretti a vendere le loro stalle ai grandi proprietari, diventano manodopera salariata. Oltretutto, questo modello di allevamento necessita di pochissima manodopera, perché è tutto automatizzato, e questo è un danno sia per i lavoratori che per gli animali, perché diventano più rari i momenti in cui gli allevatori sono in contatto con loro. Spesso capita infatti che nessuno si accorga del malessere di un animale prima che sia troppo tardi, e molte volte l'animale viene trovato morto senza che nessuno si fosse accorto prima che stava male.

    Esistono delle holding proprietarie di allevamenti, mangimifici, impianti di macellazione e catene di distribuzione nonché, spesso, di industrie farmaceutiche. Alcuni esempi sono l'Inalca, quotata in borsa, e i gruppi Veronesi (AIA) e Amadori.

    Tutto il sistema di agricoltura e allevamento è governato dalle multinazionali della chimica. Per gli allevamenti intensivi sono necessari cereali e leguminose: i semi di queste piante, ibridi, devono essere acquistati ogni anno da poche multinazionali.

    Per la loro coltivazione sono usate varie sostanze chimiche, erbicidi, fitofarmaci, concimi, prodotti per la maggior parte dalle stesse industrie.

    Agli animali vengono somministrate elevate quantità di farmaci: quelli legali, come gli antibiotici, e quelli illegali, come gli anabolizzanti, oltre a svariate sostanze chimiche come integratori, coloranti, appetizzanti, sempre provenienti dalle stesse industrie chimico-farmaceutiche.

    Dopo la macellazione degli animali, i prodotti a base di carne vengono insaporiti con altre sostanze chimiche. L'industria chimica influenza dunque tutta la filiera agro-zootecnica.

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    Il ruolo dei consumatori

    La responsabilità del proliferare degli allevamenti intensivi è anche del singolo consumatore: fino a pochi decenni fa la carne era un alimento di lusso mentre ora, solo grazie agli allevamenti intensivi, costa tanto poco da trovarsi sui piatti di tutte le famiglie a ogni pasto, o quasi. Tutti hanno accolto con favore questa diminuzione di prezzo, senza chiedersi che cosa ci fosse dietro.

    Allo stesso tempo però, i consumatori pretendono garanzie di salubrità, senza rendersi conto che è impossibile coniugare qualità con produzioni così elevate. Nonostante tutti gli scandali che continuano a susseguirsi, si fa finta di non vedere, di non sapere che il problema deve essere risolto alla radice, eliminando l'allevamento intensivo e consumando quindi carne in quantità molto minore (meglio ancora, non consumandone affatto), pagandola a un prezzo più elevato.

    Va contato inoltre, nel calcolo del reale costo della carne, quanto paghiamo in tasse sotto forma di sovvenzione pubblica agli allevatori, e quanto paghiamo in Sanità, in termini di malattie degenerative che potrebbero essere prevenute con una alimentazione priva (o contenente quantitativi molto piccoli) di prodotti animali.

    Oggi in Occidente si spende di più in alimenti dimagranti che in cibo "normale": il 30% della popolazione soffre di sovrappeso e ricorre ad alimenti dietetici, a base di prodotti chimici, commercializzati dalle stesse aziende che riforniscono gli allevamenti di farmaci e anabolizzanti.

    Si è così creato un circolo vizioso per cui le persone si nutrono troppo e spendono molto per dimagrire, ad esclusivo vantaggio, per entrambi gli aspetti, dell'industria chimica.

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    Il costo dello smaltimento degli scarti

    In seguito al diffondersi della BSE ("mucca pazza") è stato vietato l'uso delle farine di carne, che finora venivano usate nell'alimentazione degli animali, soprattutto erbivori.

    Queste farine erano ottenute dagli scarti degli animali macellati, e quindi le industrie che ritiravano gli animali morti lucravano sulla loro trasformazione. Ora le stesse industrie non sono ovviamente più disposte a ritirare gli scarti gratuitamente, e allevatori e macellatori dovrebbero pagare questo servizio circa 50 centesimi al chilo.

    Ad esempio, per ogni bovino adulto morto, l'allevatore dovrebbe pagare circa 250 euro e circa 30 euro per ogni capo macellato. Questi costi in realtà dovrebbero far parte dei normali costi di attività presenti in ogni industria, invece sicuramente verranno sostenuti con sovvenzioni pubbliche, pagate dunque da tutti i cittadini.

    In Italia, il costo dello smaltimento di questi scarti si può stimare intorno ai 150 milioni di euro l'anno, a cui vanno aggiunte le spese per l'effettuazione dei circa 800 mila esami necessari a partire dal 2001 su tutti i bovini oltre i 30 mesi portati al macello, il cui costo è stato stimato in 75 milioni di euro.

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    Le sovvenzioni pubbliche agli allevamenti

    I costi reali della produzione e del consumo di cibo animale (carne, pesce, latte, uova) sono molto più alti dei prezzi di vendita dei prodotti; questi costi infatti non vengono mai conteggiati. Andrebbe invece fatto un calcolo monetario del costo dell'impatto sull'ambiente e sulla salute che essi hanno, e questo costo dovrebbe essere "internalizzato", vale a dire, chi sceglie di produrre e di consumare cibi animali dovrebbe pagarne l'intero costo reale. Infatti, visti i gravi effetti collaterali degli attuali consumi di cibi animali, la cosa più sensata da fare, per l'Unione Europea e i singoli Stati membri sarebbe disincentivarne il consumo.

    Al contrario, non solo questi costi non vengono conteggiati, ma l'UE sostiene l'industria zootecnica con miliardi di euro ogni anno, attraverso varie forme di supporto. Una gran parte dei sussidi va a sostenere la coltivazione di mangimi per animali, ma una buona parte va anche a sostenere direttamente i prodotti animali.

    Ci sono due tipi di sussidi che vengono assegnati. I "sussidi diretti" agli allevatori vengono pagati a chi possiede un certo tipo di animale o che produce un certo prodotto animale. E poi vi sono i sussidi chiamati "interventi" che consistono appunto in un intervento dell'UE volto ad assicurare che ci sia sufficiente domanda di un determinato prodotto animale. I tipi di intervento possono consistere in:

    - dare aiuti finanziari per l'esportazione di un dato prodotto fuori dall'UE;

    - comprare e stoccare il surplus di un dato prodotto a un prezzo garantito, in modo che al produttore sia garantito un guadagno certo;

    - sostegno al marketing di vari prodotti animali, in modo che aumentino le vendite di quel prodotto (per esempio tramite campagne pubblicitarie, ma non solo).

    Oltre a tutto questo, quando accadono epidemie o altri gravi problemi di ordine sanitario (BSE, influenza aviaria, febbre suina, ecc.), gli allevatori vengono profumatamente risarciti, quando invece i problemi nascono proprio a causa dei metodi stessi di allevamento. Possiamo infatti definire questi problemi sanitari come "patologie da maltrattamento" in quanto sono tutte dovute ai metodi usati negli allevamenti industriali, che hanno come scopo solo il profitto ed ignorano il benessere degli animali. Paradossalmente, i colpevoli di questo stato di cose vengono premiati anziché essere puniti.

    Nel 1999 il 23% della spesa annua dell'Unione Europea è stata destinata a sovvenzioni al settore zootecnico (carne e latte), a cui va aggiunta una buona parte del 44,2% del sostegno alle coltivazioni, destinate soprattutto al consumo animale (cereali, semi oleosi, proteaginose).

    Dati pù recenti ci dicono che il totale degli interventi dell'UE e dei sussidi diretti all'industria zootecnica nel 2007 è di circa tre miliardi e mezzo di euro (dal dossier "The livestock industry and climate - EU makes bad worse", compilato dall'allora europarlamentare svedese Jens Holm).

    In pratica, il guadagno di allevatori e agricoltori deriva solo dalle sovvenzioni, cioè dalle tasse dei cittadini: infatti nell'industria il guadagno è mediamente del 30% sul Prodotto Lordo Vendibile, e le sovvenzioni ad allevatori e agricoltori superano questa cifra. Questa situazione non è accettabile, un'industria non può esistere solo grazie alle sovvenzioni pubbliche.

    Oltretutto, le sovvenzioni sono distribuite "a pioggia", non in modo ragionato, e questo porta ancora una volta i grandi produttori, e non i piccoli, ad avvantaggiarsi.



    La moderna industria della carne

    Fonte: "Ecocidio", J. Rifkin; Ed. Mondadori, 2001

    Negli ultimi decenni dell'Ottocento, negli Stati Uniti iniziò a svilupparsi una vera e propria industria attorno alle attività di allevamento e macellazione dei bovini.

    I collegamenti ferroviari dovevano il loro frenetico sviluppo proprio all'industria della carne, in quanto il trasporto degli animali dagli allevamenti del West ai macelli dell'Est avveniva appunto su rotaia. Nel 1871 venne aperto il primo impianto di macellazione e confezionamento in uno degli stati del West, l'Indiana, e vennero spedite via ferrovia non più le mandrie, ma le confezioni di carne fresca ai commercianti all'ingrosso dell'Est. Nel 1878 venne inventato il vagone refrigerato Swift-Chase, molto più funzionale dei precedenti, che consentiva di inviare carne fresca con costi molto inferiori di quanto era stato possibile fino a quel momento.

    Poche grandi aziende controllavano l'industria della carne, dall'allevamento, alla macellazione, ai trasporti. Le cinque aziende più grandi formarono il "cartello della carne", controllando così i mercati, in violazione delle leggi federali. Nel 1903 la Corte Suprema degli Stati Uniti emise una sentenza contro il cartello, e tre delle cinque aziende si unirono a formare un'unica potentissima compagnia, la National Packing Company, che la stampa popolare chiamava "il più grande trust del mondo".

    La compagnia fu sciolta nel 1913, ma nel frattempo si era formato un altro cartello di cinque oligarchi dell'industria della carne, stavolta a livello internazionale, i quali avevano interessi, oltre che nell'allevamento, macellazione e confezionamento della carne, anche nelle società ferroviarie, nei centri di raccolta del bestiame, nelle macchine utensili, nei magazzini, e in altre svariate attività produttive e fornitrici di servizi.

    Gli standard, i processi e le tecniche dell'industria della macellazione influenzarono tutti gli altri settori dell'industria moderna. La produzione di massa, la divisione del lavoro e la catena di montaggio furono inventati dall'industria della macellazione.

    In realtà si trattava (e si tratta) in questo caso di una catena di "smontaggio". Venne introdotto un nuovo strumento, il nastro trasportatore. Gli animali uccisi, appesi a testa in giù al nastro trasportatore sovrastante gli operai, venivano smembrati, e ciascuno degli operai si occupava di una singola fase del processo, sempre la stessa. Un numero enorme di animali veniva ucciso e smembrato in questo modo, per essere ridotto infine a pezzi di carne che non ricordavano più il corpo vivo a cui erano appartenuti.

    Del nuovo processo di uccisione meccanizzata, Siegfried Giedion, storico della tecnologia, affermò:

    "Quel che è più stupefacente di queste transizioni di massa dalla vita alla morte è la completa neutralità dell'atto ... Avvengono così rapidamente e sono talmente integrate nel processo di produzione da non generare quasi emozioni ... Non ci si commuove, non si prova nulla: ci si limita a osservare."

    Dopo la seconda guerra mondiale, nuove aziende presero il posto delle cinque grandi industrie che avevano formato il precedente cartello della carne, ma se cambiavano gli attori non cambiavano i metodi.

    Il passo successivo per aumentare i profitti fu quello di spedire la carne già confezionata in piccoli tagli, anziché in quarti di bue, risparmiando spazio. Un altro modo per aumentare i profitti consisteva nello sfruttamento dei lavoratori: le condizioni di lavoro erano infernali, per la natura stessa dei macelli, e i vari scioperi organizzati dai sindacati dagli anni '70 in avanti non ebbero un gran successo.

    Oggi, in molte aziende il turnover del personale raggiunge il 43% al mese, spesso per scelta deliberata delle aziende, per impedire che i lavoratori abbiano il tempo di ambientarsi e organizzarsi. I lavori più pericolosi e ingrati vengono affidati agli immigrati messicani o ai rifugiati politici asiatici.

    Il ritmo di lavoro è frenetico, la linea di produzione vede passare fino a 300 animali l'ora. Alcuni tagliatori devono eseguire un taglio ogni tre secondi, e la percentuale di incidenti sul lavoro è molto elevata. Gli operai che lavorano negli stabilimenti di lavorazione delle carni sono tra i lavoratori più sfruttati che esistano: conducono esistenze nomadi spostandosi da un'industria all'altra, vivono in parcheggi per camper e roulotte, sono spesso analfabeti e discriminati dal resto della popolazione locale.

    Oggi negli Stati Uniti le tre grandi compagnie dell'industria della carne sono oggi la IBP (nata nel 1970, e acquistata nel 1981 da Occidental Petroleum), la Excel e la Con-Agra. Quasi tutte le fasi del processo di produzione sono sotto il loro controllo: posseggono le aziende che vendono le sementi, e le aziende agricole per la produzione di cereali per gli animali d'allevamento; producono fertilizzanti e pesticidi usati nelle stesse coltivazioni; posseggono enormi allevamenti intensivi ed estensivi, un quarto del totale degli animali allevati negli USA; macellano e confezionano le carni del 70% dei bovini provenienti da allevamenti intensivi.

    Il nuovo cartello della carne è dunque oggi ancora più potente dei suoi precursori di un secolo fa.




     
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  11. Ressa
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    Tu capisci vero che per leggere e capire sta roba ci metterò più o meno un mese... senza contare quanto impiegherei a rispondere a ogni singolo punto...

    A me servirebbe il dialogo non un copia incolla mastodontico come questo.
    I punti irrisolti caro il mio renzo sono i seguenti:
    1. L'uomo fin dalla sua origine si nutriva prevalentemente di caccia in quanto metodo di approvvigionamento più fruibile e sicuro (prova te a mangiare l'insalatina a dicembre)
    2. Le giustificazioni etiche (aiutiamo il pianeta, non facciamo soffrire gli animali, non mangiamo cadaveri) sono ridicole già ad un primo sguardo: se solo lo volesse l'uomo potrebbe sfamare tutta la popolazione mondiale tranquillamente e senza chiudere un solo allevamento. Le piante stesse sono viventi quindi tu uccidi cibandotene
    3. Tutti i rischi che hai citato sono prevalentemente imputabili all'allevamento intensivo moderno, come ti ho detto allevando alla vecchia maniera non c'è bisogno di ricorrere a tutte quelle barbarie.
    4. La natura delle cose include la sofferenza, la morte l'uccisione e non fartene una ragione quando questo è qualcosa di naturale denota solo uno scompenso nella tua visione.

    Se mi viene in mente altro aggiungo..

    Invece di postare kilometrate di roba rispondi per favore ai quesiti precisamente.
     
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  12. fairybunny
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    CITAZIONE
    La natura delle cose include la sofferenza, la morte l'uccisione e non fartene una ragione quando questo è qualcosa di naturale denota solo uno scompenso nella tua visione.

    :shocked.gif:





     
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  13. fairybunny
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    Atleti vegetariani e vegani (non scompensati :biggrin2.gif: )




     
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  14. Ressa
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    CITAZIONE (fairybunny @ 28/9/2010, 01:44)
    CITAZIONE
    La natura delle cose include la sofferenza, la morte l'uccisione e non fartene una ragione quando questo è qualcosa di naturale denota solo uno scompenso nella tua visione.

    :shocked.gif:

    Tu credi che una zebra sbranata dalle iene sia contenta? O vuoi impedire pure quello, poverine vero!!

    Comunque continuate a postare video inutili senza rispondere alle domande.. Vedrò io di postare qualcosa di utile..

    www.youtube.com/watch?v=JeSMPESpxdA


     
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  15. La_volpe_nera82
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    Una piccola precisazione... le zebre vengono sbranate vive dai leoni... le iene mangiano i resti.... ^_^
     
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996 replies since 11/7/2010, 15:12   55333 views
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