Proposta:Come ribellarsi al potere senza togliere i soldi dalle banche

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  1. lorenzo_01
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    Ti incollo una serie di articoli che ho raccolto pochi mesi fa sulla situazione Argentina, se hai voglia leggili e dimmi cosa ne pensi..

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    Oggi, esattamente dieci anni fa, tra il 19 e il 20 dicembre 2001, l´Argentina esplodeva. Fernando de la Rúa, ultimo presidente di una notte neoliberale durata 46 anni, appoggiato da una maggioranza nominalmente di centro-sinistra, sparava sulla folla (i morti furono una quarantina) ma era costretto a fuggire dalla mobilitazione di un paese intero. Le banche e il Fondo Monetario Internazionale gli avevano imposto di violare il patto con le classi medie sul quale si basa il sistema capitalista: i bancomat non restituivano più i risparmi e all´impiegato Juan Pérez, alla commerciante María Gómez, all´avvocato Mario Rodríguez era impedito di usare i propri risparmi per pagare la bolletta della luce, la spesa al supermercato, il pieno di benzina. di Gennaro Carotenuto Il cosiddetto "corralito", il blocco dei conti correnti bancari dei cittadini, era stato l´ultimo passo di una vera guerra economica contro l´Argentina durata quasi cinquant´anni. L´FMI era stato il vero dominus del paese dal golpe contro Juan Domingo Perón nel 1955 fino a quel 19 dicembre 2001. Attraverso tre dittature militari, 30.000 desaparecidos e governi teoricamente democratici ma completamente sottomessi al "Washington consensus", l´Argentina era passata dall´essere una delle prime dieci economie al mondo all´avere province con il 71% di denutrizione infantile, dalla piena occupazione al 42% di disoccupazione reale, da un´economia florida al debito pubblico pro-capite più alto al mondo. Con la parità col dollaro, e con la popolazione addormentata dalla continua orgia di televisione spazzatura dell´era Menem (1989-1999), il paese aveva dissipato un´invidiabile base manifatturiera e tecnologica. Nulla più si produceva e si spacciava che oramai fosse conveniente importare tutto in un paese che aveva accolto, realizzato e poi infranto il sogno di generazioni di migranti e da dove figli e nipoti di questi fuggivano. In quei giorni, in quello che per decenni il FMI aveva considerato come il proprio "allievo prediletto", salvo misconoscerlo all´evidenza del fallimento, non fu solo il sottoproletariato del Gran Buenos Aires ridotto alla miseria più nera a esplodere ma anche le classi medie urbane. Queste, che per decenni si erano fatte impaurire da timori rivoluzionari e d´instabilità, blandire da promesse di soldi facili e convincere che il sol dell´avvenire fosse la privatizzazione totale dello Stato e della democrazia, si univano in un solo grido contro la casta politica e finanziaria responsabile del disastro: "que se vayan todos", che vadano via tutti. Era un movimento forte quello argentino, antesignano di quelli attuali, e solo parzialmente rifluito perché soddisfatto in molte delle richieste più importanti. I passi successivi al disastro furono decisi e in direzione ostinata e contraria rispetto a quelli intrapresi nei 46 anni anteriori. Quegli argentini che a milioni si erano sentiti liberi di scegliere scuole e sanità private adesso erano costretti a tornare al pubblico trovandolo in macerie. Al default, che penalizzava chi speculava -anche in Italia- sulla miseria degli argentini, seguì la fine dell´irreale parità col dollaro. Le redini del paese furono prese dai superstiti di quella gioventù peronista degli anni ´70 che era stata sterminata dalla dittatura del 1976. Prima Néstor Kirchner e poi sua moglie Cristina Fernández, appoggiati in maniera crescente dagli imponenti movimenti sociali, con una politica economica prudente ma marcatamente redistributiva, hanno fatto scendere gli indici di povertà e indigenza a un quarto di quelli degli anni `90. Al dunque l´Argentina ha dimostrato che perfino un´altra economia di mercato è possibile e dal 2003 in avanti il paese cresce con ritmi tra il 7 e il 10% l´anno. La crescita economica è stata favorita da una serie di fattori propri del nostro tempo, dall´aumento dei prezzi dell´export agricolo all´arrivo della Cina come partner economico. Soprattutto però i governi kirchneristi sono stati, con Brasile e Venezuela, i grandi motori dell´integrazione latinoamericana, una delle principali novità geopolitiche mondiali del decennio. Le date chiave di tale processo sono due: Nel 2005 a Mar del Plata, soprattutto la sinergia Kirchner-Lula stoppò il progetto dell´ALCA di George Bush, il mercato unico continentale che voleva trasformare l´intera America latina in una fabbrica a basso costo per le multinazionali statunitensi mettendo un continente intero a disposizione degli Stati Uniti per sostenere la competizione con la Cina. Nel 2006 l´Argentina e il Brasile, con l´aiuto di Hugo Chávez, chiusero i loro conti col FMI: "non abbiamo più bisogno dei vostri consigli interessati" dissero mettendo fine a mezzo secolo di sovranità limitata. Per anni i media mainstream mondiali hanno cercato di ridicolizzare il tentativo del popolo argentino di rialzare la testa, l´integrazione latinoamericana e la capacità del Sudamerica di affrancarsi dallo strapotere degli Stati Uniti e dell´FMI. A dieci anni di distanza, tirando le somme, ci si può levare qualche sassolino dalla scarpa su chi disinformasse su cosa. Ancora un anno fa, nel momento della morte di Néstor Kirchner i grandi media internazionali -quelli autodesignati come i più autorevoli al mondo- avevano di nuovo offeso la presidente, con un maschilismo vomitevole, descrivendola come una marionetta incapace di arrivare a fine mandato. Il popolo argentino la pensa diversamente e il 23 ottobre 2011 l´ha confermata alla presidenza al primo turno con il 54% dei voti. Cristina, e prima di lei Néstor, ad una politica economica che ha permesso all´Argentina di riprendere in mano il proprio destino, affianca una politica sociale marcatamente progressista. Perfino nei media l´Argentina è oggi all´avanguardia nel mondo nella battaglia contro i monopoli dell´informazione: non più di un terzo può essere lasciato al mercato, il resto deve avere finalità sociali e culturali perché non di solo mercato è fatta la società. A dieci anni dal crollo l´Argentina sta vincendo la scommessa della sua rinascita. I paradigmi neoliberali sono sbaragliati e dall´acqua alle poste alle aerolinee molti beni sono stati rinazionalizzati per il bene comune dopo essere stati privatizzati durante la notte neoliberale a beneficio di pochi corrotti. I soldi investiti in educazione sono passati dal 2 al 6.5% del PIL e... la lista potrebbe continuare. Basta un dato per concludere: dei 200.000 argentini che nei primi mesi del 2002 sbarcarono in Italia (tutti o quasi con passaporto italiano) alla ricerca di un futuro, oltre il 90% sono tornati indietro: "meglio, molto meglio, là". Fonte www.gennarocarotenuto.it/

    Tempi duri per i puri, non vi è dubbio.
    A Montevideo, Uruguay, ieri notte, il sottosegretario alla presidenza e al commercio nonché l'uomo che sarebbe dovuto essere il prossimo ministro dell’economia della Repubblica Argentina, Ivan Heyn si è impiccato nella sua stanza d’albergo, all’Hotel Radisson.
    La notizia, indifferente per noi europei, viene vissuta come una enorme tragedia per tutta l’America Latina e anche in Usa l’evento ha suscitato un forte impatto.
    Per diversi motivi. Tra cui, non ultimo, la giovane età dell’economista: 33 anni.
    Considerato il padre dell’attuale rivoluzione economica argentina, Ivan Heyn si trovava a Montevideo per una riunione allargata del Mercosur (sarebbe il corrispondente in America Latina della Unione Europea) alla quale erano stati invitati anche i responsabili di Usa e Gran Bretagna. Uscendo da una riunione ristretta con i delegati del Fondo Monetario Internazionale, l’economista ha pronunciato la frase “io questo non lo posso proprio fare”. Da quel momento è sparito e nessuno l’ha più visto.
    Dieci ore dopo è stato trovato impiccato nella sua suite dell’albergo.
    In Argentina gli stanno tributando un enorme cordoglio. Veniva soprannominato “el economista callejero”, l’economista di strada, perché proveniva da una famiglia povera, e nonostante la sua prestigiosa carriera, aveva scelto di rimanere a vivere nel suo quartiere natìo di Constituciòn, tra i più popolari e poveri della capitale Buenos Aires, dove era riverito e amato dalla gente. Si era laureato in economia a 24 anni e, per un caso fortuito, al bar dell’università, il giorno della laurea, aveva incontrato Maximo, il figlio primogenito della presidenta Christina Kirchner, con il quale condivideva il fatto di essere fidanzati con due gemelle. Attivo militante del gruppo La Càmpora, la frazione più a sinistra del partito peronista al potere, si era specializzato in macro economia e aveva accettato una consulenza al ministero dell’economia, diventando poi consigliere personale della Kirchner. In seguito, lei stessa aveva fortemente spinto per farlo accettare dagli anziani del partito dandogli il sottosegretariato al commercio e indicandolo chiaramente come la figura preminente a cui affidare nel 2012 il dicastero dell’economia.Un anno e mezzo fa, nel corso di una riunione del Fondo Monetario Internazionale, si era scontrato con Strauss Kahn rifiutandosi di accettare e seguire le indicazioni del fondo che vedevano con preoccupazione l’alta inflazione in Argentina (circa il 30%). Post keynesiano tinto di marxismo, Ivan Heyn –il padre era un intellettuale libertario tedesco sfuggito alla persecuzione della Stasi nella Germania dell’est ed emigrato in Argentina nel 1966- aveva lanciato un ambizioso programma che si è rivelato vincente. “Abbiamo tre nemici: la povertà dei ceti disagiati, l’impoverimento dei ceti medi, e il rischio di conflitti sociali interni” aveva sostenuto, varando un piano economico (bocciato dal Fondo Monetario Internazionale) che ruotava intorno a un allargamento del welfare, a un massiccio impegno di sovvenzioni sociali per il rilancio del consumo interno, aumentando le tasse ai ceti ricchi e abbattendo le aliquote fino a zero a tutti i ceti imprenditoriali della fascia media a condizione che assumessero almeno dieci giovani tra i 18 e i 28 anni. In seguito alle sue idee applicate, l’Argentina è cresciuta nell’ultimo biennio a una velocità del 9,2% l’anno, seconda nel mondo soltanto alla Cina, con l’abbattimento della povertà, e la disoccupazione che dal 22% è scesa al 4%. Il prezzo da pagare è stato un incremento altissimo dell’inflazione, severamente condannato sia dal Fondo Monetario che dall’Europa. Celebre il suo scontro con il collega tedesco in visita ufficiale, quando, alla conferenza stampa in televisione, ebbe a dire “Che cosa me ne importa a me di avere una inflazione al 3% come avete voi in Europa essendo infelici tutti, se io posso dare felicità alla mia nazione con una inflazione al 30%? Lo so da me che va abbassata, ho studiato economia anch’io. Lo faremo. Ma lo faremo soltanto quando ci saremo ripresi tutti. Non prima. La felicità ha valore soltanto se può essere condivisa collettivamente, è una teoria economica, questa, e mi meraviglio che lei che viene dal Primo Mondo non lo sappia. La felicità per pochi privilegiati, non è vera felicità, è avidità bulimica. E’ un peccato mortale. Lo sa anche il papa. E noi siamo cattolici”.
    E’ molto probabile che non sapremo mai perché si è ucciso.
    La sua ultima riunione era relativa al fatto che l’Argentina aveva denunciato per protezionismo sia gli Usa che la Gran Bretagna sei mesi fa. Il governo Usa e quello britannico, infatti, hanno bloccato l’importazione di limoni argentini con la scusa che non rispettavano i parametri sanitari della Unione Europea. L’Argentina è il primo paese al mondo produttore di limoni. Gli argentini avevano protestato sostenendo che si trattava di un trucco dato che la Coca Cola e la Lipton acquistano in Argentina il 90% dei loro limoni, perché il rapporto prezzo/qualità è il più competitivo in assoluto al mondo.
    E’ in atto, in questi mesi, un furioso scontro tra il Mercosur (Cile, Bolivia, Argentina, Brasile, Paraguay, Venezuela, Peru, Uruguay, Ecuador) e l’Europa. I sudamericani hanno apertamente accusato l’Unione Europea “di essersi venduta ai cinesi facendo passare un discorso sulla quantità a scapito della qualità” e gli argentini si sono dichiarati orgogliosi di essere l’unico paese al mondo che in Cina esporta senza importare nulla. L’Argentina, infatti, vende il 95% della propria soja (è il primo produttore al mondo) alla Cina. Inoltre, in Argentina, la Cina viene presentata al pubblico come un paese fascista,.
    Una gigantesca campagna pubblicitaria progresso voluta proprio da Heyn, nel 2009, verteva proprio su quest’aspetto, contestata dagli Usa e dalla Germania che sostenevano violasse i principii democratici della convivenza esaltando il razzismo. Gli argentini se ne sono fregati. La campagna ruotava tutta intorno allo slogan “i cinesi sono tanti ma le loro merci valgono davvero molto poco: meglio acquistare merci argentine. Siamo pochi ma ciò che produciamo vale molto”.
    In tutto il Sudamerica hanno deciso una giornata di lutto nazionale, per ricordare il più giovane economista mai assurto al rango di ministro dell’economia nella martoriata storia del territorio latino del continente americano.
    Che riposi in pace.
    At the mean time....
    di Sergio Di Cori Modigliani – Fonte: Signoraggio

     
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34 replies since 26/1/2012, 10:45   2785 views
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