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Alexbix.
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Nel 1989 due scienziati,Fleishman e Pons,diedero per primi l’annuncio di un esperimento sulla fusione fredda riuscito in modo positivo. La comunità scientifica internazionale non accolse in modo positivo i loro studi. Ora il giapponese Arata ha ripetuto l’esperimento con enorme successo riaprendo così la discussione sulla Cold Fusion.
Che cos’è la fusione fredda ? E’ la possibilità di ottenere un’enorme quantità di energia utilizzando il palladio.La quantità di energia che verrebbe prodotta sarebbe spettacolosa. Essa infatti,secondo i calcoli presentati da due scienziati del 1989, potrebbe essere 200 volte superiore a quella che era presente nei materiali di inizio. Questi due scienziati erano Fleishman e Pons.In quell’anno i due scienziati presentarono i loro risultati a tutto il mondo accademico,ed anche al grande pubblico. La quantità di energia che secondo i due era stata prodotta nell’esperimento era veramente eccezionale. Inoltre, anche se serviva come elemento il palladio per produrla, esso non era prezioso come l’oro. Nel nostro pianeta l’oro è prezioso, ma il palladio meno,perché ne esiste una quantità cinque volte superiore all’oro. Era dunque una reazione costosa, ma ben proponibile, dato che l’energia prodotta era di quantità vastissima. Ed inoltre non si creavano scorie radioattive, che in genere,quando vengono invece prodotte, generano problemi di smaltimento. Ma nell’esperimento di Fleishman e Pons le scorie non erano previste, e questo terribile problema non si sarebbe posto. “Meraviglioso !” dirà il lettore. “Ma purtroppo si diffuse scetticismo,nel 1989, da parte di una grossa frazione della comunità scientifica.” rispondo io. E prevenendo tutte le eventuali domande del lettore, lo rassicuro dicendogli che non è stata la prima volta che la comunità degli scienziati ha steso un’ombra di dubbio su delle idee che poi in futuro sono state accettate. Le persone che avevano tirato fuori quelle idee per prime sono finite in un tranquillo dimenticatoio,senza particolari premi né riconoscimenti. Fortunatamente c’è sempre stato qualcuno che in seguito ha portato fuori dalle sabbie dell’oblio la loro bella mente e la loro serena genialità. Ma torniamo ora al Professor Arata. Il 22 maggio del 2008 la fusione fredda ha funzionato in modo corretto. Il merito è stato di Yoshiaki Arata. Il Professor Arata ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca scientifica. Ha 85 anni. Nel giorno 22 maggio, nell’Università di Osaka in Giappone, alle 19,30 (ora locale) si è svolto un esperimento aperto ad un pubblico di esperti e di pochissimi giornalisti. Il Professor Arata ed i suoi collaboratori hanno cambiato tutto il modo di pensare dei Fisici Nucleari.
In cosa è consistito questo clamoroso esperimento? La prova è stata compiuta inserendo in un contenitore d’acciaio riempito di deuterio gassoso alcune nanoparticelle di una lega al palladio. E’ opportuno rammentare che il deuterio è un isotopo dell’idrogeno,cioè un elemento che dispone di una conformazione molecolare molto simile all’idrogeno. E per capire meglio le dimensioni delle nanoparticelle della lega al palladio, è opportuno mettere in luce che una nanoparticella della lega in questione è un miliardesimo di grammo. Quindi delle particelle davvero submicroscopiche. Il Professore, inserite le particelle, ha osservato le reazioni termiche. Ed ha poi calcolato che il calore sprigionato era di 100 volte piu’ forte che non se si fosse utilizzato l’idrogeno. L’energia sprigionata ha azionato un piccolo motore termico,il quale ha messo in moto, a scopo dimostrativo, un ventilatore. Per avere una controprova, al motore termico è stato anche allacciato un piccolo alternatore che ha acceso dei Led. Il Led è una luce fredda, che attualmente è di gran moda anche nelle torce elettriche portatili. L’accensione dei Led ha reso ancora più spettacolare l’ottima riuscita dell’esperimento. Alla fine dell’esperimento il Professor Arata ha riscaldato le nanoparticelle della lega al palladio per poter analizzare il gas rimasto intrappolato all’interno.Vi ricordate che eravamo partiti,all’inizio dell’esperimento,da un contenitore riempito di deuterio gassoso ? E abbiamo anche detto che il deuterio è un isotopo dell’idrogeno. Dall’analisi di questo gas,si è visto però che si trattava non piu’ di Deuterio,né di Idrogeno,ma di Elio-4. L’Elio è un altro tipo di gas completamente differente dall’Idrogeno. Viene usato in genere nelle mongolfiere. E l’Elio-4 ha poi delle caratteristiche del tutto speciali. Era la prova che un elemento si era trasformato in un altro. Il Deuterio si era trasformato,a freddo,in un altro elemento : l’Elio-4.Al termine dell’esperimento,utilizzando complessivamente 7 grammi della lega al palladio, sono stati prodotti oltre 100 k-joule di energia. Questa reazione è cento volte più intensa di qualunque reazione chimica nota. Forse non è di 200 volte piu’ forte dell’energia iniziale,come nell’esperimento di Fleishman e Pons, ma è comunque un risultato magnifico. Alla fine dell’esperimento compiuto ad Osaka, il pubblico riunito ha deciso di chiamare l’insieme di queste reazioni fisiche così: “Arata phenomena”. La decisione ha suscitato una lieve commozione nel Professore, che ha ringraziato con un solenne inchino. Come ha confermato Francesco Celani, Ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), è stato compiuto un grande passo nella ricerca scientifica. “Si apre infatti una nuova possibilità – ha spiegato Celani ai giornalisti – perché in questo modo non vengono prodotti elementi radioattivi.”
fonte: http://www.era2000online.net/era2000/2010/...o-successo.html
CHE FINE HA FATTO LA FUSIONE FREDDA IN ITALIA
Sono trascorsi molti anni, più di quindici, dall’annuncio della scoperta della fusione fredda da parte dei due elettrochimici dell’Università dell’Utah, Martin Fleishmann e Stanley Pons.
Il lavoro di studio e di ricerca, fino ad ora condotto in questo settore, ha consentito da un lato di identificare le line di attività che hanno prodotto i risultati più consistenti e più interessanti dal punto di vista scientifico, dall’altro di scartare quelle linee di ricerca che hanno prodotto risultati non affidabili dal punto di vista statistico. Gli studi, sia teorici che sperimentali, condotti nel campo della scienza dei materiali hanno consentito di accrescere il controllo sul fenomeno e di creare le premesse per una sua completa comprensione. Su questo specifico tema cresce l’attenzione a livello di Istituzioni: finanziamenti specifici sono stati stanziati in Italia dal Ministero per lo Sviluppo Economico (ex Ministero per le Attività Produttive). Anche negli Stati Uniti d’America è in corso un processo di revisione del fenomeno, con fondi di Agenzie governative e con ampio spazio dedicato alla scienza dei materiali. Gli incoraggianti risultati fino ad ora ottenuti in questo ambito creano una premessa solida affinché il percorso intrapreso secondo questo indirizzo di ricerca continui nel futuro, in un contesto costituito dai più prestigiosi Istituti di ricerca del mondo, con tutto il necessario supporto.
È uno scenario nuovo, ben diverso da quello iniziale; ne abbiamo parlato con uno dei più noti ricercatori a livello internazionale impegnati nella fusione fredda ed in particolare nel campo della scienza dei materiali, Vittorio Violante, del Centro Ricerche ENEA di Frascati.
“Tutto inizia con gran clamore nel 1989 quando, in seguito ad alcuni esperimenti dei chimici Stanley Pons e Martin Fleischmann, la fusione fredda fu prospettata come una fonte di energia semplice, economica, abbondante e ambientalmente compatibile. Bastarono pochi anni e dalle stelle si passò alle stalle: era stato preso un grossolano abbaglio, singolare esempio di una scienza spettacolo senza fondamento; non solo, perché quanti continuarono ad occuparsi di ricerca sulla fusione fredda, lo fecero consapevoli di mettere a rischio la propria reputazione scientifica. Ancora oggi alcuni media continuano a prospettare la fusione fredda come grande speranza energetica, ventilando l’ipotesi del complotto da parte dell’establishment energetico internazionale, per boicottare una fonte cosiddetta ‘free energy’.
Che la partita sia aperta, lo dimostra il fatto che grandi industrie e gruppi privati - Mitsubishi (Giappone), EDF (Francia), Energetics (USA), Pirelli Labs (Italia) - stanno investendo discrete risorse in ricerca nel settore e numerosi laboratori di ricerca in diversi Paesi (in Italia l’ENEA, l’INFN ed altri) continuano silenziosamente a lavorare.
- Qual è il motivo di un tale ribaltamento?
“Le fortissime contestazioni sono nate, perché all’inizio chi provò a ripetere l’esperimento di Fleischmann e Pons, otteneva risultati molto contrastanti. Il Department of Energy (DOE) degli Stati Uniti mise sotto osservazione la materia e alcuni laboratori di vari Paesi che provarono a ripetere l’esperimento non riuscirono a replicare quello che i due chimici dichiaravano di aver ottenuto. Poiché la riproducibilità è un fattore essenziale per la definizione di un fenomeno scientifico, la fusione fredda fu in qualche modo considerata ‘cattiva scienza’, venendo di fatto abbandonata dalla maggior parte di ricercatori e laboratori. Pochissimi continuarono ad effettuare ricerche”.
- Oggi, dopo 15 anni, il fenomeno può considerarsi ancora non riproducibile e, quindi, in qualche modo casuale?
“Gli sperimenti hanno messo in evidenza che l’eccesso di potenza si manifesta, a volte anche con una notevole vivacità. La riproducibilità del fenomeno è comunque superiore a quella che si riusciva ad ottenere solo alcuni anni or sono. L’Istituto Californiano SRI International e la IMRA Japan osservarono che si trattava di un fenomeno ‘a soglia’, vale a dire che l’eccesso di potenza si innesca solo se si raggiunge un livello di concentrazione di deuterio (ovvero di quantità di atomi di deuterio) all’interno del reticolo di palladio non inferiore ad un certo valore. Partendo da questa osservazione, personalmente ho dedicato buona parte della mia attività scientifica a cercare di comprendere come mai, a parità di condizioni di lavoro, un materiale come il palladio, apparentemente sempre uguale, talvolta assorbe più idrogeno e a volte ne assorbe di meno. Questo studio è durato diversi anni e alla fine, identificati alcuni aspetti termodinamici e di cinetica diffusionale, qui all’ENEA siamo riusciti a creare e brevettare una tipologia di questo metallo e un processo per realizzarlo, che consente di riprodurre in modo affidabile la soglia di concentrazione necessaria all’innescarsi del fenomeno”.
- Quindi siete riusciti a consentire la famosa riproducibilità?
“Più precisamente siamo riusciti a creare, in sistemi elettrolitici del tipo deuterio-palladio, un’affidabile riproducibilità della soglia critica di caricamento. Abbiamo fornito i nostri materiali anche ad altri gruppi ricerca, in modo da mettere anche altri laboratori in condizioni di osservare il fenomeno di eccesso di potenza, migliorando la probabilità di successo. Certo, non è ancora una vera e propria riproducibilità controllata: ad esempio stiamo ancora lavorando sul controllo dello start-up del fenomeno, che a tutt’oggi non siamo in grado di far partire a comando. Abbiamo però creato i presupposti affinché, entro un determinato tempo, il fenomeno si manifesti con una certa probabilità. Si tratta insomma di un’importante situazione di miglioramento e 'trasferimento’ della riproducibilità, totalmente assente all’inizio della ricerca nel 1989”.
- A che punto siete quindi?
“A cambiare le carte in tavola è stato l’evento scientifico dell’agosto 2003, la Conferenza internazionale sulla fusione fredda tenutasi a Boston. Io e altri ricercatori di istituti stranieri, tra questi alcuni che avevano utilizzato i materiali messi a punto dall’ENEA, presentammo i risultati positivi, che convinsero alcuni accademici americani a sottoporre nuovamente la questione al DOE, affinché svolgesse nuove verifiche. Di fatto fu effettuata un’ampia analisi dei dati disponibili in letteratura, in seguito alla quale fu proposto un confronto dal vivo con alcuni esperti. Confronto che si è tenuto nell’agosto 2004 a Washington, dove 5 scienziati americani e uno proveniente da un Istituto europeo - io - hanno discusso davanti ad una commissione di qualificati referee le ricerche effettuate e i risultati ottenuti. Dopo alcuni mesi di valutazione, il DOE ha emesso il verdetto:un significativo numero di referee riteneva che il fenomeno era da considerarsi un effetto reale, non frutto di fantasia o di cattive misure, e che la materia meritava di essere studiata né più né meno come altre materie scientifiche”. Inoltre nel documento conclusivo del DOE si sostiene che uno dei campi nei quali occorre concentrare gli studi è proprio la scienza dei materiali.
- Insomma un ripensamento, nel quale il DOE ha ammesso lo sbaglio del passato?
“Non proprio, piuttosto l’approvazione di un processo di revisione. Ossia la presa d’atto che la situazione è oggi diversa da quella iniziale del 1989, e che il lavoro fatto nei quindici anni successivi dai vari laboratori di ricerca, come quello dell’ENEA, ha cambiato i termini della questione”.
L’ENEA, grazie al lavoro svolto nel campo della scienza dei materiali, ha avuto un ruolo fondamentale in quanto non solo ha ottenuto risultati ragionevolmente riproducibili e con segnali inoppugnabili, ma ha contribuito utilmente affinché anche altri Istituti ottenessero risultati simili.
- Quali sono i Paesi più attivi nella ricerca sulla fusione fredda?
“Oltre all’Italia, con l’ENEA, l’INFN e alcuni istituti universitari tra cui il Dipartimento “Energetica” dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma con cui collaboriamo intensamente, c’è una discreta attività in USA, Francia, Giappone, Russia e Cina. Il nostro Paese è peraltro ben collocato e le nostre ricerche sono molto apprezzate all’estero”.
- Tornando al fenomeno, ora c’è concordanza sulla sua origine? Si può certamente parlare di fusione nucleare o ci sono ancora dubbi, ad esempio per possibili processi di tipo chimico?
“Sulla base della scienza nota, in base alle misurazioni calorimetriche, è difficile spiegare i fenomeni che registriamo come effetti chimici. Mi spiego. Una misura calorimetrica consiste nel bilancio tra la potenza che viene immessa dall’esterno nel sistema e quella che il sistema emette. Quando nei nostri esperimenti si manifesta l’eccesso di potenza (in uscita maggiore di quella in ingresso), il guadagno di energia che ne deriva è tale che se fosse ridistribuito su tutte le particelle presenti nel sistema dell’elettrodo (atomi di metallo più atomi di deuterio) darebbe luogo ad una quantità di energia per atomo da 10 a 100 volte maggiore della massima energia associabile ad un legame chimico. Se accettassimo l’idea che la natura del fenomeno è chimica dovremmo sostenere che nei nostri ‘elettrodi’ hanno luogo reazioni ottenute con elementi che hanno legami chimici da decine o centinaia di elettronvolt al momento non noti; si tratta quindi di fenomeni di altra natura che, sulla base delle nostre conoscenze, possono solo essere di natura nucleare. Inoltre occorre sottolineare che, con riferimento al palladio, gli eccessi di potenza si ottengono solo con il deuterio e non con l’idrogeno; altro indizio, questo, che identifica il fenomeno di natura nucleare associabile ad un processo di fusione, che procede con modalità diverse rispetto a quanto avviene nei plasmi. In definitiva in questo tipo di esperimento dobbiamo attenderci, come firma dell’avvenuto processo nucleare, un aumento della concentrazione (quantità) di elio molto al disopra di quelli che sono i valori naturali rivelabili nell’aria che ci circonda. Alcune misure, anche se preliminari, effettuate in Istituti tra i quali la Divisione Energia dell’Sri e dal mio Laboratorio in ENEA, hanno fatto osservare che, in concomitanza con il fenomeno della produzione di potenza, si registra un aumento della concentrazione di elio (in celle sperimentali perfettamente sigillate e realizzate con tecnologia da alto vuoto) rispetto ai valori ambientali e in quantità consistenti con l’eccesso di energia prodotta. Anche queste misure di elio e la correlazione con l’energia prodotta furono presentate da noi e dall’Sri ai referee del DOE nel 2004. Questi ed altri risultati presentati da colleghi statunitensi furono tenuti in conto nella stesura del documento finale del DOE ove viene esplicitamente detto che un altro settore in cui è opportuno concentrare l’attività di ricerca è proprio quello della ricerca delle ceneri nucleari. Si pensa così che il processo sia riconducibile ad una fusione tra nuclei di deuterio con produzione di calore ed elio, senza emissione di radiazioni”.
- E ora? Dove si sta indirizzando la ricerca?
“Dopo l’accertamento del DOE, è iniziato un processo di revisione che si articola in due fasi: la prima, di ‘definizione’, in via di completamento, si basa sull’utilizzo degli elettrodi che produciamo qui all’ENEA di Frascati, perché sono quelli che hanno fornito un livello di riproducibilità accettabile e livelli di segnale inequivocabili. Il Laboratorio americano che è stato incaricato di effettuare la prima fase di revisione, l’Sri, ad esempio, utilizza i nostri elettrodi e il sistema calorimetrico della Energetics. Una seconda fase del processo di revisione appunto, è prevista nel caso in cui vengano raggiunti gli obiettivi fissati per la prima”.
- Dopo la prima fase si potrebbe cominciare a pensare ad applicazioni di qualche tipo, ad esempio per la produzione di energia?
“No, guardi, non è proprio il caso di parlare di applicazioni energetiche o d’altro tipo. Siamo ancora in una fase di ricerca fondamentale e non c’è davvero la possibilità di esprimersi non dico su ipotetiche applicazioni, ma nemmeno sulla possibilità di studi di natura tecnologica senza aver prima definito la fisica del sistema. Un ingegnere che fa un progetto tecnologico, anche molto sperimentale, ma che lasci sperare in possibili sviluppi, ha bisogno di equazioni matematiche che possono essere elaborate solo quando tutto il processo fisico è completamente compreso e definito. Stiamo muovendo i primi passi proprio per ricostruire, definire e comprendere lo scenario di fronte al quale ci troviamo. Poi non sappiamo se potranno esserci applicazioni di qualche genere, ma è già una cosa molto importante avere la certezza dell’esistenza di un fenomeno come quello della fusione fredda e poter dire che stiamo cominciando a definirlo”.
Fonte: http://titano.sede.enea.it/Stampa/skin2col...gliofigli&id=78
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M a r c u s.
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Niente da Dire in più .... se a qualcuno interessa ho postato qualche giorno fa, come risposta ad un altro topic, il funzionamento della fusione a freddo... ma vedo che i video hanno già risposto a tutto . -
Bankster887.
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Quei video li ho messi ieri sera su faccialibro.... . -
ZioMario01.
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Complimenti signor Alexbix!!!
Un'analisi scientifica di perfetta precisione e concisione!!!
Data la sua esperienza in materia, vorrei sottoporle il seguente articolo trovato da ma on line in un forum internet recentemente decaduto (o soppresso da chi sappiamo?).
Spero che lei possa dirmi se questo testo ha una possibile base scientifica o se si tratta solamente di una bufala:File AllegatoAppunti_Prof._Jenssen.pdf
(Number of downloads: 66)
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Alexbix.
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sfortunatamente per me, non sono l'autore degli articoli, ma comunque non ho mai sentito la teoria che proponi, io, in quanto a viaggi nel tempo, sono rimasto ad Einstein, il quale afferma: «Secondo l’ipotesi che voglio qui proporre, quando un raggio di luce si espande partendo da un punto, l’energia non si distribuisce su volumi sempre più grandi, bensì rimane costituita da un numero finito di quanti di energia localizzati nello spazio e che si muovono senza suddividersi, e che non possono essere assorbiti od emessi parzialmente. Nelle pagine successive, intendo spiegare il ragionamento ed i fatti che mi hanno spinto su questa strada, nella speranza che il punto di vista da me difeso possa risultare utile.» , che poi, quest'affermazione è alla base dei suoi studi sulla "Relatività", che appunto indicano che è possibile viaggiare a ritroso nello spazio e nel tempo, è possibile solamente viaggiando al doppio della velocità della luce.
Ma questa teoria, come illustrato da più scienziati, e dallo stesso Einstein, provocherebbe si uno sbalzo nel tempo, ma esclusivamente in quello spazio ed in quel tempo, questo vuol dire, che se noi tornassimo indietro di 20 anni, nello spazio, viaggiando al doppio della velocità della luce, si vedremo la Terra di 20 anni fa, ma esclusivamente in quello spazio, e cioè che, se ad esempio arrivo su Giove per vedere la Terra di 20 anni fa (e' solo un esempio, in quanto bisognerebbe arrivare molto più lontano che su Giove), riuscirò a vedere la Terra di 20 anni fa esclusivamente dalla posizione di Giove, che è stata raggiunta alla velocità doppia di quella della luce.
Quindi questo vuol dire che in realtà è impossibile tornare indietro nel tempo in un spazio tempo nella stessa posizione, ma vuol dire che dovremmo raggiungere la luce di 20 anni fa che sta viaggiando attraverso l'universo, quindi ora come ora, staremo così lontani che la Terra non si potrebbe più vedere, anche se sarebbe quella di 20 anni fa....
p.s. se hai altre info, curiosità, magari fai un topic adatto all'argomento, sarebbe interessante!
p.s.2 ti prego, non mi dare del "lei". -
cerchiopigreco.
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Ancora su Emilio Del Giudice ri-segnalo una conferenza sulla fusione fredda e le sue applicazioni militari (che ho appena inserito nella discussione "11/9 prove di trasmissioni, e se fosse stato un drammatico lungometraggio?", ma che anche qui mi sembra molto pertinente)
"https://www.youtube.com/watch?v=8o6djrFAwUw"
"https://www.youtube.com/watch?v=uDepTKzvTaQ&feature=related"
"https://www.youtube.com/watch?v=k15-HcAm_6I&feature=related". -
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Aggiungo altri 3 video:
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