La Crisi mondiale d' oggi (Maurice Allais)

Maurice Allais nobel dell'economia svela l'inganno

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  1. karlrex
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    Maurice Allais è nato nel 1911 a Parigi. ingegnere, fisico ed economista francese. Durante tutta la sua carriera accademica ottiene quattordici premi scientifici, tra i quali la prestigiosa medaglia d’oro del CNRS (Centro nazionale della ricerca scientifica), fino al Premio Nobel.
    Allais fu tra i primi, in Francia, a utilizzare l’analisi matematica in economia e a sviluppare l’econometria nei suoi studi dedicati alla moneta, al capitale, alla tassazione e al mercato. Lo studioso sostenne l’esigenza di applicare, anche alle imprese statali e monopoliste, efficienti criteri di mercato. Proprio nel 1988, per i suoi contributi determinanti sulla teoria dei mercati e l’utilizzo efficiente delle risorse, fu insignito del premio Nobel per l’economia.


    da:La_crise_mondiale_d_aujourd_hui_Maurice_Allais_1998 -
    "etienne.chouard.free.fr"
    traduzione a cura del primit

    Questo presentato è un testo fondamentale di una personalità importante, Maurice Allais: esso fu dapprima un
    articolo lungimirante e caustico pubblicato su “Le Figaro” del 12,19 e 26 ottobre 1998 nella rubrica Opinioni;
    poi fu ripreso e annotato in un appassionante libro pubblicato dalle coraggiose edizioni Clément Juglar:
    numerose note e aggiunte supplementari che troverete nel libro (non qui) permettono all’autore di rispondere
    alle obiezioni che gli furono presentate. Il risultato è notevole, vivo, utile: è Economia Politica ad uso del
    cittadino.

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    Maurice Allais

    La crisi mondiale dei giorni nostri
    Per profonde riforme delle istituzioni finanziarie e monetarie


    1. La Grande Depressione del 1929-1934 e i suoi insegnamenti essenziali:

    La Crisi del 1929 è stata la conseguenza di un’espansione sconsiderata dei crediti di borsa che negli Stati Uniti
    l’ha preceduta, e della ascesa anomala delle quotazioni di Borsa che essa ha causato.
    Riguardo alla crisi mondiale dei giorni nostri, non c’è nulla di più istruttivo, a voler ben intendere, della Grande
    Depressione del 1929-1934. Come scrisse una volta Vilfredo Pareto:
    «E’ tutt’altro che certo che la Storia si ripeta sempre allo stesso modo:
    quel che è certo è che si ripete sempre entro certi confini che potremmo
    definire “principali” […] Gli avvenimenti dei passato e quelli del
    presente si danno mutuo sostegno […] per la propria reciproca
    comprensione».
    L’ascesa delle quotazioni e il loro crollo
    Negli Stati Uniti l’indice Dow Jones dei valori industriali passò da 121 nel giorno 2 gennaio 1925 a 381 il 3
    settembre 1929, ossia un aumento del 215% in quattro anni e otto mesi. Sprofondò a 230 il 30 ottobre, ossia
    una riduzione del 40% in due mesi, corrispondente a riduzioni ancor più elevate per alcune azioni.
    L’indice Dow Jones non avrebbe raggiunto il suo minimo di 41,2 che l’8 luglio 1932, ossia una diminuzione
    dell’89 % in tre anni. Non avrebbe ritrovato la sua quotazione del 2 gennaio 1925 che nel giorno del 24 giugno
    1935, e la quotazione del 3 settembre 1929 che il 16 novembre 1954.
    Il crollo delle quotazioni di Borsa dal 1929 al 1932, con tutte le sue conseguenze, rappresenta probabilmente
    uno dei crolli più incredibili conseguente a un’ascesa speculativa di azioni che il Mondo abbia mai conosciuto.
    Mentre la Borsa saliva, coloro che compravano, il più frequentemente a credito, vedevano le loro previsioni per
    le crescite azionarie confermate l’indomani, e il giorno seguente la quotazione veniva a giustificare le
    previsioni del giorno prima.
    L’ ascesa è proseguita finché alcuni operatori di Borsa sono stati indotti a considerare che le azioni erano state
    palesemente e considerevolmente sopravvalutate, e allora hanno iniziato a vendere, addirittura anche a
    speculare al ribasso. Le quotazioni cominciarono a scendere non appena smisero di salire, e allora il ribasso
    giustificò il ribasso, e subentrò di conseguenza un clima di pessimismo generalizzato. Il crollo non poteva fare
    quindi altro che amplificarsi.
    Un rialzo dei valori di Borsa non commisurato ai valori dell’economia reale
    Alla vigilia stessa del giovedì nero del 24 ottobre 1929, quando il Dow Jones sprofondò a 299, una diminuzione
    del 22% dal suo massimo di 381 del 3 settembre 1929, la quasi totalità dei migliori economisti, tra i quali ad
    esempio il grande economista americano Irving Fisher, riteneva che l’impennata della Borsa americana fosse
    perfettamente giustificata dalla prosperità dell’economia, dalla stabilità generale dei prezzi e dalle prospettive
    favorevoli dell’economia americana.
    Tuttavia, a prima vista, l’impennata delle quotazioni di borsa del 215% dal 1925 al 1929 appariva
    incomprensibile rispetto all’evoluzione dell’economia americana in termini reali. n quattro anni infatti, dal 1925
    al 1929, il prodotto interno lordo reale non si era alzato che del 13%, la produzione industriale soltanto del
    21%, e il tasso di disoccupazione era rimasto stazionario al livello del 3%.
    Nello stesso periodo il prodotto interno lordo nominale non si era alzato che dell’11%, il livello generale dei
    prezzi era diminuito del 2%, la massa monetaria (denaro in circolazione più depositi a vista e a tempo) non si
    era alzata che di circa l’11% [1].
    Tuttavia, dal gennaio 1925 all’agosto 1929, la velocità di circolazione dei depositi bancari americani a New
    York si era alzata del 140%. E’ questo aumento della velocità di circolazione dei depositi nelle banche di New
    York che permise l’aumento delle quotazioni di Wall Street [2].
    La depressione
    Il clima di pessimismo che fu generato dal crollo della borsa del 1929 ebbe come conseguenza, tra il 1929 e il
    1932, una contrazione di circa il 20% della massa monetaria e di circa il 30% dei depositi bancari [3].
    Al tempo stesso la Federal Reserve cercava, ma invano, di opporsi a questa contrazione aumentando l'offerta
    monetaria del 9%. Gli speculatori, che avevano comprato delle azioni con dei fondi prestati a breve termine, si
    videro costretti a chiederne nuovi a tassi di interesse molto alti, perfino a vendere a un prezzo qualunque per
    fare fronte ai propri impegni.
    I ritiri di massa di certi depositi causarono il fallimento di un gran numero di banche [4], e da ciò si ebbe un
    aumento della contrazione di massa monetaria. Questo pessimismo, questo clima di tensione e questa
    contrazione della massa monetaria ebbero come conseguenza una diminuzione del prodotto interno lordo
    nominale del 44%, del prodotto interno lordo reale del 29%, della produzione industriale del 40%, e dell'indice
    generale dei prezzi del 21%.
    Il tasso di disoccupazione passò dal 3,2% nel 1929 al 25% nel 1933, ossia 13 milioni di disoccupati [5], per
    una popolazione attiva di 51 milioni. La popolazione totale degli Stati Uniti non era allora che di circa 120
    milioni.
    Un indebitamento eccessivo
    La Grande Depressione fu considerevolmente aggravata nel corso del suo svolgimento da un indebitamento
    eccessivo prima del crollo di borsa del 1929, tanto all'interno quanto al di fuori degli Stati Uniti. All'interno
    degli Stati Uniti la quantità totale dei debiti dei privati e delle imprese [6], corrispondente in gran parte a dei
    crediti bancari, era aumentato di gran misura tra il 1921 e il 1929. Nel 1929 rappresentava circa 1,6 volte il
    prodotto nazionale lordo americano. Rispetto al crollo dei prezzi e la diminuzione della produzione nel corso
    della Grande Depressione, il peso di questi debiti si rivelò insopportabile.
    Parallelamente, tra il 1921 e il 1929, l'indebitamento dello Stato federale, quello degli Stati e delle municipalità
    si erano ugualmente accresciuti considerevolmente. Nel 1929 rappresentavano rispettivamente circa il 16,3%
    e il 13,2% del prodotto interno lordo americano.
    Al di fuori degli Stati Uniti, l'ammontare delle riparazioni dovute dalla Germania era stato fissato nel 1921 a 33
    miliardi di dollari, rappresentando circa il 32% del PIL americano nel 1929. A titolo di debiti di Guerra [7], le
    nazioni europee dovevano agli Stati Uniti circa 11,6 miliardi di dollari, rappresentanti circa l'11% del PIL
    americano.
    Infine erano stati concessi debiti privati, principalmente bancari e quasi esclusivamente alla Germania, per un
    totale globale di 14 miliardi di dollari nel 1929, rappresentanti circa il 13,5% del PIL americano.
    I debiti di guerra si erano rivelati non restituibili. La Germania non aveva potuto onorare che abbastanza
    parzialmente i suoi debiti, e questo principalmente con dei fondi chiesti a prestito.
    Lo sviluppo della Grande Depressione fu stato particolarmente aggravato dal carico di tutti questi debiti e dai
    movimenti internazionali dei capitali a breve termine che ne risultarono, come conseguenza di complesse
    interdipendenze di ogni sorta tra le economie europee e l'economia americana. Tutti questi debiti dovettero
    infatti essere ridotti e rateizzati nel corso della Grande Depressione.
    Sui movimenti massicci di capitale e sulle svalutazioni competitive
    A partire dagli Stati Uniti la Grande Depressione si estese a tutto l'Occidente, generando dappertutto il crollo
    dell'economia, disoccupazione, miseria e disperazione. In seguito all'abbandono del Gold Standard da parte
    della Gran Bretagna nel settembre 1931, si avvicendarono svalutazioni a catena. La più spettacolare
    corrispose all'abbandono del Gold Standard da parte degli Stati Uniti nell'aprile del 1933.
    Tutto questo periodo si può caratterizzare contemporaneamente da speculazioni sulle valute, da movimenti
    massicci di capitali, da svalutazioni competitive e da politiche protezionistiche dei diversi Paesi per cercare di
    proteggersi dai disordini esterni.
    Finalmente, verso la fine del 1936, i rapporti di cambio tra le valute principali non erano molto diversi da quelli
    che erano stati nel 1930, prima che cominciasse il ciclo delle svalutazioni.
    Fattori Psicologici e fattori monetari
    Se l’ascesa delle quotazioni di Borsa, tra il 1925 e il 1929, ha qualcosa di incomprensibile rispetto
    all’evoluzione dell’economia americana in termini reali nel corso dello stesso periodo, allo stesso tempo la
    riduzione dell’attività economica in termini reali, tra il 1929 e il 1932, non sembra essere affatto meno
    stupefacente, almeno a prima vista. Come è quindi possibile che il crollo dei titoli di Borsa poté trascinarsi
    dietro una tale diminuzione dell’attività economica?
    In realtà questi due fenomeni, che a prima vista sembrerebbero apparire un pò paradossali, si chiariscono
    perfettamente quando si considerano assieme i fattori psicologici e i fattori monetari.
    Allorché la congiuntura è favorevole, gli incassi attesi diminuiscono e, da questo fatto, la spesa globale
    aumenta. Allorché è sfavorevole i risparmi desiderati aumentano e la spesa globale diminuisce [8]. Allo stesso
    modo la fiducia nella fase di rialzo suscita la creazione dal nulla (ex nihilo) di mezzi di pagamento bancari e
    l’incertezza nel momento del crollo causa la distruzione di mezzi di pagamento precedentemente creati dal
    nulla (ex nihilo) [9].
    L’ascesa spinge all’ascesa, e il ribasso spinge al ribasso.
    Gli speculatori nella fase di rialzo o di ribasso delle azioni non considerarono i “fondamentali”, ma fecero una
    valutazione psicologica sulla base di ciò che gli altri avrebbero fatto.
    La Grande Depressione del 1929-1934 e il meccanismo del Credito
    L'origine e lo sviluppo della Grande Depressione del 1929-1934 rappresentano certamente la migliore
    dimostrazione che si possa fare degli effetti nocivi del meccanismo del Credito:
    • La creazione di denaro dal nulla (ex nihilo) da parte del sistema bancario
    • La copertura frazionaria dei depositi
    • Il finanziamento di investimenti a lungo termine attraverso prestiti a breve
    • Il finanziamento della speculazione da parte del credito
    • Le variazioni di valore reali della valuta e dell'attività economica che ne risultano
    L'ampiezza della crisi del 1929 è stata la conseguenza inevitabile dell'espansione irragionevole dei crediti di
    borsa che l'ha preceduta negli Stati Uniti e dell'aumento anomalo dei titoli di Borsa che l'ha permessa, se non
    causata-
    Sia riguardo la prosperità dell''economia sia riguardo l'aumento dei titoli fino al 1929, la diagnosi dell'opinione
    generale era per entrambi generalmente affermativa. Si trattava di una “New Era” di una “nuova era di
    prosperità generale che si allargava al Mondo intero”.
    A conseguenza di ciò l'analisi che qui precede mostra con quale prudenza si debba considerare la prosperità di
    un'economia in termini reali, nel momento in cui si creano squilibri potenziali, a prima vista inferiori per valore
    relativo, ma suscettibili di portarsi dietro, allorché si concretizzano e si accumulano, delle modifiche profonde
    della psicologia collettiva.


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    Edited by karlrex - 28/10/2010, 16:11
     
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